L’idea che venga formato un gruppo di “volenterosi” europei – per altro disarmati – al fine d’intimorire Mosca e Pechino, minacciando chissà quale sconquasso, oltre che lasciare indifferenti le due potenze euro-asiatiche, finisce per delinearsi come una inutile farsa.
Mentre i più cavalcano ingenuamente la cresta dell’onda supponendo che la cosiddetta idea della “transizione ecologica” porti con sé esclusivamente il nesso valoriale occidentale, sintesi ed evoluzione di un proprio progresso umano e tecnologico, Russia e Cina si alleano per conquistarne il primato.
Da alcuni anni stiamo assistendo alla divulgazione di una narrazione, la cui funzione persegue lo scopo di far emergere un principio di responsabilità sociale nei confronti della natura rispetto alle barbarie presenti nel resto dell’universo mondo. La cinica realtà è ben diversa, in quanto la nobiltà che ammanta la “compatibilità ambientale” fa da schermo a ciò che nei fatti si cela come un conflitto di potere e di controllo geo-strategico planetario che riguarda il varo di una transizione energetica più efficiente della precedente (fossili), la cui attuazione è condizionata dal monitoraggio e dalla capacità di processo riguardo alle “nuove” risorse.
Però, a mio modesto avviso – e, non solo – al presente, rispetto ai tentativi del passato di scalzare l’egemonia politico-economica e finanziaria nord atlantica che dal dopoguerra sono miseramente falliti – la quarantennale contrapposizione militare sovietica a cui fece seguito l’innovativo modello tecno-industriale giapponese nel corso degli anni ’80 – si è aggiunta una nuova variabile determinante con la quale l’occidente, nel suo complesso, dovrà necessariamente fare i conti: l’importanza quantitativa e qualitativa della Cina.
Ciò lo si può desumere dal corrente conflitto Russo/Ucraino. Pechino, a differenza di Mosca e di Tokyo nel passato, è ormai, non solo una potenza militare, ma possiede altresì un grado di sviluppo tecnologico di poco inferiore a quello americano; nei fatti: un competitore economico autonomo e autosufficiente. La capacità produttiva giapponese generata dalla sua “rivoluzione” industriale, che mise in serio pericolo il primato americano e del dollaro, dovette arrendersi nei confronti degli USA nell’85 (accordo Plaza, rivalutazione dello yen), poiché i secondi fecero balenare l’idea che avrebbero ritirato la loro schermatura di difesa militare sull’isola nipponica. Il Giappone pagò amaramente lo “sgarro” nei confronti degli USA, accusando dal ’96 in avanti un lungo periodo di deflazione dal quale il Sol Levante non è ancora uscito, nonostante si collochi al terzo posto nella graduatoria dei PIL mondiali.
Oggi, contro la Cina non è possibile attuare lo stesso ricatto. Infatti è arduo non pensare che la Cina non fosse stata avvertita in anticipo dell’aggressione russa in Ucraina. L’ambigua acquiescenza del governo di Pechino deriva dal suo interesse affinché l’espansionismo occidentale non metta in pericolo l’integrità della Federazione Russa, sia dal punto di vista della sua sicurezza militare nelle aree asiatiche a essa confinanti, sia per il ruolo di riserva strategica di materie prime che la Federazione Russa incomparabilmente dispone rispetto al resto del mondo terrestre e che sono esiziali per i cinesi nel caso di un confronto tecno-militare con l’occidente, in particolare verso gli USA.
L’idea che venga formato un gruppo di “volenterosi” europei – per altro disarmati – al fine d’intimorire Mosca e Pechino, minacciando chissà quale sconquasso, oltre che lasciare indifferenti le due potenze euro-asiatiche, finisce per delinearsi come una inutile farsa.
fg