Skip to main content

Cazzulo 04

Roberta Cazzulo

Era il 25 marzo del 1911.

C’erano 146 persone (123 donne, di cui 39 italiane e 23 uomini), per la maggior parte giovani immigrate, quando scoppiò l’incendio nella azienda tessile Triangle Shirtwaist Company di New York.

I proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, che al momento dell’incendio si trovavano al decimo piano e che tenevano chiusi a chiave le operaie e gli operai per paura che rubassero o facessero troppe pause, si misero in salvo e lasciarono morire le donne e gli uomini rimasti intrappolati.

Alcune donne avevano 12 o 13 anni e facevano turni di 14 ore per una settimana lavorativa che andava dalle 60 alle 72 ore.

Il sindacato non era mai entrato in quella azienda. Diritti zero, sicurezza inesistente.

Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 60.000 dollari per i danni subiti, il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari.

Da allora in poi non c’è mai stata festa delle donne che non abbia dedicato un pensiero, una parola, una riflessione a quelle lavoratrici.

Ma le origini della festa dedicata alla donna sono più remote: risalgono all‘8 marzo 1857, quando – ancora una volta a New York – le donne scioperarono, pretendendo per la prima volta condizioni di lavoro più favorevoli. Anche in quell’occasione andò a finire male: la polizia aveva represso con le cariche la protesta.

Tra le prime e più importanti rivendicazioni spicca il diritto al voto per le donne, al centro di una lunga battaglia iniziata in Gran Bretagna alla fine dell’800 con la formazione della Società Nazionale per il suffragio femminile fondata da Millicent Fawcett.

Si iniziò ad accarezzare l’idea di una giornata che ricordasse i diritti nel 1908 in America (oltreoceano sono sempre un passo avanti…): nel corso della conferenza del Partito Socialista di Chicago prese la parola il membro Corinne Brown per denunciare la condizione di sfruttamento delle operaie.

L’anno seguente, sempre in America, ci fu una manifestazione a sostegno del diritto di voto delle donne e uno sciopero di ventimila camiciaie: scesero in piazza per chiedere un aumento di salario e un miglioramento delle condizioni di lavoro. L’evento fu ribattezzato giornata della donna. L’ufficialità arrivò però solo nel 1910 con la Conferenza Internazionale della Donna a Copenaghen.

L’avvento della guerra non aiutò a tenere viva questa ricorrenza che venne sospesa e poi riufficializzata una seconda volta, con il nome di Giornata internazionale della donna, il 12 marzo del 1922 dal Partito Comunista d’Italia.

Tuttavia bisognerà aspettare gli anni 70 per avere una data comune a tutta Europa: a sceglierla fu l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1977.

Da allora in ogni Paese quella data è l’occasione per ricordare tutte le battaglie combattute, vinte o ancora da vincere per la difesa e la valorizzazione della donna.

E’ passato un secolo e mezzo.

L’8 marzo è diventato simbolo e giornata internazionale del popolo “in rosa”: rappresenta il giorno che ci permette di non dimenticare da un lato le discriminazioni subite, e dall’altro i diritti conquistati dalle donne in tutto il mondo (in misura diversa, ovviamente, a seconda della latitudine).

Potrebbe sembrare incredibile che nel 2020 si debba ancora parlare di discriminazioni quando si tratta di donne: troppe conquiste non possono considerarsi acquisite.

La richiesta costante di conferme per una condizione di uguaglianza effettiva, reale, pacifica, è ancora necessaria.

Le Mappe dell’Intolleranza di Vox Osservatorio Italiano sui Diritti, lo sostengono da diversi anni: le donne sono le principali vittime di tweet di odio: 326 mila dei 537mila tweet negativi del 2017-2018 sono contro le donne. Contro i migranti sono stati 73mila.

Ma quali sono gli ambiti in cui le donne sono discriminate nel nostro paese?

Partiamo dal lavoro: l’Italia è penultima in Europa per partecipazione femminile al mercato del lavoro. Dopo di noi soltanto la Grecia.

Solo una donna su due in età lavorativa è attiva.

Il nodo cruciale, però, non è solo l’accesso al mercato del lavoro, quanto la carriera che compiamo noi donne.

Le donne solitamente per un periodo (temporaneo – part time – e/o definitivo) lasciano il lavoro all’arrivo di un figlio, cosa che non succede agli uomini, lo spiegano i dati sulle carriere intermittenti e quelli dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Le donne che restano all’interno del mercato del lavoro, molto spesso oltre ad essere vittime del gap salariale, e conseguentemente guadagnare meno degli uomini a parità di mansioni, vivono una condizione di “isolamento” sia orizzontale, sia verticale.

Orizzontale perché lavorano prevalentemente in ambiti meno prestigiosi e meno retribuiti.

Verticale perché è raro trovare donne nelle posizioni apicali e strategiche.

Nella gran parte delle aziende italiane solo il 28% delle posizioni dirigenziali è ricoperto da donne: questo significa per molte donne non poter esprimersi totalmente, tenendo conto dei propri bisogni, soprattutto in ambito di conciliazione.

La conciliazione è infatti, ancora oggi, il punto cruciale nella vita di molte donne: nella distribuzione dei “ruoli di cura” siamo ancora lontani dalla parità di genere.

In base agli ultimi dati Istat all’interno delle coppie con figli e in cui entrambi i partner lavorano, sono le donne che dedicano in media il 22% del proprio tempo al lavoro familiare, mentre per gli uomini la percentuale scende al 9%.

Non credo, però, basterebbe risolvere il problema della divisione dei compiti per avere nel nostro paese pari opportunità….

Le differenze di genere emergono, infatti, in molti altri ambiti: a partire dall’istruzione per arrivare alla violenza.

Nell’istruzione le ragazze sono spesso “indirizzate e collocate” in alcuni ambiti di studio e sia i loro risultati, sia le loro scelte sono limitate dagli stereotipi di genere che le vogliono meno brave dei maschi nelle discipline matematiche.

La violenza contro le donne sta diventando un fenomeno diffuso: sia che si tratti di violenza fisica, sia che si tratti di violenza psicologica o di violenza online.

In Italia, ogni tre giorni si conta un femminicidio.

Nel “contesto positivo” del calo degli omicidi con uomini come vittime – 297 nel 2019, dato inferiore a quelli che si registrano in media negli altri Paesi Europei, risulta ancora più drammatico il fatto che permangono pressoché stabili i cosiddetti “femminicidi”: le donne uccise sono state 131 nel 2017, 135 nel 2018 e 103 nel 2019.

L’ultimo Rapporto Eures su Femminicidio e violenza di genere, ha messo in evidenza come l’ambiente familiare sia quello all’interno del quale viene commessa la maggior parte di questi reati.

Tra le mura domestiche, o comunque per mano di partner, mariti e fidanzati, vengono commessi oltre l’85% dei delitti con vittime femminili.

Secondo uno studio nell’ambito del progetto europeo WE GO – Women Economic Indipendence & Growth Opportuniy, proprio l’assenza di risorse economiche personali impedisce alle donne vittime di situazioni di violenza interna al nucleo familiare di provare a uscirne.

Troppi uomini continuano a sentirsi superiori, in tutti gli ambienti e a tutti i livelli.

La forza fisica resta l’unità di misura che colloca la donna ad un livello inferiore: allora realmente non sono stati fatti grandi passi avanti nell’evoluzione socioculturale.

Le donne sono quindi ancora oggi un passo indietro. La parità di opportunità non si è verificata, in un contesto sociale, quello italiano, che su molti fronti è ancora ben lontano dal concepire i ruoli del maschile e del femminile come bilanciati.

Lavoro, famiglia, istruzione, violenza, e recentemente anche nuove tecnologie, sono tutti ambiti in cui vanno intraprese azioni per raggiungere finalmente la parità: da un lato servono riforme strutturali, dall’altro è necessario che avvenga un grande cambiamento culturale.

Per quanto riguarda le riforme strutturali, il pensiero va subito, ad esempio, agli incentivi alla fruizione del congedo parentale da parte degli uomini, all’allungamento del periodo di paternità obbligatorio, ma anche all’incremento dei servizi di cura ai bambini sin dall’infanzia a prezzi accessibili, che favoriscano la conciliazione lavoro-famiglia.

Dal punto di vista culturale, le pari opportunità vanno insegnate come un valore sin dalla prima infanzia: le principali differenze di genere sono prettamente sociali.

E’ prioritario insegnare alle bambine e ai bambini, e alle loro famiglie, che il genere non deve essere discriminante nella scelta del loro percorso educativo, ma anche più in generale che il double standard, ovvero un giudizio negativo nei confronti di un modo di agire, solo se a compierlo è uno dei due generi, è esclusivamente un retaggio culturale.

Il concetto di parità, va di pari passo con quello di rispetto.

Diffondere la “cultura della parità” non può che avere un risvolto positivo per la popolazione intera.

Auspichiamoci anni in cui la libertà e l’indipendenza delle donne vengano finalmente da tutti riconosciute come strumenti per avere una società più equa, più giusta, più equilibrata, più competitiva e sana per tutti, non solo per le donne.

Solo così, attraverso il riconoscimento di pari diritti e pari opportunità tra donne e uomini, saranno sconfitte tutte le discriminazioni che oggi risultano insopportabili e indegne per un paese civile.

E allora bambine, ragazze, donne impariamo a “fare squadra” come succede negli spogliatoi delle squadre di calcetto maschili.

Facciamo gruppo, lavoriamo con la passione, la tenacia, la costanza che ci contraddistingue per il “nostro” obiettivo comune e impariamo a “passare palla“, a costruire unite il goal della vittoria della “nostra squadra”.

Esultiamo insieme per gli obiettivi raggiunti.

In poche parole: impariamo a usare il nostro individualismo e pragmatismo al servizio della comunità delle donne.

A Voi tutte dedico la prossima Giornata Internazionale della donna, con affetto, gratitudine e speranza: la dedico soprattutto a quelle che non hanno la fortuna di sapere che forti sono e quanto valgono e a quelle che lo sanno, ma non è ancora sufficiente …purtroppo….e quindi, come ogni anno, è necessario organizzarci tutte insieme e ricordare, festeggiando, le battaglie vinte e quelle che ancora dovremo combattere e le conquiste ottenute e quelle per cui ancora una volta, tutte insieme, dovremo mobilitarci!

Roberta Cazzulo

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

Il Ponte