Mariano G. Santaniello
Alessandria e la sua Università: un connubio che ha ormai alcuni decenni di vita, ma un matrimonio che si è dipanato tra alti e bassi, con momenti e risultati non sempre indimenticabili. La configurazione territoriale a triade sul Piemonte orientale non ha certo favorito il suo radicamento territoriale, ma è un dato abbastanza incontrovertibile che la presenza dell’ateneo in città ancora oggi non è vissuto con compartecipazione dalla popolazione e certamente Alessandria non si offre quale città universitaria.
Le ragioni sono forse da ricercarsi nella riottosità un “po’ mandrogna” verso le novità oppure nel ritenere questa esperienza così giovane e fuori dagli schemi correnti nel mondo accademico nazionale, da far sì che non abbia saputo amalgamarsi in maniera convincente con il tessuto sociale alessandrino. E’ possibile che siano queste le motivazioni, o forse siano altre ancor più articolate e complesse, ma ritengo che una quota parte di responsabilità non piccola sia da far ricadere anche sull’ateneo e su come ha gestito storicamente la sua presenza nel tempo e in città.
Mi pare abbastanza evidente che nel corso degli anni si siano effettuate scelte strategiche sul piano degli investimenti e su quello della creazione di reti di relazioni con il tessuto culturale ed economico territoriale che gradatamente possono essere apparse contraddittorie e non hanno aiutato a costruire un percorso di identificazione e di riconoscimento reciproco tra la città e l’università.
In questi ultimi mesi il tema dell’UPO in Alessandria ricorre spesso sulle pagine dell’informazione locale ed è stato oggetto di specifici momenti pubblici d’incontro. La recente nomina di un nuovo Consiglio di Amministrazione dell’ateneo che governerà e gestirà per la durata del suo mandato l’Università – e che ha tra i suoi consiglieri eletti anche il dott. Antonio Maconi, navigata personalità politica di rilievo nel panorama alessandrino – e la successiva approvazione del Bilancio di previsione 2020-2022 hanno riportato d’attualità l’argomento.
Se è vero che dalla lettura di un bilancio si possono intravvedere le scelte e le strategie di un ente da parte dei suoi amministratori, bisogna riconoscere che anche questa volta l’UPO non ha sfruttato appieno una ghiotta occasione ovvero quella di ricercare e individuare una strada per intavolare un rinnovato rapporto con la città e il suo territorio. Le voci di investimento in campo destinate ad Alessandria infatti appaiono assai modeste, se rapportate a quelle sulle altre sedi di Vercelli e Novara e, anche se si saluta con grande favore l’istituzione della nuovo corso di Medicina con evidenti risvolti sulla struttura ospedaliera e sanitaria alessandrina, appaiono ancora deficitarie le indicazioni di nuove poste di allocazioni finanziarie su quelle che sono le spese per l’edilizia universitaria.
Negli anni e nei mesi passati il comportamento e l’atteggiamento dell’ateneo alessandrino è stato ondivago e per certi versi recalcitrante. Si sono poste al vaglio dell’Università una serie di possibili opportunità di localizzazione per nuovi insediamenti o per consolidare e potenziare situazioni già in essere, ma non si è mai riusciti a concretizzare in maniera fattiva e condivisa. Spesso, troppo spesso, a causa dei dinieghi dell’UPO stessa che ha addotto le più variegate ragioni.
Il tema però si sta proponendo in termini sempre più stringenti e, per certi aspetti, correlati alla sopravvivenza stessa, dell’Università in città nel medio/lungo periodo.
L’edilizia residenziale universitaria è sicuramente uno dei fattori strategici per la costruzione di un adeguato tessuto connettivo con la città, capace di dare risposte e attrazione ulteriore alle domande che provengono da parte della potenziale utenza e dei possibili fruitori. Ma non solo: ruoli fondamentali giocano anche l’edilizia per la didattica e quella per le strutture di servizio alle facoltà e agli studenti.
Un discorso a sé stante poi andrebbe aprire sul tema dei finanziamenti privati, dove il tessuto economico territoriale, nella sua accezione più ampia, dovrebbe svolgere un ruolo assai più dinamico e centrale, risolvendo molte delle remore e delle costrizioni spesso dettate da un approccio provinciale deleterio e poco incline all’innovazione.
Un interessante aspetto aggiuntivo potrebbe essere quello della attivazione di possibili sinergie tra ciò che l’Università mette in campo sotto il profilo della didattica, della ricerca e delle strutture di servizio (mense, biblioteche, archivi, ecc.) con quelle che sono le risorse culturali e istituzionali che può invece offrire il territorio e la città sotto questi aspetti, valorizzando in tal modo strutture, strutture e patrimonio pubblico in materia di sapere e di conoscenza.
Ad esempio il coinvolgimento dell’ISRAL – Istituto per la Storia della Resistenza e la società contemporanea in provincia di Alessandria “Carlo Gilardenghi” – che è detentore di un’importante biblioteca pubblica settoriale e di una ricca dotazione di archivio storico tematico, potrebbe far parte di un progetto, unitario ed omogeneo, con la creazione di un polo culturale di primo piano strettamente collegato alle scienze giuridico-sociali di primo piano su scala non solo regionale, risolvendo contemporaneamente fenomeni di dispersione territoriale urbana oltre che di risorse finanziarie e umane.
Appare evidente come le scelte di localizzazione per gli investimenti in materia di edilizia universitaria siano fattori di sviluppo, di riqualificazione e di gentrificazione urbana; troppi sono ormai gli esempi sparsi sia sul territorio nazionale che su quello internazionale a cui potersi allacciare. Ma le scelte in materia di programmazione e pianificazione urbana e territoriale competono alle istituzioni competenti e non ad altri; certo dovranno essere oggetto di un ampio e approfondito dibattito pubblico, concertate e condivise, ma la decisione dovrà essere in capo ai soggetti preposti tenendo conto delle ricadute possibili per la collettività.
Le proposte di localizzazione che si sono sin qui avvicendate sono state per lo più ricusate adducendo motivazioni che sono risultate talvolta poco comprensibili. E’ plausibile sostenere che trattandosi di significativi investimenti di risorse finalizzati alla promozione di attività costituzionalmente riconosciute in capo al pubblico ovvero l’istruzione, l’alta formazione, la conoscenza e la ricerca, la possibilità di indirizzare queste risorse verso la valorizzazione e la ri-funzionalizzazione di strutture e porzioni di territorio urbano di proprietà pubblica, sarebbe cosa buona e giusta evitando di attribuire ai detentori di rendite fondiarie ruoli che potrebbero svolgere in maniera differente.
Credo che una possibile strada percorribile sia quella della costruzione di un tavolo di lavoro comune che riesca a coordinare e concertare le opzioni sul campo con le varie istanze e necessità, valorizzando una o più porzioni di città, potenziando le strutture universitarie sia didattiche che non, attribuendo valore aggiunto e ulteriori servizi all’offerta culturale dell’ateneo e della città stessa. Un tavolo a cui far sedere oltre che l’Università e il Comune, anche la Provincia di Alessandria, le Fondazioni bancarie – prima tra tutte la Fondazione CRA – e istituzioni culturali pubbliche, come appunto l’ISRAL o private come l’ associazione Cultura & Sviluppo. Un’azione di cooperazione trans-istituzionale di questo tipo renderebbe peraltro assai più credibile – in quanto concertata e condivisa – la presenza consapevole dell’Università all’interno del tessuto cittadino, facendo sì che Alessandria senta propria un’importante realtà che, oltre a dar lustro al territorio, deve divenire volano di crescita e sviluppo economico, culturale e non solo.
Mariano G. Santaniello