Nel Settembre del 2018, Nouriel Roubini, professore alla Stern School of Business – uno dei pochi economisti che seppe prevedere nel dettaglio come si sarebbe materializzato il credit crunch finanziario del 2007, da cui la successiva grande recessione mondiale – scrisse un breve articolo[1] nel quale avvertì i mercati che l’euforia del momento si sarebbe interrotta nel 2019, e che tra il primo trimestre e il secondo del 2020 avremmo assistito a una fase di brusca controtendenza. Egli elencò dieci punti nodali in base ai quali la nuova crisi si sarebbe avverata.
Da qualche mese il FMI continua a lanciare segnali un po’ ambigui sulla tenuta delle borse mondiali, un messaggio a mezza strada, tra il rassicurante e il preoccupato. Si potrebbe interpretare come un linguaggio assai criptico, di doppia lettura, volto a non spaventare gli investitori, ma altresì a preoccupare gli analisti e i grandi gestori di fondi. In questi giorni filtra dalla stampa economica americana la notizia in corrispondenza della quale Jerome Powell, il Chairman della FED – Banca centrale USA – sarebbe intenzionato a non solo accantonare l’idea di alzare il tasso di sconto ma addirittura a volerlo abbassare nell’immediato futuro.
Come afferma in modo corretto l’economista britannica Grace Blakeley, analista del pregiato IPPR Londinese[2], nel post a seguire, la verità sta nel fatto che l’economia americana, combinata con quella mondiale, è assediata da un mostruoso debito di fonte privata. Una specie di gigantesco Ponzi’s scheme. La notizia secondo cui molti cittadini americani non riescano più a pagare le rate di finanziamento per l’acquisto dell’autovettura (car-loan) è ormai di dominio pubblico. La crescita esponenziale del debito studentesco (student-loan) negli USA è materia di aspra denuncia da parte dei canditati democrats che corrono nelle primarie (Sanders, Warren).
Grace Blakeley, riguardo al caso specifico, è riuscita nell’intento di scrivere un testo facile e divulgativo su di una materia, la cui complessità intersettoriale è assai nota. Tuttavia, data la specificità dell’argomento, non ha potuto evitare d’introdurre qualche tecnicismo di esplicita derivazione finanziaria. Le conclusioni che possiamo trarre da questo breve articolo si riassumono in un solo chiaro avvertimento: far suonare i campanelli d’allarme in merito alla enorme esposizione finanziaria che correntemente grava sulle aziende e sulle famiglie di gran parte del globo terracqueo. Si tratta di un timore tanto giustificato quanto tecnicamente valido che si discosta in modo netto rispetto alla vulgata corrente che tende a individuare il debito pubblico come la scaturigine di tutti i mali che affliggono l’economia reale.
Detta in altri termini, nel “retrobottega” dello Stato si trova sempre una pressa pronta all’uso per stampare soldi con lo scopo di pagare fornitori, utenti e investitori (signoraggio), mentre i privati, le banche, sono per legge privi di questo macchinario e quasi sempre, in condizioni di alta rischiosità, falliscono.
A new global recession is getting closer — and the world is woefully unprepared
The US yield curve has inverted a year before every one of the country’s past seven recessions.
27 March 2019
By Grace Blakeley
Il 22 marzo, la più grande novità nel mondo finanziario è stata l’inversione della curva dei rendimenti USA. Alla fine della giornata, le ricerche su Google relative a “recessione” e “curva dei rendimenti” hanno entrambe subito un picco. Non è difficile capire il perché: la curva dei rendimenti si è sempre invertita un anno prima di ognuna delle ultime sette recessioni negli Stati Uniti.
La curva dei rendimenti classifica i rendimenti che gli investitori possono aspettarsi dal mettere i loro soldi in titoli di stato con date di scadenza differenti. Tecnicamente, il rendimento di un titolo del Tesoro statunitense (Treasury bond) è determinato dal tasso di interesse offerto e dal prezzo che un investitore paga per acquistarlo, ciò influisce sull’offerta e sulla domanda del titolo. Una maggiore domanda rende le obbligazioni più costose, il che spinge verso il basso i rendimenti.
In generale, gli investitori cercano un premio per detenere obbligazioni che maturano in un dato periodo più lungo. I buoni del tesoro decennali dovrebbero avere un rendimento più elevato degli stessi a tre mesi perché gli investitori si aspettano di essere risarciti per il rischio di prestare denaro al governo per un periodo di tempo maggiore. Ciò significa che la curva dei rendimenti di solito sale verso l’alto.
Quando la curva dei rendimenti s’inverte, i rendimenti di un’obbligazione a scadenza più lunga sono gli stessi di quelli di una stessa con scadenze più brevi: in questo caso, i titoli di stato decennali pareggiano lo stesso valore di quelli a tre mesi. In altre parole, gli investitori non chiedono più denaro per il prestito al governo con una scadenza a dieci anni rispetto allo stesso con una scadenza a tre mesi.
Il motivo per cui la curva dei rendimenti è un indicatore di recessione così affidabile è che essa rivela le aspettative degli investitori. Costoro se sono preoccupati per un picco futuro dell’inflazione, tradizionalmente associato a una crescita elevata, i rendimenti sulle obbligazioni a scadenze più lunghe aumenteranno drasticamente. Viceversa, se gli investitori non chiedono un premio per la detenzione di obbligazioni a più lunga scadenza, vuole dire che non prevedono una maggiore inflazione, il che significa che non si aspettano una forte crescita futura.
La corsa verso le obbligazioni a più lunga scadenza – che sono considerate tra le attività più sicure del sistema finanziario – è anche una fuga verso la sicurezza. Se gli investitori sono incerti sui rendimenti in altre aree dei loro portafogli – come azioni o obbligazioni societarie – è probabile che investano di più in titoli del tesoro, ciò garantisce almeno che non perderanno denaro.
L’inversione della curva dei rendimenti è stata successiva agli annunci cauti della Federal Reserve [Banca Centrale] degli Stati Uniti del 20 marzo. Dopo aver ridotto le sue previsioni di crescita USA dal 2,3 al 2,1 per cento, la Fed ha annunciato di abbandonare la sua decisione del 2017 che la impegnava ad aumentare costantemente i tassi di interesse (attualmente 2,5%) e invertire l’allentamento quantitativo (QE, ossia l’acquisto di massa di titoli di stato da parte della Banca Centrale).
La decisione della Fed di abbandonare la stretta monetaria nel 2019 serve come conferma che la normalizzazione della politica monetaria potrebbe far cadere l’economia in recessione (il cui avvertimento è presente nel mio recente articolo di copertina sul “the next crash”). Si tratterebbe di una situazione straordinaria a questo punto del ciclo economico. E quando gli Stati Uniti entreranno in recessione, probabilmente trascineranno una sclerotica Europa e con essa il Giappone.
Alcuni analisti sottolineano che il QE (acquisto titoli da parte della banca centrale) ha depresso i rendimenti e che probabilmente ha influito sull’affidabilità della curva come indicatore di recessione. Questa considerazione è indubbiamente vera, poiché se si trattasse solo dell’inversione della curva dei rendimenti, potrebbe non essere una fonte di preoccupazione.
Ma all’orizzonte vi sono numerose altre nubi temporalesche: le guerre commerciali globali, la Brexit, la crescita più debole in Cina (tra il 6 e il 6,5 per cento, rispetto al 14 per cento nel 2007) e l’aumento della volatilità nei mercati finanziari in tutto il mondo. Poi, ci sono gli inaspettati “eventi del Cigno Nero”, [Black Swan, improvvisa e repentina caduta dei mercati] che per definizione non possiamo anticipare.
Tuttavia, il vero motivo di preoccupazione. In effetti la ragione per cui il QE era necessario in primo luogo sta nella montagna di debito che incombe sull’economia globale. Il debito globale è ora tre volte più grande del PIL globale (244 trilioni di dollari) a seguito del boom del debito tra le società negli Stati Uniti; dei consumatori nel Regno Unito, in Australia, in Canada e nei paesi nordici; e quasi in ogni settore dell’economia cinese.
Il motivo per cui la Fed è costretta a mantenere la politica monetaria rilassata dipende dal fatto che, con il debito del settore privato così elevato, ulteriori aumenti dei tassi d’interesse potrebbero innescare una recessione e inadempienze da parte dei consumatori e delle imprese.
Viviamo in una “zombi economia”, in cui la crescita è appesantita da debiti non pagabili, eppure l’unico modo per sostenerla è quella di crearne altri. A un certo punto, questo schema piramidale globale collasserà inevitabilmente. E i nostri responsabili politici – il cui così tanto fastidio mostrato per il debito pubblico li ha portati a ignorare la crisi del debito privato – sono miseramente impreparati.
Grace Blakeley is the New Statesman’s economics commentator and a research fellow at IPPR.
[1] https://www.project-syndicate.org/commentary/financial-crisis-in-2020-worse-than-2008-by-nouriel-roubini-and-brunello-rosa-2018-09
[2] https://www.ippr.org/