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Solo recentemente mi è capitato di leggere un breve intervento dell’amico Franco Gavio pubblicato su questo blog la scorsa estate intitolato “L’immigrato è sempre un intruso?https://ilponte.home.blog/2022/08/28/limmigrato-e-sempre-un-intruso/#more-3885 dove il Nostro si è esercitato in una riflessione sul fenomeno migratorio con il suo abituale sguardo, acuto e particolare, individuandone le ragioni sostanziali “nella qualità della domanda e dell’offerta di lavoro” come fattori dirimenti.

Se da un lato comprendo e condivido la sua lettura del fenomeno venandola con modalità di approccio di radice materialistica (le relazioni economiche componenti scatenanti delle dinamiche storiche, n.d.r.), non posso per contro non segnalare alcune contraddizioni che mi pare emergano dal suo ragionamento. 

In primo luogo ritengo che il tipo di metodo prescelto, squisitamente economicistico, allontani aspetti che hanno a che fare con la condizione umana nella sua essenza, con le aspettative a cui ogni singolo individuo ambisce per migliorare le proprie condizioni materiali e di vita, con la volontà individuale di ricercare migliori e più favorevoli ambienti ove garantire la sopravvivenza propria e del nucleo di persone più prossime a sé.

Esiste cioè una condizione naturale, psicologica e antropologica che induce storicamente l’essere umano a muoversi, a spostarsi, a migrare alla ricerca di migliori e più benevole condizioni – ambientali e sociali – ove poter garantire sé stessi, il procastinamento della propria genia il proprio futuro. Ciò accade dalla notte dei tempi e, per raggiungere questo obiettivo, centinaia di milioni di esseri umani si sono spostati nel corso dei secoli, hanno modificato le proprie abitudini, hanno accettato condizioni di vita differenti talvolta ambientalmente estreme, al fine di poter garantirsi una prospettiva, una possibilità di migliorare le opportunità di vita se non per loro, quantomeno per le generazioni dei loro figli e nipoti.

A raccontarci plasticamente e drammaticamente questa condizione, richiamo alla memoria di ognuno di noi una straziante immagine, comparsa distrattamente sui circuiti mediatici mainstream nelle scorse settimane. Quella di una giovane madre e della sua piccola bimba morte di inedia e di sfinimento nel deserto sahariano durante la loro traversata nella speranza, flebile e lontana, di sfuggire ad una condizione umana evidentemente non più sostenibile. Ovviamente, superata l’emozione del momento, tutto è tornato come prima…

Nel corso degli ultimi decenni si sono riproposte condizioni che hanno indotto spostamenti di masse sempre maggiori di esseri umani (e non uso questa espressione a caso) verso approdi ritenuti migliori o forse semplicemente più “sicuri”. Masse che fuggono da condizioni di vita devastate da fenomeni inscindibilmente connessi ai mutamenti climatici, questi ultimi correlati con ogni evidenza con l’entrata in crisi di un modello globale di sviluppo predatorio e aggressivo, che ha evidenziato sempre di più i propri limiti e la propria insostenibilità sia dal punto di vista ambientale, che da quello sociale ed economico.

Non solo, a questi si sommano quelle enormi masse di individui, masse sempre maggiori e in crescita, che vengono a classificarsi come profughi ovvero tutti quegli esseri umani che fuggono travolti da guerre e regimi autoritari e violenti, che spesso, nell’arco di poche settimane, hanno visto le loro vite, le loro città, i loro villaggi spazzati via in un turbine di violenza e distruzione, togliendo loro ogni speranza di futuro. E anche su questo il cosiddetto mondo sviluppato detiene responsabilità enormi a cominciare dall’uso distorto e colpevole che viene fatto della pace, della guerra e degli strumenti di risoluzione delle controversie e degli interessi.

L’idea di pensare avere la possibilità di “distinguere”, nell’accezione bourdieuana, le caratteristiche di una migrazione desiderata – “ricca“ o “povera” per citare l’articolo –  funzionali alle quelle rivendicate e richieste del tessuto economico e produttivo di uno Stato, mi pare perdente e, sinceramente, velleitaria.

I fenomeni migratori nella Storia, si sono sempre manifestati in maniera travolgente ed inarrestabile a cominciare sin dalla più profonda antichità. Non appare utile pensare di indirizzare e prediligere quale caratteristica di migrazione accettare e accogliere; ne risulteremmo rovinosamente travolti e sconfitti. È più opportuno invece ricercare criteri e norme di regolamentazione e modulazione dei flussi, istituire percorsi di integrazione e cooperazione attiva e sussidiaria, individuare formule e itinerari di assimilazione e contaminazione sociale e culturale, determinare forme di sostegno anche economico-finanziario a cominciare dai Paesi del mondo più svantaggiati e in difficoltà, lavorando per ridurre in maniera significativa le diseguaglianze e gli squilibri.  

In questi giorni, in queste settimane l’Italia – ma non solo lei – sta vivendo un evidente e sostenuto incremento di flussi migratori che stanno mettendo in difficoltà il già fragile sistema dell’accoglienza che il nostro Paese – o la nostra Nazione, come forse preferirebbe qualcuno – ha saputo mettere in campo e dove l’Europa, la ricca opulenta Europa, ha dimostrato ancora una volta la propria inettitudine e assenza.

Questo incremento dei flussi migratori per il circo mediatico nazionale ufficiale – prono e servile? – è pressoché una non notizia, è scomparsa dai titoli di testa e come tale non viene consegnata alla pubblica opinione. Sarà, ma il fenomeno migratorio riemerge in tutta la sua problematicità in tutto il continente europeo allo scoccare dell’avvio delle varie campagne elettorali dei vari Stati, sostenuto e alimentato ad arte da alcuni apparati del sistema politico e del mondo dell’informazione, scatenando i riflessi più beceri e irrazionali dell’animo umano, favorendo il riemergere di istinti razzisti propri della pochezza e dell’irragionevolezza umana,  facilitando e alimentando la ricerca del nemico, del capro espiatorio su cui far ricadere le responsabilità delle difficoltà e dei disagi che attanagliano le nostre società innegabilmente “guaste”, come avrebbe detto Tony Judt.

Ma è di tutta evidenza che così non è.

Mutamenti climatici e flussi migratori sono e saranno, nei prossimi decenni, le grandi sfide strettamente e reciprocamente correlate che l’umanità avrà di fronte a sé e con cui dovrà cimentarsi. Temi enormi e complessi che mettono in crisi gli equilibri globali del sistema di convivenza su cui abbiamo poggiato per secoli le nostre relazioni sociali e internazionali. Temi verso i quali però è plausibile ritenere sia opportuno porsi con uno sguardo dialogante, aperto e positivo poiché dall’incontro e dal confronto con la diversità, con l’alterità non può che prodursi vita, sviluppo e bellezza.

Questo atteggiamento, questa attitudine è figlia dell’osservazione di come storicamente sono stati metabolizzati questi fenomeni che, ciclicamente, si sono riproposti all’umanità, accompagnando, coesistendo, assimilando, contaminando e senza avere atteggiamenti violenti o di coercizione o sopraffazione non solo fisica, ma anche culturale. Semplificando: vogliamo trovare le differenze di approccio e di metodo tra le “invasioni barbariche” e la “conquista del Nuovo Mondo”?

È anche di questo che parla da anni con le sue esortazioni reiterate papa Francesco, indiscussa autorità morale dell’Occidente cristiano.

Tutto ciò ci aiuterà a rendere meno gravoso il ricordo di quella mamma e della sua bambina morte nella sabbia del deserto o i corpicini dei bambini annegati sulle spiagge del Mediterraneo o le decine di migliaia di uomini e donne che hanno trovato la morte in fondo al mare o rimaste sepolte da qualche bombardamento “intelligente”.

Beh, dopo questo pistolotto moralistico – mi auguro che mi scuserete -, vorrei segnalare un appuntamento per chi avesse piacere di ascoltare, ragionare, discutere e riflettere sui temi attinenti a tutto ciò.  Si tratta di una meritoria iniziativa organizzata da un piccolo comune del nostro territorio, un comune di quelli cosiddetti “svantaggiati”, montani: Cabella Ligure.

I prossimi 25 e 26 agosto organizzano la II^ edizione del “festival Carlo Repetti” intitolata “30 giorni di nave a vapore – Racconti e incontri sulle migrazioni di ieri e di oggi”, dove sarà possibile incontrare studiosi, esperti, artisti e protagonisti di livello nazionale che si confronteranno, racconteranno, drammatizzeranno questi argomenti in una terra che anch’essa, in un passato recente, è stata oggetto di fuga e di migrazioni per sfuggire alla “malora”, perché noi siamo stati i migranti di ieri.

Mariano Giacomo Santaniello

Presidente C.d.A. ISRAL

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Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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