Preferiamo proporre articoli o post estratti direttamente dal dibattito critico politico americano, poiché gli USA sono una realtà composita, nonché specifica, e certe generalizzazioni domestiche non aiutano a capirne la sua complessità. Ma nel caso dell’articolo che segue, le osservazioni sono acute e intelligenti. Complimenti a Gianluca Veronesi.
Gianluca Veronesi – Fifty-fifty
I risultati americani confermano due tendenze più generali: la polarizzazione e la radicalizzazione dell’elettorato. Avviene in Europa, avviene in Italia. Negli Stati Uniti la polarizzazione è una consuetudine, avendo loro praticato da sempre il bipartitismo perfetto.
Ma un testa testa così, nell’anno del record dei voti, è superiore alla norma (anche se a conteggio definitivo, la distanza potrebbe risultare più evidente). La radicalizzazione è invece una novità giacché la tradizione prevede che si vinca al centro. In America l’elettorato si esprime già prima di votare, tramite le primarie, e questa volta qualcosa è cambiato.
Nelle primarie democratiche, per evitare un eccessivo spostamento a sinistra, hanno dovuto scomodare Biden, un anziano signore, sulla via del ritiro. Grande professionista ma non proprio un candidato esaltante e sexy. Che però, in quest’epoca di rivolgimenti, è riuscito a fare della sua normalità un dato sorprendente.
Inutile parlare dei repubblicani, dove ad estremizzare il clima ci ha pensato direttamente Trump, ogni sacrosanto giorno dei suoi quattro anni di presidenza. All’inizio dello scrutinio il vincitore Biden è apparso uno sconfitto, non tanto nei confronti del suo avversario quanto verso i sondaggi. Così come il perdente Trump ha subito mietuto consensi superiori al previsto, anche in territori ostili.
I sondaggisti statunitensi hanno una consolidata tradizione di errore per cui il povero candidato non solo deve combattere una battaglia reale verso il competitor ma anche un’altra virtuale, più impegnativa, contro le eccessive aspettative. Alla fine possiamo dirlo: il protagonista unico di questa elezione è stato Trump, si votava a favore o contro di lui.
In passato i partiti, in ogni luogo, promettevano protezione, benessere e sicurezza; offrivano cioè se stessi come amici e garanti. Ma dopo tante delusioni, nessuno si fidava più di loro. Per cui i nuovi leader ora seguono la regola opposta: dare all’elettore un nemico. Un colpevole delle loro diseguaglianze, delle loro paure, delle loro disgrazie, più presunte che reali.
Una volta ci si accapigliava su punti di vista diversi, su visioni contrapposte dei problemi e della società. Ora non si litiga più su qualcosa di concreto. Siamo tutti clienti del bar sport: ad una affermazioni non si risponde con una obiezione ma semplicemente con un insulto. Anche perché il mondo è diventato complicato e non è così facile controbattere. Siamo tornati bambini: perché? Perché sì! Per uscire dall’imbarazzo abbiamo inventato il “mi piace” o il “non mi piace”. Punto e basta. E così sia.
Tornando a Trump: per lui Biden era semplicemente un rimbambito e ladro e Nancy Pelosi, speaker della Camera, una malata mentale. Questa sarebbe la correttezza istituzionale, la convivenza democratica per cui gli Stati Uniti erano portati ad esempio nel mondo. Il problema per lui è che a seminare odio si raccoglie odio.
Trump ha guadagnato tantissimi nuovi voti ma ha anche mobilitato milioni di avversari imprevisti. Una valanga di “nuovi” elettori, cioè di gente scettica, sfiduciata, rassegnata che aveva cessato di andare alle urne ma che ha sentito il bisogno di ribellarsi alla pressione, lo stress, la divisione che l’ex presidente esercitava quotidianamente sui suoi concittadini.
Quel voto non è stato un atto consapevole, un premio ai democratici, bensì un gesto prepolitico, una reazione basica a chi organizzava una politica basica. Ed è certo che non torneranno alle urne dopo l’aspirina o il sonnifero che elargirà Biden.
Milioni di afroamericani e latinos hanno votato individuando una ostilità del Presidente nei loro confronti (erano abituati ad un semplice disinteresse), milioni di anziani hanno votato vedendo trascuratezza e sottovalutazione nella gestione della pandemia. Non so se Trump rimarrà in politica. Non me lo vedo partecipare disciplinatamente alla vita del partito repubblicano. Potrebbe tentare di capitalizzare quei settanta milioni di voti (un’enormità) organizzando un movimento di estrema destra.
Ma il fascino derivava dal fatto che la sua attività di sobillatore, provocatore, mestatore emanava direttamente dalla Casa Bianca. Un unica cosa invece è certa: in tempi brevi non rivedremo qualcuno come lui alla Casa Bianca.
Gianluca Veronesi