Il 30,6% di affluenza è un dato che, seppur nella forbice prevista da alcuni sondaggisti, è rimasto sicuramente nella fascia molto bassa delle aspettative; dato di partecipazione in flessione attribuibile ad una tendenza, in corso da tempo, di disaffezione al voto. Ovviamente, al di là di alcuni normali annunci in campagna elettorale, che il quorum non fosse raggiungibile era fatto noto, visto che tutti gli istituti sondaggistici, chi più chi meno, attribuivano comunque una stima ben al di sotto del 40%, con una media intorno al 34%.
Tuttavia un dato numerico e soprattutto politico fondamentale è caratterizzato dagli oltre 12,5 milioni di elettori che hanno espresso un voto favorevole ai quesiti sul lavoro, una massa critica molto ampia, circa lo stesso numero che il centrodestra prese alle politiche del 2022 con i quali andò al Governo, con la quale comunque andrebbe anche considerata una parte di elettori del centrosinistra dell’area liberale che invece indicava il No per questi quesiti. Il segnale dunque alle forze di questo nuovo centrosinistra è arrivato chiaramente da parte di un corpo elettorale potenzialmente ampio abbastanza da portarlo al Governo del Paese su una piattaforma programmatica che veda il lavoro al centro.
Questo referendum è stato sicuramente un momento elettorale caratterizzato da una netta polarizzazione politica, con i partiti di Governo di centrodestra schierati contro il referendum, con inviti espliciti al No e a posizioni ufficiali per l’astensione, mentre i partiti di opposizione al Governo schierati per il Sì (pur con qualche differenza sui vari quesiti) e soprattutto per una spinta alla partecipazione. Seppur il non raggiungimento del quorum sia sempre una mancata riuscita di un referendum abrogativo, onestamente parlare di fallimento politico dell’obiettivo del Referendum appare molto strumentale. Invece è occasione per riportare al centro del dibattito il lavoro rendendolo, come dicevamo sopra, un tema cardine di una piattaforma programmatica di un nuovo centrosinistra come valida alternativa di Governo. Ad esempio, mettendo al centro due argomenti.
Un primo argomento su come aumentare la produttività delle aziende riuscendo ad attirare manodopera qualificata e figure professionali a medio-alto valore aggiunto. Il nuovo paradigma vede completamente superato quello schema concettuale che aveva caratterizzato i primi anni Duemila, dove una cultura di politica-economica con visione ristretta aveva pensato solo alla compressione dei salari e alla flessibilità come modello di innovazione del mercato del lavoro e di sviluppo economico. Oggi il nuovo modello appare più chiaramente a molti più soggetti; per essere competitive e aumentare la produttività, alle imprese stesse serve un mercato del lavoro che sia attrattivo e dunque fornisca tutele occupazionali maggiori e salari più alti.
Un secondo argomento, collegato se volete in parte al precedente, sul rilanciare una legge sul salario minimo, ossia una legge che permetta di assicurare livelli garantiti di retribuzione per evitare sia la degenerazione pericolosa già presente nella nostra società del cosiddetto “lavoro povero”, sia per fare in modo che una soglia minima garantita spinga poi a far crescere i salari anche del ceto medio, anch’essi stagnanti da anni e non più in grado di garantire quel potere di acquisto degno di una società avanzata come la nostra. I casi studiati in Germania hanno ampiamente dimostrato che l’istituto del salario minimo e dell’aumento della retribuzione non solo non riduce la competitività della imprese, ma al contrario permette di aumentare la produttività facendo emergere in maniera forte all’interno del sistema economico proprio quelle imprese sane e capaci di innovare anche garantendo livelli elevati di retribuzione e di welfare ai propri dipendenti.
Questa è la sfida per rilanciare una discussione seria e innovativa sul futuro del mondo del lavoro. E se è vero che non tutti gli elettori che hanno espresso un voto favorevole sono da considerarsi di centrosinistra stabilmente, motivo ancora di più per tenere un dialogo aperto con loro è continuare su proposte concrete per lavoro e imprese.
Il segnale alle forze del campo progressista da parte di quei potenziali 13 milioni di elettori che si sono recati alle urne è arrivato chiaro e determinato. Ora serve iniziare davvero a mettere in campo una piattaforma programmatica e una strategia comune, all’interno del Partito Democratico e con le altre forze politiche e civiche con le quali oggi si è condivisa la battaglia referendaria, archiviando le sterili discussioni interne ombelicali per mettersi al lavoro per la prossima sfida decisiva. La riconquista del Governo del Paese.