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Non è arduo presumere che la Lega e i suoi alleati del Centro-destra spiegheranno le proprie vele al vento dell’immigrazione nel corso dell’attuale campagna elettorale con il precipuo scopo di conquistare il governo del paese. Un argomento emotivamente accattivante, il tema del “diverso” o peggio dell’ “intruso” da sempre suscita in ogni comunità umana un senso d’apprensione, un timore diffuso. Se poi il nuovo arrivato abbracciasse altri valori spirituali o se le sue caratteristiche fisiognomiche (colore della pelle) differissero da quelle degli autoctoni la diffidenza si trasforma in emarginazione sociale.

Qualora ciò corrispondesse alla realtà allora ci si dovrebbe chiedere il perché nei grandi centri d’eccellenza innovativa una buona parte delle maestranze appartiene alla categoria dei cosiddetti immigrati. E’ assai noto che in questi santuari del progresso (Silicon Valley) molti amministratori delegati, top manager a capo d’importanti corporation sono d’origine indiana, afro-asiatica, europea, sino-asiatica, non propriamente nati e cresciuti nelle immediate vicinanze.

Questa semplice riflessione, avvalorata dalle risultanze empiriche, ovvero dai dati di fatto, ci porta a constatare che il tema dell’immigrazione dipende quasi sempre da una variabile indipendente, la quale gioca un ruolo dirimente nella scelta dei nuovi arrivati: la qualità della domanda e dell’offerta di lavoro.

Quanto più entrambe sono d’infimo livello tanto più l’immigrazione è di scarsa qualità. Ovviamente vale anche l’opposto.

Un’economia locale “povera” basata su settori tradizionali (logistica di base, edilizia, grande distribuzione) o nel campo della sempre più carente offerta pubblica del circuito assistenziale (care), la sua selvaggia finanziarizzazione, non attirerà talenti internazionali, non sarà appetita da giovani cibernetici, o da ricercatori ambiziosi, bensì da lavoratori in gran parte immigrati privi di particolari specializzazioni (unskilled) disponibili ad accettare condizioni di lavoro al ribasso pur di strappare un misero salario.

Ciò fa sì che si sgretoli quel bastione eretto a difesa delle tutele economiche e dei diritti sociali faticosamente acquisiti grazie alle lotte sindacali protrattesi nei successivi trent’anni dal dopoguerra fino al termine degli anni ‘70. Inoltre, la sola immigrazione “di fatica” produce nel quadro macroeconomico di riferimento una generale stagnazione; un mancato incentivo verso quell’obbligata transizione “occidentale” da linee di produzione ormai obsolete, non più competitive internazionalmente, a una società incentrata sull’offerta di elevati servizi digitalizzati, ivi compresa l’Intelligenza Artificiale.   

Per converso, un microsistema locale volto alla crescita, sostenuto da politiche di bilancio (investimenti pubblici mirati), alimenta la partecipazione di capitale privato, che congiuntamente alle politiche pubbliche opera per la realizzazione di una “mission” concordata e specifica, il cui fine si realizza nella valorizzazione del territorio. La convergenza tra pubblico, privato e centri della conoscenza (Università) è la formula magica attraverso cui molti “cluster” locali si sono imposti come prototipi di R&D (ricerca e sviluppo) all’attenzione del mercato internazionale attirando nel contempo un flusso di persone dotate di particolari competenze (skilled) e disponibili a soddisfare la domanda di lavoro.

Le istituzioni politiche territoriali, oltre che essere i principali vaticinatori, ne devono essere anche i garanti affinché la creazione di tali ecosistemi rientrino entro il quadro della sostenibilità ambientale. Allo Stato è affidato un compito fondamentale: promulgare e coordinare policies che rendano accettabile le diseguaglianze (progressività delle aliquote fiscali, leggi che tutelino diritti sociali e di rappresentanza sindacale dei lavoratori).

Questo è il presupposto in base al quale l’immigrazione “ricca” con quella “povera” possono entrambe coesistere nel rispetto delle differenze di reddito e di competenze. Nelle condizioni di normalità dei flussi di mercato la prima genera un moltiplicatore di ricchezza distributiva, i cui effetti assicurano che i salari della seconda saranno dignitosi, le condizioni di lavoro conformi agli standard contrattuali, i loro diritti sociali mantenuti. Questa bassa intensità di conflittualità sociale favorisce il processo d’interazioni tra le due parti, ne accelera l’integrazione e promuove per la seconda, nello spazio di una generazione, la possibilità di ascendere socialmente. Nel caso di potenziali avversità esogene (crisi di mercato, contrazione della domanda) la prima, grazie alla sua solida specificità, è in grado di poter meglio sostenere la vulnerabilità della seconda.

Quindi, non serve né urlare nei confronti dell’ “intruso”, né tanto meno indossare le vesti del buon samaritano. Serve invece creare quei presupposti di crescita collettiva, di coesione sociale, di sviluppo locale, di coordinamento con le istituzioni regionali e nazionali, affinché una comunità come la nostra esca da quella fase di quiescenza talmente lenta e prolungata nel tempo a causa della quale a noi stessi cittadini viene a mancare perfino la consapevolezza dell’impoverimento.

fg

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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