Ottima quest’analisi di Dani Rodrik sul voto Democrats americano. Forse, non così crudele come quella di Owen Jones – brillante editorialista del The Guardian – che lo ha dipinto come un “mezzo fallimento”, ma ben argomentata, dal cui tratteggio si evidenziano le fratture e gli inceppi ove la presunta “blue wave” si è imballata. Una delle argomentazioni più salienti dell’eterodossia intellettuale di sinistra, poco considerata dalla sua élite al vertice – sia essa moderata o radicale – riguarda la mancata comprensione della fenditura culturale e politica d’ordine geografico-spaziale che nel corso del processo di globalizzazione si è venuta a creare in occidente all’interno di quei tradizionali ceti di riferimento dai quali la stessa sinistra riscuoteva consenso.
Assistiamo a una progressiva regressione conservatrice e tradizionalista del ceto medio sia nelle aree meno densamente popolate, una sorta di “vendetta della territorialità (heartland)”, sia nelle grandi concentrazioni periferiche operaie sub-urbane, tra le più flagellate dalla crisi economica e sociale. Rodrik, pare dirci che una concezione prevalentemente “estetico-umanitaria” di una certa sinistra che persegua come primo obiettivo l’ampliamento delle libertà civili e personali, (lotta al razzismo, parità di genere, ecc.) pur essendo encomiabile, non trova ascolto in quei territori ove i problemi prioritari sono di altro tipo.
Qui, il politologo di Harvard tocca un nervo scoperto: il cronico smottamento e la relativa pauperizzazione di una gran parte della low middle-class occidentale. Proprio quella in cui i suoi appartenenti, sfortunatamente, non sono nati né cresciuti in zone ad alta intensità tecnologica e innovativa. In effetti, il “suicidio” utopistico del Corbyn 2, al quale abbiamo dolorosamente assistito nel 19, è da attribuirsi, parzialmente, a questo fenomeno, il cui esito si è materializzato in un disancoramento dalla rappresentanza. L’aver supposto che un pensiero progressivo urbano incontrasse l’apprezzamento dei figli o nipoti (maschio o femmina) dei minatori di Workington nel Red Wall (labourista da un secolo), oggi disoccupati o precarizzati, fu come giocare a mosca cieca. Vinse Boris Johnson.
Interpretando Rodrik, questa frattura per essere ricomposta necessita che all’interno dello schieramento progressista alcune derive astratte come un eccesso di solidarismo umanitario, nonché la pretesa di ergersi come campione di una moralità terrena, debbano cedere il passo a un disegno di tipo “pragmatico-materialista”, il cui scopo verta principalmente nel modificare l’attuale modello economico vigente. Maggiori investimenti pubblici, ove necessari; strumenti istituzionali che offrano ai privati la possibilità di competere liberamente; tutela dei consumatori; smembramento dei monopoli; e possibilmente un riallineamento del sistema monetario internazionale, dal quale lo Yuan cinese ha tratto enorme beneficio.
Il tutto attraverso un mercato “regolato” e non alterato o addirittura di fatto “soppresso” dalla costante produzione di danaro da parte delle BBCC, in modo non dissimile dai dettami della MMT (Modern Money Theory), il cui fascino attrae non pochi esponenti della sinistra più suggestiva, ma che nel contempo finisce per arricchire gli speculatori di WS. Rodrik corre sul filo di un rasoio su cui si è già incamminato Stiglitz da tempo e che fu lo stesso che percorse il Keynes (20/30) ricavandone quella geniale ispirazione che inchiodò il lasseiz-faire alle sue responsabilità.
The Democrats’ Four-Year Reprieve
Nov 9, 2020 DANI RODRIK
He may not know it yet, but the most important question US President-elect Joe Biden faces is how Donald Trump managed to win an even larger number of votes than he did four years ago, despite his lies, corruption, and disastrous handling of the pandemic. Unless he addresses it, a rude awakening awaits the Democratic Party in 2024.
CAMBRIDGE – Mentre Joe Biden ha ottenuto una vittoria sofferta alle elezioni presidenziali americane dopo alcuni giorni d’incertezza, gli osservatori della democrazia americana rimangono perplessi. Sostenuti dai sondaggi, molti si aspettavano una valanga di voti per i Democratici, con il partito che avrebbe conquistato non solo la Casa Bianca ma anche il Senato. Come ha fatto Donald Trump a mantenere il sostegno di così tanti americani – ricevendo un numero di voti ancora maggiore rispetto a quattro anni fa, nonostante le sue palesi bugie, l’evidente corruzione e la disastrosa gestione della pandemia?
L’importanza di questa domanda va oltre la politica americana. Ovunque i partiti di centro-sinistra stanno cercando di rilanciare le loro fortune elettorali contro i populisti di destra. Anche se l’indole Biden è notoriamente centrista, la piattaforma del partito democratico si è spostata notevolmente a sinistra, almeno per quanto concerne gli standard americani. Una netta vittoria democratica sarebbe stata una spinta significativa per gli spiriti della sinistra moderata: forse tutto ciò che serve per vincere è combinare politiche economiche progressiste con l’attaccamento alla causa democratica e un fondamentale rispetto per i valori umani.
Il dibattito è già su come i Democratici avrebbero potuto fare meglio. Sfortunatamente, dalla loro vittoria di misura non si raccolgono facili soluzioni. La politica americana ruota attorno a due assi: cultura ed economia. Su entrambe le questioni poste, possiamo trovare coloro che incolpano i Democratici per essersi spinti troppo oltre e quelli che li biasimano per non essere andati abbastanza lontano.
Le guerre culturali contrappongono zone socialmente conservatrici, prevalentemente bianche, alle aree metropolitane dove i cosiddetti atteggiamenti di “risveglio informato e cosciente” hanno assunto il predominio. Da un lato abbiamo i valori della famiglia, l’opposizione all’aborto e il diritto alle armi. Dall’altro, abbiamo i diritti LGBT, la giustizia sociale e il rifiuto al “razzismo sistemico”.
Molti di coloro che hanno votato per Trump hanno notato il sostegno dei democratici alle proteste di strada, svoltesi nel corso di quest’anno, contro la brutalità della polizia come se intendessero condonare la violenza e quindi dipingere la nazione nel suo insieme con l’ampio pennello del razzismo. Mentre Biden si mostrò molto attento nel parlare contro la violenza, i Democratici divennero suscettibili alle accuse di superbia morale e denigrazione dei valori patriottici. Per gli altri, il continuo sostegno a Trump conferma semplicemente quanto siano radicati il razzismo e il bigottismo, e l’urgente necessità del Partito Democratico di combatterli.
In termini economici, molti osservatori, inclusi alcuni democratici centristi, ritengono che il partito abbia respinto gli elettori conservatori spostandosi troppo a sinistra. Fedeli alla forma, i repubblicani hanno alimentato i timori di tasse elevate, politiche ambientali che uccidono il lavoro e una sorta di sanità socializzata. In entrambi i principali partiti politici statunitensi, il mito americano per eccellenza dell’imprenditore solitario che fa meglio quando il governo fa il minimo è ancora vivo e vegeto.
Dall’altro lato dell’argomento, i progressisti sostengono che Biden abbia fatto una campagna su proposte che erano poco radicali per gli standard di altri paesi sviluppati. Dopotutto, si mostrò determinato a impostare le elezioni come un referendum su Trump, non come una prova di sostegno per un’agenda alternativa.
Forse, Bernie Sanders o Elizabeth Warren, con la loro maggiore enfasi sul lavoro, la sicurezza economica e la ridistribuzione, erano più in sintonia con le aspirazioni della maggior parte degli americani.
Dato che le elezioni si sono svolte nel mezzo di una pandemia sempre più mortale, è anche possibile che i modelli di voto siano stati guidati da un mix di considerazioni sanitarie ed economiche, solo vagamente legate a questi dibattiti. Alcuni addetti ai lavori del Partito Democratico ritengono che gli elettori possano essere stati preoccupati per i costi economici derivanti da politiche più aggressive riguardo al COVID-19 (lockdown) sostenute dai Democratici. Se fosse così, gli argomenti di cui sopra sono in gran parte da porre sul tavolo.
In sintesi, è chiaro che le elezioni non risolvono il perenne dibattito su come il Partito Democratico e gli altri partiti di centrosinistra dovrebbero posizionarsi su questioni culturali ed economiche per massimizzare il loro appeal elettorale. Ma ciò non altera fondamentalmente la sfida che queste partiti devono affrontare. I leader politici di sinistra necessitano che creino sia un’identità meno elitaria sia una politica economica più credibile.
Come ha notato Thomas Piketty, e non solo, i partiti di sinistra sono diventati sempre più i partiti delle élite metropolitane istruite. Con l’erosione della loro base tradizionale della classe operaia, l’influenza dei professionisti globalizzati, dell’industria finanziaria e degli interessi aziendali è aumentata.
Il problema non è solo che queste élite spesso favoriscono politiche economiche, le quali lasciano indietro le classi medie e medio-basse e aree incapaci di tenere il passo, è anche che il loro isolamento culturale, sociale e spaziale li rende privi delle qualità richieste per comprendere e per entrare in empatia con le visioni del mondo dei meno fortunati.
Un sintomo significativo è la facilità con cui l’élite culturale respinge gli oltre 70 milioni di americani che hanno sostenuto Trump in queste elezioni descrivendoli come persone ottuse che votano contro i propri interessi.
In economia, alla sinistra manca ancora una buona risposta alla domanda scottante del nostro tempo: da dove verranno i buoni lavori? Una tassazione più progressiva, investimenti nell’istruzione e nelle infrastrutture e (negli Stati Uniti) un’assicurazione sanitaria universale sono fondamentali. Ma non sono sufficienti. I buoni posti di lavoro della classe media stanno diventando scarsi, a causa delle tendenze secolari nella tecnologia e nella globalizzazione. E il COVID-19 ha approfondito la polarizzazione dei mercati del lavoro. Abbiamo bisogno di una strategia di governo più proattiva che miri direttamente a un aumento dell’offerta di buoni posti di lavoro.
Le comunità in cui ne scompaiono il numero pagano un prezzo che va oltre l’economia. La tossicodipendenza, la disgregazione familiare e la criminalità aumentano. Le persone diventano più attaccate ai valori tradizionali, meno tolleranti verso gli estranei e più disponibili a sostenere uomini forti autoritari. L’insicurezza economica innesca o aggrava le faglie culturali e razziali.
Spetta ai partiti di sinistra sviluppare soluzioni programmatiche a questi problemi economici profondamente radicati. Ma le soluzioni tecnocratiche possono andare fino a un certo punto. È necessario costruire molti ponti per superare le fessure di cui le élite culturali sono ampiamente responsabili. Altrimenti, i Democratici potrebbero trovarsi in un altro brusco risveglio tra quattro anni.
Dani Rodrik, Professor of International Political Economy at Harvard University’s John F. Kennedy School of Government, is the author of Straight Talk on Trade: Ideas for a Sane World Economy.