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Giorgio Laguzzi

Giusto un paio di giorni fa abbiamo udito, trasportate dai venti continentali in seno all’Europa, ennesime parole critiche nei confronti di una certa ortodossia riguardo agli strumenti e organismi adottati in questi anni per fronteggiare le varie crisi ed in particolare l’attuale; incuriositi, abbiamo ricercato tra le varie news del momento chi fosse questa volta il becero populista, o il militante dell’ala trokzista del partito leninista, il quale avesse osato pronunciare tale ennesimo inno demagogico. Tuttavia il messaggero degli dei questa volta si faceva latore di un qualcosa di inaspettato.

Dal tempio della divinità pagana post-moderna #MES, ormai degno erede della divinità apollinea #Spread, si devono essere levate urla di dolore e di strazio, anatemi di scomunica e accusa di alto tradimento nello scoprire che tali annunci giungessero questa volta dal campo riformista, per bocca nientemeno che dal presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, e dal rispettabilissimo ex Presidente del Consiglio italiano, Enrico Letta. A meno di voler inserire anche costoro nella pletora nauseante dei populisti e sovranisti che attentano alla democrazia liberale, forse andrebbe iniziare ad interrogarsi maggiormente sulla questione.

Ad un attento osservatore, d’altro canto, tale posizionamento non dovrebbe risultare nulla di strano, ma semplicemente come un ennesimo lento riallineamento della barra del riformismo verso una reimpostazione della visione della politica economica a partire dalla crisi del 2007-2008 in poi. D’altro canto, abbiamo già molte volte ricordato gli scostamenti di rotta riconosciuti da economisti come Paul De Grauwe, figure politiche di rilievo come Barack Obama, e super-addetti ai lavori delle istituzioni internazionali come Olivier Blanchard, per non parlare inoltre di altri segnali sopraggiunti anche in questi anni dallo stesso Parlamento Europeo.

Uscendo dallo stile provocatorio e rientrando nei ranghi di una discussione più seria, pare comunque chiaro che coloro i quali per molti anni, all’interno del pensiero riformista e progressista, si siano distinti per aver tentato di evitare che tale campo si “schiacciasse” su posizioni troppo acritiche nei confronti di una certa ortodossia politico-economica possano osservare ulteriori soddisfazioni riguardo ai cambi di rotta che la “crisi coronavirus” sta semplicemente accelerando, ma che erano appunto già in atto da almeno un decennio.

Le parole della presidente Lagarde, la quale pur correggendo il tiro rispetto alle parole di Sassoli  sulla cancellazione/riduzione del debito pubblico, parla nettamente di una BCE pronta a fornire tutta la copertura necessaria ai debiti pubblici degli stati membri senza altre condizionalità, sono anch’esse il sintomo di una consapevolezza maturata in questi anni, impensabili prima del 2007 e comunque poco probabili fino a pochi mesi fa. Se ad esse ci accompagniamo la linea “neo-keynesiana” (molto “Keynesiana” e poco “neo”, tra l’altro) della nuova direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, la quale ha richiamato il 15 Ottobre scorso alla necessità di un nuovo “ Bretton Woods moment”, il quadro lascia spazio a qualche buona speranza: (https://www.imf.org/en/News/Articles/2020/10/15/sp101520-a-new-bretton-woods-moment): “Il compito non sarà di ricostruire un mondo simile a quello pre-Covid, ma di creare una economia più sostenibile e inclusiva”, sono le parole chiave della direttrice del FMI, le quali lasciano chiaramente intendere che coloro i quali sperano e pensano in un incidente di percorso sul tragitto del cosiddetto neo-liberismo, correggibile con pochi giri di cacciavite, stia dalla parte sbagliata della storia. 

Il mondo post-Covid necessiterà di un cambio di rotta paragonabile a quello che segnò la nascita del sistema Bretton Woods della golden age occidentale degli anni 50′ e 60′,  per niente simile ad un ritorno alla rotta pre-2007.

Tutto ciò rappresenta un cambio di tipo politico che non può e non deve essere ignorato dai riformisti e progressisti italiani, i quali, a mio modesto avviso, farebbero bene a lasciare da parte battaglie simboliche in nomine MES, le quali risulterebbero improprie tanto quanto quelle fatte in passato in nomine Spread.

Sia chiaro non perché il MES sia di per sé qualcosa di irricevibile e negativo in toto; al contrario all’interno di esso, come ricorda anche il recente studio a firma Lucas Guttenberg, deputy director del Jacques Delors Centre di Berlino, si sono sviluppate conoscenze ed esperienza sulla gestione dei debiti pubblici e sulle relazioni coi creditori, delle quali la stessa Commissione Europea risultava carente.

Tuttavia, come riconosce Guttenberg stesso, il MES è un organismo che necessita di essere superato, poiché mantenerlo al di fuori  dello EU legal framework rischia seriamente di condannare all’irrilevanza sia il bacino di risorse accumulate, sia le capacità affinate in questi anni di relazionarsi coi creditori e gli investitori. Ma su questi aspetti più complessi, ritorneremo in un secondo articolo più approfonditamente.

Il mio modesto e piccolo punto di vista sarebbe quello di suggerire ai rappresentanti del riformismo e progressismo italiano di abbandonare le vesti del riformismo in sala liberal-moderata e rievocare invece uno spirito di riformismo nella sua accezione forse storicamente più propria, simile alla visione di Federico Caffè: una capacità del sistema politico di modellare il capitalismo e, se non governarlo completamente, quantomeno subordinarlo alle necessità sociali delle classi medie e popolari, e non viceversa.

Spero Letta e Sassoli siano figure sufficientemente influenti in questo campo per  spingere, quanto meno in questa fase, il vascello dei riformisti-progressisti verso uno stile un po’ più “rivoluzionario” che sogna e aspira ai balzi da gigante, invece che quello di un “moderatismo” disponibile al compromesso dei piccoli passi.

Giorgio Laguzzi

Giorgio Laguzzi

Nato ad Alessandria nel 1984 ha presto lasciato la sua città per conseguire un Dottorato di Ricerca in Logica matematica a Vienna. Ha intrapreso la carriera accademica in Germania per poi tornare a casa dove è attualmente ricercatore presso l'Università del Piemonte Orientale. Dal 2022 ricopre la carica di Assessore del Comune di Alessandria.

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