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Suela Muca, la nostra Community

Il carcere sembra una realtà così lontana dai cittadini liberi che quasi non ci interessa, tanto a noi non potrà mai succedere di essere arrestati, di finire in galera, perciò non ci interessa come si sta la dentro, nella casa dei cattivi.

È naturale pensarlo, perché non siamo stati educati a capire che le persone detenute sono persone, tanto quanto noi, non sono mostri. Sono persone che nella maggioranza dei casi hanno commesso degli errori, a volte orrori, ma non c’è una legge che ci dia la certezza di affermare che a noi non possa succedere di commettere un reato.

In tanti anni di collaborazione con la rivista dal carcere di Padova, “Ristretti Orizzonti”, ho conosciuto tante persone che avevano commesso reati diversi. Ho conosciuto persone che hanno condotto una vita regolare, lavori importanti, una posizione sociale invidiabile, per poi cadere nella trappola del reato. Quando ascolto le loro storie, la mia coscienza mi obbliga a riflettere, perché mi chiedo che cosa avrei fatto al posto loro? Siamo tutti delle brave persone quando ci troviamo nella nostra zona comfort.

Preciso che non appoggio nessuna teoria che assomigli a un liberi tutti”, non sono stata educata a pensare questo. Sono stata educata, anche come studentessa di giurisprudenza, al rispetto della Legge, ma in primis della Costituzione che all’articolo 27 dispone che le pene non possano essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione. 

Durante il lockdown abbiamo assaggiato una specie di detenzione, non potevamo uscire, non potevamo abbracciare e incontrare i nostri affetti, abbiamo vissuto da isolati e l’unico modo per tenerci vicino alle persone più care erano le videochiamate e le telefonate. Lo stesso è accaduto in carcere, che per la prima volta hanno avuto accesso a telefonate e videochiamate più frequenti con i propri familiari. Nella normalità le persone detenute hanno diritto ad una telefonata di 10 minuti a settimana, mentre coloro che hanno figli minorenni possono telefonare più spesso.

Come si possono mantenere e coltivare le relazioni personali e socio-familiari educativamente e socialmente significative con 10 minuti di telefonata a settimana? Si possono mantenere, ma quando la persona farà ritorno in famiglia, i familiari si vedranno entrare in casa uno sconosciuto. Nel peggiore dei casi, le persone escono dal carcere che non hanno più nessuno ad aspettarle, perché quei 10 minuti di telefonata a settimana hanno fallito e le famiglie si sono sgretolate. E se le persone che escono dal carcere non hanno nessuna prospettiva, nessun appoggio il rischio di recidiva è molto elevato, forse qui dovrebbe interessarci un po’ di più perché le vittime potremmo essere proprio noi.

Come si può pretendere il cambiamento di una persona che non ha accesso all’affetto della famiglia, al confronto con la famiglia? Ritengo che sia utile mettere le persone nelle condizioni di cambiare, partendo da semplici azioni: telefonate più frequenti nel rispetto del senso di umanità.

Uno Stato forte non si vendica, ma mette i cittadini nelle condizioni di rispettare la legge.

Suela Muca

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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