Skip to main content

I see a red door. And I want it painted black. No colours anymore. I want them to turn black (Jagger/Richard)

Qualora vi capitasse un giorno per merito o per fortuna di essere scelti come member panelist di una prestigiosa pubblicazione internazionale potreste ravvisare una certa sorpresa riguardo ai giudizi, valutazioni, umori, stati emotivi derivanti dalla pubblica opinione internazionale su certi temi specifici, raccolti e commentati dai vostri membri affiliati. Pareri da cui il noto periodico contrattualmente si serve, come indicatori attendibili, affinché l’editore li consideri come pertinenti nei suoi articoli.

A giugno si voterà per il rinnovo del parlamento europeo, a novembre per l’elezione del presidente americano. Sono due passaggi cardini dai quali non è escluso che prevalga nella conta dei voti finali una sorta di neo rivoluzione conservatrice. Malgrado il suo nome, già abusato nel secolo scorso (’20), ciò che oggi gli anglosassoni chiamano con il termine “National Conservative” propone un archetipo ben differente dalle idee incarnate negli anni ’80 da Reagan e dalla Thatcher: lo smantellamento di un governo ipertrofico, costoso ed inefficiente; un individualismo competitivo; un mercato affrancato da vincoli; la demolizione del concetto di società.

Del tutto diverse sono le tematiche dei National Conservative (NC). I loro aderenti pensano che la gente comune sia afflitta da forze globaliste impersonali e che lo Stato – o le decisioni delle Banche Centrali – provveda con artifici improvvidi e ingiusti al loro salvataggio a discapito del comune cittadino contribuente, reo di dovere sempre pagarne il conto. Essi non ritengono più che si debba costruire “una città splendente sulla collina” – famosa frase iconica pronunciata da Ronald Reagan – ma reputano che quella città ora sia paragonabile alla tarda Roma del IV° secolo, decadente in attesa che arrivi la furia barbarica. Non si accontentano di resistere al progresso civile, bensì vogliono distruggere il liberalismo classico e la sua ancella socialdemocratica.

La loro posizione soddisfa in modo imperdonabile le loro ambizioni e li incita a cercare di far ancor meglio. I NC sono la politica delle lamentele. Querimonie che si manifestano nel sottolineare le disuguaglianze, la frammentazione sociale, il pesante tallone della finanza. I loro leader utilizzano la globalizzazione e l’immigrazione come capro espiatorio accusando i loro fautori di eccessivo disancoramento dal reale (wokery) e nel contempo rivendicando il fatto che questi esempi dimostrano quello c’è di sbagliato nella politica mondiale.

Mettere una diga a questa potente “onda nera” che si sta profilando all’orizzonte in quel breve lasso di tempo che ci rimane da qui a novembre non è facile. Poco servono i tardivi ravvedimenti di Mario Draghi, Bill Emmott o di Martin Wolf – al tempo angeli custodi del libero mercato deregolamentato – e che oggi vengono propalati mediante pubblicazioni, pamphlet, editoriali “canossiani”, sulle grandi testate liberali, poiché la marcia di questi novelli patriottardi dell’identità nazionale, armati di un neo-calvinismo che fa riferimento al concetto di una morale sana, rigida e naturale, pare avanzare spedita soprattutto nelle aree Nord-Atlantiche del globo occidentale.

Una prima risposta potrebbe essere quella di considerare le loro lagnanze in modo serio. Molti cittadini residenti nei paesi democratici occidentali vedono nell’immigrazione una fonte di disordine e un drenaggio di risorse pubbliche. Temono che ai loro figli sarà destinato un futuro peggiore di quello che essi stanno vivendo; si insospettiscono verso ciò che viene dipinta come inevitabile rivoluzione tecnologica, abbinata a una necessaria transizione ecologica, poiché paventano di perdere il proprio posto di lavoro, mentre quella élite di cui è padrona e che ne esercita il comando continua ad arricchirsi in modo sfacciato alle loro spalle; considerano i “globalisti”, ovvero coloro che da anni hanno beneficiato enormemente del corrente ordine mondiale, grazie ai trucchi “cartacei” della finanza internazionale, una casta arrogante, autoreferenziale, manipolatrice seriale di idee diffuse e fatte credere come verità incontestabili in forza del controllo delle loro proprietà editoriali.

Una seconda risposta potrebbe essere quella di far emergere le contraddizioni in seno ai NC. L’etnocentrismo è considerato un valore assoluto da una gran parte di essi, ma contemporaneamente è aborrito dall’influente circolo delle corporation internazionali che, in un certo senso, amoreggia ambiguamente con la destra antidemocratica. Quante più vite umane sbarcano sulle coste europee o attraversano il Rio Grande, maggiore sarà la pressione capitalistica verso la diminuzione dei salari reali, più elevata la partecipazione delle masse al lavoro di fatica, contenuta la disoccupazione, congelata l’inflazione, incrementato il consumo, ed infine soddisfatta la rendita finanziaria. Sebbene la secolare Budapest, filogermanica, non sopporti lo storico slavismo confessionale di Varsavia, entrambi i due contendenti si coalizzano contro il nemico comune occidentale detestandone il degrado morale, la sua astrattezza nell’idolatrare i diritti civili, il suo eccesso di permissivismo politico e di libertà di stampa. Per poi ritornare sul ring per darsele di santa ragione sulla guerra in Ucraina.

Una terza risposta potrebbe essere proprio quella di considerare quello smisurato riflesso di protezione interna dei NC un arma a doppio taglio. Scardinarlo con la leva della democrazia liberale cosicché emerga distintamente la loro strutturale incoerenza litigiosa. Senonché, per far sì che si realizzi questo disegno è necessario che le formazioni politiche, assise ai valori che si riconducono alla libera dialettica nel quadro di una democrazia parlamentare, pur nelle loro diverse sfaccettature, formino una massa critica, resistente, tale da respingere ogni avventurismo d’impianto costituzionale cesarista o autocratico. Se risulta vero che servano nuove regole per limitare il libertarismo di mercato, è altrettanto indispensabile che esse vengano forgiate dal basso, E’ la presa di coscienza territoriale tra le formazioni liberal democratiche e socialdemocratiche che muove il percorso verso l’alto, consolidandone il suo vigore, e non viceversa.

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

Il Ponte