Nei fatti che hanno dato origine all’improvvisa resurrezione di Joe Biden nel Super Tuesday delle primarie democratiche USA c’è da chiedersi come mai Donald Trump da sempre continui a manifestare una certa “empatia strumentale” nei confronti di Bernie Sanders. Qui, forse sta la chiave della vittoria del “consumato” Biden. Successo che vanifica la scalata di Sanders, nonché la contemporanea eliminazione della quotata Warren e del miliardario Bloomberg dalla corsa verso la nomination.
John Cassidy, uno dei più brillanti commentatori politici statunitensi, ci illustra quale scenario politico si è auto-prodotto nell’arco di pochi giorni.
Super Tuesday Was Mainly About Donald Trump, Not Joe Biden
By John Cassidy
5th March
Come l’Irlanda di cui William Butler Yeats scrisse nel suo poema “Pasqua, 1916”, le primarie democratiche sono “cambiate, completamente cambiate“. La scorsa settimana, Joe Biden sembrava un morto che camminava. Il giorno dopo il Super Tuesday, ora capeggia Bernie Sanders, l’ex front-runner, nel conteggio dei delegati, e i siti online di previsione gli danno circa il 75% di possibilità di ottenere la nomination.
Come nacque questa improvvisa trasformazione? Una teoria che possiamo respingere immediatamente è che lo stesso Biden ne fosse il responsabile. Sabato, dopo la sua grande vittoria tenne un discorso potente ed emotivo nella Carolina del Sud. Ma quando apparve a Los Angeles, martedì sera, era lo stesso interprete incerto che in passato abbiamo visto decine di volte. Gridò piuttosto che parlare; momentaneamente confuse sua moglie con sua sorella. Il suo discorso era senza né capo né coda.
Un’altra spiegazione, che ha più sostanza, è che la tradizionale struttura del potere democratico, terrorizzata dalla prospettiva di una candidatura di Sanders, abbia cospirato per negargli la vittoria a eliminazione diretta, la quale pareva che si stesse materializzando martedì. Questa teoria è popolare tra i sostenitori di Sanders, ovviamente, e ha anche un paladino alla Casa Bianca. Donald Trump. Mercoledì mattina twittò: “L’establishment democratico si è riunito e ha schiacciato Bernie Sanders, ANCORA“.
Molti politici democratici affermati si schierarono dietro Biden. Mercoledì scorso James Clyburn, il capogruppo della maggioranza nella Camera dei rappresentanti, avviò questo processo con la sua sponsorizzazione annunciata a Charleston, nella Carolina del Sud. (Clyburn “ha letteralmente salvato il Partito Democratico“, commentò martedì sera James Carville, il veterano consulente elettorale Democrats). Nei giorni precedenti al Super Tuesday, quando Pete Buttigieg e Amy Klobuchar abbandonarono entrambi la gara e appoggiarono Biden, il loro gesto sembrava essere programmato per dargli ulteriore slancio nel momento in cui gli elettori si stavano recando alle urne attenuando la rincorsa di Sanders. Sembra che le dichiarazioni e gli appoggi abbiano avuto un grande impatto. Prendiamo per esempio la vittoria di Biden nello stato nativo della Klobuchar, il Minnesota. Fino alla fine della settimana scorsa, Biden, laggiù, conteggiava nei sondaggi singole cifre.
Il problema riguardo la teoria dell’establishment del partito non è che manca di basi fattuali. È il fatto che ciò sottrae gli elettori democratici dalla loro capacità di agire e produrre risultati (agency) e minimizza il fattore generale presente nelle primarie di quest’anno: la paura che Trump ottenga un secondo mandato. Nella mia esperienza, la maggior parte dei democratici comuni è così desiderosa (disperata potrebbe essere una parola migliore) di buttare fuori Trump dalla Casa Bianca che voterebbero praticamente per chiunque avesse le migliori possibilità per batterlo. Per mesi, i democratici sono stati angosciati per il semplice fatto che le primarie si trasformassero in una sorta di plotone d’esecuzione circolare. Quando la scelta davanti a loro fu infine ridotta a proporzioni gestibili, una pluralità di elettori del Super Tuesday si volsero verso Biden a dispetto di Sanders, Michael Bloomberg, Elizabeth Warren e Tulsi Gabbard. Quella decisione fu una loro decisione: non fu presa per loro da Nancy Pelosi o Tom Perez o dalla CNN.
L’influenza esercitata da Trump era evidente nelle risposte che gli elettori democratici mostravano praticamente ovunque: dagli exit polls e nell’affluenza alle urne. Nella Carolina del Nord, dove Biden ottenne il 43% dei voti e chiuse con 19 punti davanti a Sanders, quasi un elettore su due affermò che avrebbe preferito nominare un candidato che sarebbe in grado di sconfiggere Trump piuttosto che un candidato i cui orientamenti andassero d’accordo con le sue maggiori richieste. Nel Massachusetts liberale, dove Biden sorse dal nulla vincendo di quasi 7 punti, i risultati degli exit polls erano praticamente identici a quelli reali.
Nella Carolina del Sud, votarono più persone che nell’epica primaria del 2008 che ebbe come protagonisti Barack Obama e Hillary Clinton. Martedì accadde la stessa cosa in Virginia, dove votarono 1,3 milioni di persone. In entrambi questi stati, gli exit polls evidenziarono che Biden ottenne oltre il 60% dei voti afroamericani, un modello replicato in Alabama e Tennessee. Egli fece anche molto bene nelle aree suburbane. Nelle contee in rapida crescita della Virginia del Nord, ove ricevette circa la metà dei voti, sconfisse Sanders di oltre 25 punti.
I democratici dei colletti bianchi nella contea di Fairfax, nella contea di Loudoun e nella contea del Principe William non si sono svegliati martedì decidendo in massa che c’era un nuovo Biden o che avrebbero votato per lui [solo] perché Harry Reid, ex leader della maggioranza del Senato, lo ebbe appena sponsorizzato? Sembra molto più probabile che avessero concluso che Biden, con tutti i suoi difetti, possedesse le chances migliori di Sanders per sconfiggere Trump.
Questa valutazione pragmatica potrebbe rivelarsi errata; se Biden otterrà la nomination, ciò sarà testata nelle elezioni generali. La notizia incoraggiante per il campo di Biden è che mettere insieme una coalizione di elettori di minoranza, elettori altamente istruiti ed elettori suburbani è stato qualcosa che Obama e Bill Clinton fecero nelle loro vittorie elettorali. Fu anche la chiave del successo del Partito Democratico nelle midterms del 2018. Meno incoraggiante rimane il fatto che Biden nuovamente faticò per attirare gli elettori più giovani, le sue posizioni politiche sono in qualche modo poco interessanti e i risultati di martedì lasciano divisi i democratici. Mercoledì scorso la rabbia tra gli elettori di Sanders fu palpabile. Un altro ammonimento proviene dalla recente storia del Partito Democratico, la quale selezionò candidati che avrebbero dovuto essere considerati come una scelta sicura: Al Gore (2000), John Kerry (2004) e Hillary Clinton (2016), tutti rientrano in questa categoria.
Prima di arrivare alle elezioni generali, tuttavia, c’è ancora molta strada da fare nelle primarie. Trentadue Stati devono ancora votare e quasi i due terzi dei delegati disponibili devono essere ancora aggiudicati. Con Bloomberg fuori, la Warren che sta valutando il da farsi e Tulsi Gabbard una figura marginale, sarà Biden contro Sanders, con Trump aleggiante. Il nome del Presidente non passerà attraverso le primarie, ovviamente. Ma la sua presenza maligna alla Casa Bianca continuerà a plasmare la corsa.
John Cassidy has been a staff writer at The New Yorker since 1995. He also writes a column about politics, economics, and more for newyorker.com.