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Stiglitz 7

Joseph Stiglitz

In questo breve post Joseph Stiglitz conferma la sua prassi politica tipicamente rooseveltiana: il ritorno a uno Stato regolatore, investitore ma non compartecipe, che sappia guidare la nazione verso un cambiamento strutturale delle politiche economiche. Le lucide analisi  espresse in questo suo tratto d’impegnata maturità presentano meno formulazioni “teoriche” rispetto alle idee che in passato gli conferirono fama e autorevolezza, in luogo a una maggior caratterizzazione politica, pragmatica e militante.

Per Stiglitz la disuguaglianza è nefasta non solo per ragioni ideologiche ma lo è principalmente per la sua evidenza pratica. Il premio Nobel di Gary non ripudia la cosiddetta “eccezione americana” (The American exceptionalism), tuttavia ciò che un tempo questa significò prosperità può – in osservanza alla sua nota tesi https://ilponte.home.blog/2019/05/11/joseph-e-stiglitz-the-progressive-capitalism/ Progressive Capitalism – essere ancora rinverdita a patto che la si direzioni verso il basso (politica dei redditi e dei diritti sociali).

Per Stiglitz l’élite finanziaria di WS non è solo colpevole per quel flusso di ricchezza di cui beneficiò per quattro decenni incontrastata, sottraendolo alla middle-class (monetarismo, shareholder economy), ma lo è anche per la sua pervicace stoltezza nel non capire che gli USA si trovano al cospetto di un salto paradigmatico dal quale non si possono sottrarre (ambiente, istruzione e sanità), e che in forza di ciò il ripristino di quell’equilibrio sociale che garantiva l’eccezione americana non è altresì più rimandabile.

Realtà incontrovertibili che se non comprese con sufficiente contezza si tradurrebbero in una stagnazione dell’economia, nonché una appannamento dei valori democratici e conseguentemente, sul piano geostrategico, un vantaggio consegnato a l’emergente autoritarismo politico, le cui ombre, a parer suo, non farebbero ben sperare (Cina).

Priorities for the COVID-19 Economy

Jul 1, 2020 JOSEPH E. STIGLITZ

With hopes of a sharp rebound from the pandemic-induced recession quickly fading, policymakers should pause and take stock of what it will take to achieve a sustained recovery. The most urgent policy priorities have been obvious since the beginning, but they will require hard choices and a show of political will.

NEW YORK – Sebbene sembri una storia antica, non è passato tanto tempo da quando le economie di tutto il mondo hanno iniziato a chiudersi in risposta alla pandemia di COVID-19. All’inizio della crisi, la maggior parte delle persone si aspettava una rapida ripresa a forma di V, supponendo che l’economia avesse semplicemente bisogno di un breve periodo di pausa. Dopo due mesi di tenera cura amorevole e un sacco di soldi, essa avrebbe ripreso il suo corso dal punto in cui s’interruppe.

È stata un’idea accattivante. Ma ora siamo già nel mese di luglio e un recupero a forma di V è probabilmente una fantasia. È probabile che l’economia post-pandemia sia anemica, non solo nei paesi che non sono riusciti a gestirla (in particolare gli Stati Uniti), ma anche in quelli che si sono comportati bene. Il Fondo monetario internazionale prevede che entro la fine del 2021 l’economia globale sarà a malapena più grande di quanto non fosse alla fine del 2019, nello specifico la statunitense e l’europea saranno ancora inferiori di circa il 4 %.

Le prospettive economiche attuali possono essere visualizzate su due livelli. La macroeconomia ci dice che la spesa diminuirà, a causa dell’indebolimento dei bilanci delle famiglie e delle imprese, una esplosione di fallimenti che distruggerà il capitale organizzativo e informativo, inoltre vi sarà un forte comportamento precauzionale indotto dall’incertezza sul corso della pandemia e in ragione delle risposte politiche adottate. Allo stesso tempo, la microeconomia ci dice che il virus agisce come una tassa sulle attività che coinvolgono lo stretto contatto umano, quindi continuerà a guidare notevoli cambiamenti nei modelli di consumo e di produzione, che a loro volta determineranno una più ampia trasformazione strutturale.

Sappiamo sia dalla teoria economica sia dalla storia che i mercati da soli non sono adatti a gestire una simile transizione, soprattutto considerando l’immediatezza tipica di tali eventi. Non esiste un modo semplice per convertire i dipendenti delle compagnie aeree in tecnici di Zoom. E anche se potessimo farlo, i settori che ora si stanno espandendo sono molto meno ad alta intensità di manodopera e a elevata intensità di competenze rispetto a quelli che stanno per essere soppiantati.

Sappiamo anche che ampie trasformazioni strutturali tendono a creare un tipico problema keynesiano, dovuto a  ciò che gli economisti chiamano effetti sul reddito e sulla sostituzione. Anche se i settori che non richiedono contatto umano si stanno espandendo, riflettendo i miglioramenti della loro relativa attrazione, i suoi collegati aumenti della spesa saranno compensati dalla diminuzione di quella derivante dal calo dei redditi nei settori in controtendenza.

Inoltre, nel caso della pandemia, ci sarà un terzo effetto: la crescente disuguaglianza. Poiché le macchine non possono essere infettate dal virus, appariranno relativamente più attraenti per i datori di lavoro, in particolare nei settori degli appalti ove si utilizza manodopera relativamente non qualificata. E poiché le persone a basso reddito devono spendere una quota maggiore delle loro entrate in beni di base rispetto a quelle posizionate ai vertici, qualsiasi aumento della disuguaglianza guidato dall’automazione sarà depressivo.

Oltre a questi problemi, ci sono altre due ragioni per essere pessimista. In primo luogo, mentre la politica monetaria può aiutare alcune aziende a far fronte a vincoli di liquidità temporanei – come accaduto durante la Grande Recessione del 2008-09 – non è in grado di risolvere i problemi connessi alla solvibilità, né può stimolare l’economia quando i tassi di interesse sono già vicini allo zero.

Inoltre, negli Stati Uniti e in alcuni altri paesi, le obiezioni tipicamente “conservatrici”, relative all’aumento dei deficit e dei livelli del debito, ostacoleranno il necessario stimolo fiscale. A dire il vero, parliamo di quelle stesse persone che erano più che entusiaste quando si trattò di tagliare le tasse per i miliardari e le società nel 2017, salvare Wall Street nel 2008 e dare una mano ai colossi aziendali quest’anno. Ma tutto ciò è ben altra cosa che estendere l’assicurazione di disoccupazione, l’assistenza sanitaria e il sostegno aggiuntivo ai più vulnerabili.

Le priorità a breve termine erano già abbastanza chiare all’inizio della crisi. Ovviamente, l’emergenza sanitaria deve essere affrontata (ad esempio garantendo adeguate forniture di dispositivi di protezione individuale e capacità ospedaliere), perché non ci può essere ripresa economica fino a quando il virus non sarà contenuto. Allo stesso tempo, [si ritiene necessario] l’avvio di politiche per proteggere i più bisognosi, l’esborso di liquidità per prevenire fallimenti inutili e il mantenimento di un collegamento tra i lavoratori e le loro aziende, quali condizioni essenziali per garantire un rapido riavvio al momento opportuno.

Ma anche con questi ovvi elementi essenziali all’ordine del giorno, ci sono scelte difficili da fare. Non dovremmo salvare quelle imprese – come i grandi tradizionali distributori di beni al dettaglio – le quali erano già in declino prima della crisi; farlo creerebbe semplicemente “zombi”, limitando in definitiva il dinamismo e la crescita. Né dovremmo salvare le imprese già troppo indebitate e che non sarebbero in grado di resistere a qualsiasi shock. La decisione della Federal Reserve americana di sostenere il mercato delle obbligazioni spazzatura (junk bond) con il suo programma di acquisto di attività è quasi certamente un errore. In effetti, questo è un caso in cui l’azzardo morale è davvero una preoccupazione di cui dobbiamo tener presente; i governi non dovrebbero proteggere le imprese dalla propria follia.

Poiché sembra che COVID-19 rimarrà con noi a lungo termine, abbiamo tempo per garantire che i nostri modelli di spesa riflettano le nostre priorità. Quando arrivò la pandemia, la società americana fu colpita da disuguaglianze razziali ed economiche, dal declino degli standard sanitari e da una dipendenza distruttiva derivante dai combustibili fossili. Ora, che la spesa pubblica viene ampiamente erogata senza restrizioni, la cittadinanza ha il diritto di chiedere che le aziende riceventi un aiuto contribuiscano alla giustizia sociale e razziale, al miglioramento della salute e al passaggio a un’economia più verde e basata sulla conoscenza. Questi valori dovrebbero riflettersi non solo nel modo in cui allochiamo denaro pubblico, ma anche nelle condizioni che imponiamo ai suoi destinatari.

Come in un recente studio sottolineo, congiuntamente con i miei co-autori, una spesa pubblica ben orientata, in particolare per gli investimenti verso la transizione verde, può essere puntualmente opportuna, ad alta intensità di lavoro (contribuendo così a risolvere il problema relativo all’aumento della disoccupazione) e altamente stimolante, apportando molto più spinta per il dollaro rispetto, diciamo, che ai tagli delle tasse. Non vi è alcun motivo economico perché paesi, compresi gli Stati Uniti, non possano adottare programmi di ripresa di vasta portata e sostenibili che confermeranno – o per lo meno si avvicineranno – le necessità di quelle società che pretendono di rappresentare.

Joseph E. Stiglitz, a Nobel laureate in economics and University Professor at Columbia University, is Chief Economist at the Roosevelt Institute and a former senior vice president and chief economist of the World Bank. His most recent book is People, Power, and Profits: Progressive Capitalism for an Age of Discontent.

https://www.project-syndicate.org/commentary/covid-2020-recession-how-to-respond-by-joseph-e-stiglitz-2020-06

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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