Non frequento con assiduità Linkedin. Senonché, ieri notai un post che invitava, da parte di un operatore del settore Venture Capital italiano, il quale si rivolgeva con un certo trasporto – forse anche interessato – all’universo degli aderenti a questo specifico social a essere più coraggiosi nel promuovere start-up o incubatori di sviluppo, prendendo come esempio ciò che si realizzò alla fine degli anni ’70 nella Silicon Valley californiana. Sebbene personalmente trovi condivisibili gli appelli a dar prova di maggior audacia nel promuovere sperimentazioni nei settori di alta specializzazione tecnologica, resto assai dubbioso che simili chiamate possano trovare riscontro, salvo che non vengano a crearsi le condizioni di base ideali affinché le iniziative di tale portata possano germogliare con successo senza incorrere in una immediata essiccatura.
Ciò che mi angustia in questa pletora di giovani rampanti è la ferrea convinzione che basti solo l’iniziativa privata autonoma e individuale per cambiare le sorti di un territorio o di una località ritenuta “dormiente”. Non fu così, in particolare per la Silicon Valley e non sarà mai così nemmeno in futuro per qualsiasi quadrante industriale innovativo eccetto che la dimensione pubblica – i cui agenti debbano trovarsi nel ceto politico nei vari livelli di legittimazione – in una fase preliminare non ne sia direttamente coinvolta a vari gradi e con le sue riserve finanziarie.
Risposi:
“Le grandi aziende tecnologiche localizzate nella cosiddetta Silicon Valley negli Usa sono nate sulla base di una processo di ricerca pubblica di base, finanziato totalmente dal tesoro americano, in particolare con finalità di difesa militare. Molte sperimentazioni da parte delle Agenzie governative si sono dimostrate fallimentari e tali bancarotte sono state sopportate e addossate a danno dei contribuenti. Poche, invece, hanno raccolto l’interesse di alcuni Venture Capitals nel corso del fine anni ’70, i quali decisero d’investire in virtù dei processi di ri-regolamentazione giuridica economica varati nel corso del l’ultimo periodo dalla Presidenza Carter e quella successiva Reagan, nonché grazie alla forte disponibilità liquida di capitale privato dormiente profuso dal mercato finanziario di Wall Street.
Tuttavia, vi sono molti elementi che devono essere presi in considerazione per quanto concerne l’argomento da lei introdotto, tra cui quello dei contratti che impongono ai nascenti imprenditori cessioni di quote a scadenza del periodo d’avviamento, in parte esosi, destinate solo a ingrassare i patrimoni delle Private Equity. Con ciò il rischio dei Ventures – o Angels, dir si voglia – può essere giustificato qualora si vengono ad associare almeno tre elementi fondamentali che possono far presagire la riuscita di una filiera di sviluppo: l’esistenza di un distretto industriale già operante, o in alternativa, la locazione di una multinazionale, un’azienda leader con cui operare nei termini d’indotto traendo nel complesso un vantaggio collettivo; la presenza in loco di un polo di conoscenza scientifico superiore (Accademia); la disponibilità delle Autorità locali a facilitare, non solo il processo d’insediamento, bensì anche di assistenza burocratica-amministrativa, in particolar modo per tutto ciò che riguardi i nuovi vincoli di eco-compatibilità industriale.
Infine, bisogna che le Autorità pubbliche selezionino le opportunità sulla base di un calcolo derivante dal “moltiplicatore”: ovvero quanto reddito (lavoro), nonché crescita di valore del patrimonio privato individuale siano in grado di generare le nascenti attività. Nel menzionare la Città di Alessandria come luogo adatto per avviare un “up-grade” di tale portata, sappia che i nostri potenziali settori di sviluppo non compendiano quelli da lei enunciati nel suo testo evocativo. I capitali, pubblici o privati si possono anche trovare, purché l’investitore sia in primo luogo “paziente” e secondariamente garantito dal modello precedentemente illustrato. Auguri per il suo lavoro.”
fg