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Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione, che cosa direbbe Voltaire del sistema penitenziario piemontese?

Come trattiamo chi ha compiuto degli errori? Come li aiutiamo a prendere coscienza del danno che hanno recato a loro stessi e alla società? Cosa possiamo fare per questi “ultimi”, oltre a infliggere loro una giusta pena, che possa aprire la strada a un percorso di recupero? La risposta non può essere un semplice atto volontaristico, una questione per “uomini di buona volontà”: è un dovere costituzionale (articolo 27): “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Carcere equivale a società. Dunque, come può la politica, la società non sentirsi chiamata in causa? Come può non essere consapevole che il suo interesse è quello di occuparsi di quello che avviene o che non avviene all’interno del carcere.

Il vero nodo da sciogliere è culturale: agli occhi della maggioranza dei cittadini il detenuto è raccontato e identificato con l’errore che ha commesso, senza via di scampo.

Un manicheismo che non sa, o non vuole vedere, che dietro ogni decisione ed errore si annidano fattori da conoscere e approfondire per capire quali siano le condizioni che permettono a una persona di elaborare uno spirito critico, di allenare la coscienza, e di compiere scelte che non ledano il bene proprio e il bene comune.

Mi unisco all’appello fatto dal Garante Bruno Mellano e dalla Garante Alice Bonivardo affinché i lavori previsti, all’interno delle nostre carceri, dal Ministero vengano eseguiti in tempi ragionevoli e con attenzione all’esecuzione penale.

Il sovraffollamento, inoltre, rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario.

I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine.

E’ necessario riempire di senso, il tempo della detenzione, offrendo più attività “trattamentali”(culturali, lavorative, sportive e ricreative), così come le relazioni familiari e col volontariato andrebbero sostenute anche con figure specifiche di sostegno alla genitorialità o di coppia.

Altresì, necessario, sarebbe più personale specializzato (psicologi, educatori, psichiatri, pedagogisti, assistenti sociali, mediatori linguistici) che dia ascolto ai detenuti e ne riesca a cogliere le ragioni di intollerabile sofferenza.

Chiedo, dunque, a tutti i Parlamentari norme specifiche ed urgenti, ed al Ministro di Giustizia provvedimenti concreti in tempi rapidi, in aderenza con le parole del Presidente della Repubblica.

Ho chiesto un incontro alla Direttrice per visitare il carcere di San Michele e il Don Soria perché, anche oggi – come scriveva nel 1949 Piero Calamandrei – “bisogna vederle, bisogna esserci stati, per rendersene conto”.

I suicidi sono, anche e soprattutto, a mio parere, il prodotto della lontananza della politica e della società civile dal carcere.

Un “carcere utile” è fatto di molte fedi: credere nell’uomo, non terminale di condizioni irreversibili, non delinquente in eterno, ma uomo, prima di tutto, che, pur avendo alle spalle il delitto, può giocare liberamente le linee del suo futuro, se gli se ne dà l’occasione; credere nella emancipazione possibile dell’uomo; credere che questo è un impegno della società, di una società educativa, che ha da dire, da trasmettere princìpi, da dare risorse.

Ecco dietro le sbarre ci sono donne e uomini che hanno commesso errori anche gravissimi oppure che sono finiti dentro per sbaglio o per la propria fragilità.

Non importa, ciascuno di loro è in primis un individuo e come tale va trattato, nel rispetto di una dignità che viene prima di qualsiasi reato.

Servono, inoltre, misure immediate per deflazionare la densità detentiva e soprattutto è necessario adeguare concretamente gli organici della Polizia penitenziaria e riorganizzare, riformandolo, l’intero apparato.

Fondamentale sarebbe un’operazione sistemica di grande sintesi dei tanti problemi dell’universo penitenziario. Parlo di edilizia penitenziaria, di giurisdizione, di amministrazione, di polizia penitenziaria.

È una sfida da affrontare insieme: Istituzioni, società civile, comunità ecclesiale, con il supporto del mondo del volontariato, fondamentale anche nel fare cultura fuori da pregiudizi e distorsioni.

Roberta Cazzulo

Assessore Personale, Pari opportunità, Politiche sociali, Lavoro e formazione professionale, Tutela animale; Città di Alessandria.

Roberta Cazzulo

Nata a Castelletto d'Orba ma da tredici anni vive ad Alessandria. Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Politiche indirizzo Politico-Economico ed il Master universitario in “Innovazione nella Pubblica Amministrazione” presso l’Università degli studi di Genova, oggi lavora presso l’Ente Provincia di Alessandria occupandosi di valorizzazione ed educazione ambientale. Dal 2009 al 2019 è stata Assessore presso il Comune di Castelletto d’Orba. Dal 2022 è Consigliere comunale ad Alessandria e presiede la Commissione Politiche Sociali e Sanitarie.

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