Tratto dal blog Democratici & Riformisti, pubblicato il 3 Novembre 2018
The rise of Elizabeth Warren, the dust bowl radical
As the Democrats move left in response to Trumpism, few doubt that the Massachusetts senator will run for president. But who is she and what does she want?
Robert Kuttner
Gli scettici che pensano che Elizabeth Warren non possa essere nominata o eletta presidente degli Stati Uniti tendono a dimostrarlo attraverso tre argomenti. Primo, è troppo di sinistra. Secondo, è troppo incline a comportarsi da professore universitario, un atteggiamento da “maestrina” per essere ascoltata dai comuni americani. Infine, terzo, dopo il fiasco di Hillary Clinton nel 2016, è troppo presto per i democratici nominare un’altra donna, tanto meno una donna liberale del Massachusetts.
La migliore risposta a queste affermazioni è osservare la Warren in azione.
Ad agosto partecipò alla convention Netroots Nation a New Orleans, il più importante raduno annuale di giovani attivisti di base orientati a sinistra. La Warren parla con una leggera pronuncia nasale tipica dell’Oklahoma, l’antitesi del “Bramino” di Harvard. Il suo discorso fece accalorare i convenuti, interrotto ripetutamente con acclamazioni e urla. Ci furono anche momenti in cui il pubblico manifestò un caloroso entusiasmo, come quando la Warren raccontò quello che le successe dopo che suo padre perse il lavoro. Un evento che le diede l’opportunità di trarne delle connessioni politiche generali. Ella, spiegò, che prima dell’infarto di suo padre i suoi genitori erano riusciti a comprare una casa con tre camere da letto in un distretto scolastico decente. A partire da quel momento tutto ciò fu a rischio.
Rivolgendosi alla folla disse: “di notte, dopo che i miei genitori pensavano che fossi tranquilla nel mio letto, li sentivo parlare. Potevo sentire parole che sembravano portare con sé un enorme peso. Parole come “mutuo”, parole come “ipoteca”. Una mattina entrai nella camera dei miei genitori. Mia madre aveva preparato il suo miglior abito nero: voi sapete…quel vestito, quello per matrimoni, lauree e funerali. E lei era lì in piedi in sottoveste, stava piangendo, e stava dicendo, non perderemo questa casa, non perderemo questa casa.”
Sua madre all’epoca aveva 50 anni e non aveva mai avuto un lavoro retribuito. “Ma“, disse la Warren, “lottò con quel vestito, si lavò il viso, si soffiò il naso, si mise il rossetto, calzò i tacchi alti, si precipitò da Sears [Grandi Magazzini] e lei ottenne un lavoro al minimo salariale.“
Ha salvato la loro casa e la loro famiglia.
È una storia che ha spesso raccontato e non manca mai di commuovere il pubblico. Ma le inferenze politiche che questo frammento di vita implica si fanno sempre più potenti. “Per molto tempo ho pensato che fosse una storia di mia madre, del suo coraggio, della sua grinta, di quello che le donne fanno per prendersi cura delle persone che amano, forse anche di una storia sullo spirito americano; su come tirarti su le maniche quando il gioco si fa duro “, disse la Warren alla folla.
Però, non fu così. La Warren spiegò la sua progressiva consapevolezza che il suo racconto riguardava davvero il governo, la politica e il potere delle grandi aziende.
Tutti i grandi politici sono narratori, e più di qualunque altro oggi [lo sono] sulla scena americana. La Warren ha la capacità di collegare le frustrazioni vissute dai normali lavoratori con una storia avvincente su ciò che non va nella politica economica del paese. È una tipica strategia della sinistra che attira piuttosto che respingere gli elettori ordinari, oltre a galvanizzare la base del partito. Ed è il motivo per cui gli scettici hanno torto sulla Warren. Questo è precisamente il messaggio e la passione che potrebbe renderla il prossimo presidente americano.
Chi è Elizabeth Warren? Sulla carta, è una professoressa di legge ad Harvard diventata un politico. Ma la sua recente biografia non inizia nemmeno a catturare il suo vero fascino. “Non sono nata ad Harvard“, mi ricordò la Warren quando le chiesi in una recente conversazione telefonica sul ruolo che ebbe Harvard nel suo successo. “Sono cresciuta in quel successivo ammasso di polvere [che fu] l’Oklahoma, ai margini della classe media.”
Ufficialmente, ovviamente, non è nemmeno candidata. Nessuno si dichiara candidato così presto. La Warren deve prima ottenere la rielezione al suo seggio al Senato il 6 novembre. Ma poiché è in lizza contro un repubblicano debole e si prevede che vincerà con un margine che potrebbe superare due a uno, la Warren si spende per le elezioni di medio termine che coinvolgono il paese. Apparentemente lo fa per aiutare la campagna dei democratici, ma il suo percorso è portarla nei stati chiave del Nevada, del Colorado e dell’Iowa per le primarie del 2020, così come soffermarsi ove vi siano questioni locali ad alta visibilità, come i centri di detenzione al confine con il Texas.
Un recente articolo comparso sul Washington Post ha descritto la formidabile macchina politica che ha già costruito in preparazione per la competizione. Ha raccolto circa $ 8 milioni per altri candidati in lizza per la Democratic House e per il Senato e ha personalmente telefonato a 172 di loro per offrire il suo supporto, chiamando ogni singolo vincitore delle primarie in corsa per la House. Ha incontrato 61 candidati uno a uno. Altrettanto eloquente, in base ai dettagli presenti nell’articolo sul Washington Post, è il fatto che esso sia stato ovviamente scritto con la stretta collaborazione della Warren. Intendeva inviare un segnale: La Warren è un professionista ed è maledettamente seria.
… Elizabeth Ann Herring, nota alla sua famiglia come Betsy, nacque a Norman, in Oklahoma, il 22 giugno 1949. Suo padre Donald, un bidello, subì un infarto quando aveva 12 anni e non poté tornare al lavoro. La loro auto fu escussa perché non fu possibile onorare i pagamenti. A 13 anni lavorava part-time come cameriera per aiutare a sostenere la famiglia. I suoi tre fratelli maggiori entrarono nell’esercito. Ciò che lanciò Betsy Herring in tutta un’altra vita fu la sua abilità dialettica. Era una campionessa e così tanto brava che vinse una borsa di studio alla George Washington University nella capitale degli Stati Uniti. Sposò il suo fidanzato del liceo, Jim Warren, a 19 anni, ebbe un bambino a 22 anni, ed riuscì a completare l’università e la facoltà di legge come madre lavoratrice, il cui marito era per lo più in viaggio per affari. I due divorziarono quando lei aveva 28 anni. Come professore junior inizialmente alla Rutgers University nel New Jersey, la Warren divenne un esperto in diritto fallimentare, che le diede una visione illuminante del ventre del capitalismo americano.
In un momento in cui grandi aziende stavano facendo pressioni sul Congresso per rendere più facile per loro scaricarsi dai debiti – e più difficile per le persone essere comprese [nelle norme] del codice fallimentare – fece della Warren uno dei loro avversari più diligenti e meglio informati, nonché uno dei principali studiosi su questa disciplina. Osservando da vicino come le multinazionali hanno distrutto le vite delle famiglie comuni, attraverso ciò che la Warren chiama “i trucchi e le trappole“, la sua opinione si è radicalizzata.
Ma nulla di più contribuì a far di un leader la Warren tanto quanto la crisi finanziaria del 2008. Capì immediatamente cosa era accaduto in termini di fallimento e di corruzione societaria grazie alle politiche governative lassiste. Le maggiori banche avevano dissipato il loro capitale in operazioni fraudolente e ora erano insolventi. In un fallimento, gli azionisti perdono tutto.
Nell’autunno del 2008 e nell’inverno del 2009, la vera scelta politica fu quella se spacchettare le grandi banche, ricapitalizzarle con fondi pubblici e avviare una nuova gestione, o semplicemente salvarle. All’epoca, la Warren stava tenendo un corso sul diritto fallimentare, e lei mi ricordò che i suoi studenti avevano afferrato il punto, a differenza di pochi politici.
Quando il Congresso, con riluttanza, promulgò la ricapitalizzazione versando 700 miliardi di dollari, conosciuta come (TARP) nell’ottobre 2008, mentre George W. Bush era ancora presidente, i Democratici insistettero per aggiungere un gruppo di supervisione indipendente. La Warren venne nominata presidente, assumendo una posizione in cui era solita resistere alle politiche di salvataggio portate avanti da Obama, dal capo consigliere economico Larry Summers, dal segretario al Tesoro Tim Geithner e dal presidente della Federal Reserve Ben Bernanke.
Quando la crisi finì, il salvataggio aveva vinto. I fondi pubblici e i prestiti della Federal Reserve erano andati principalmente alle maggiori banche, che si sono rivelate più concentrate e redditizie che mai. Mentre le istituzioni finanziarie di Wall Street sono state ritenute troppo grandi per fallire, centinaia di banche popolari sono state sacrificate perché troppo piccole per essere garantite. Miliardi di dollari destinati a salvare i piccoli proprietari di case dai pignoramenti non sono stati spesi o sono finiti nelle banche.
Il posto in prima fila della Warren fu una ulteriore fonte di indignazione. Il suo “panel” si palesò come una implacabile critica nei confronti della direzione assunta dall’amministrazione. Eppure, così abile fu la Warren che riuscì a rimanere in cordiali rapporti personali con Obama mentre stroncava pubblicamente e privatamente la sua squadra economica.
Uno dei suoi successi più notevoli arrivò nell’estate del 2013, quando [si materializzò] la sua vecchia nemesi. Summers, stava premendo su Obama per far sì che venisse nominato presidente della Federal Reserve. Obama aveva quasi assunto l’impegno nei confronti di Summers, ma la Warren organizzò un gruppo di senatori democratici per mettere in guardia il Presidente affinché rifiutasse di confermare [la nomina]; inoltre fece anche mobilitare l’opposizione dalla base [del partito]. La scelta della Warren fu Janet Yellen, una rispettata economista del lavoro che aveva prestato servizio in diversi posti alla Fed.
Grazie in gran parte alla Warren, la Yellen ottenne l’incarico, diventando la prima donna e il primo progressista a presiedere la Federal Reserve da Marriner Eccles nell’era Roosevelt. Nessuno poteva ricordare un’altra occasione in cui i senatori democratici avevano organizzato una campagna pubblica per negare a un presidente democratico la sua prima scelta e spingerlo a nominare il loro candidato preferito per una posizione importante. Aveva semplicemente sconfitto sia Summers che il suo presidente. “Non c’è nessuno nella politica americana che sia così bravo sia nel gioco interno che nel gioco esterno“, afferma Damon Silvers, un alto funzionario sindacale che è stato vicepresidente del gruppo di supervisione della Warren.
La Warren naviga sulle secche della politica identitaria con maggior capacità rispetto alla maggior parte dei democratici. Nello stesso modo in cui Barack Obama non funzionò come candidato nero, bensì come candidato esterno che risultò essere nero. La Warren è un riformatrice radicale che pare essere anche una donna. Al contrario, Hillary Clinton enfatizzò la politica dell’identità in parte per distogliere l’attenzione dalla sua vicinanza a Wall Street. La formula fallì; la Clinton perse gli elettori maschi per tre a uno. L’affluenza nera diminuì e persino per poco perse [il voto] delle donne bianche.
Quando la Warren racconta la storia di sua madre che singhiozza e poi si avvia verso Sears per ottenere un lavoro, la sua affinità per ciò che significa essere una donna è così palpabile e naturale che non ha bisogno d’indossare i panni del suo femminismo. Ancora meglio, usa la storia per fare un punto non sul genere, ma sulla classe a cui può riferirsi qualsiasi americano, maschio o femmina economicamente vulnerabile. “Elizabeth pronuncia discorsi come questo“, afferma Silvers, “non perché un sondaggista le lo abbia detto, ma perché lei è proprio quella cosa lì“.
La capacità della Warren d’instaurare legami tra il personale e il politico serve anche a lei quando si tratta di parlare in materia di identità razziali, una delle principali sfide dei Democratici verso il 2020. Donald Trump ha usato la questione razziale per aumentare le divisioni. Quando intervistai l’allora stratega capo della Casa Bianca Steve Bannon nell’agosto 2017, una conversazione troppo sincera che gli costò il suo posto, Bannon mi disse: “Voglio che i democratici parlino di razze ogni giorno … li ho in pugno“.
Robert Kuttner is co-founder and co-editor of the American Prospect and a professor of political economy at Brandeis University. His latest book is “Can Democracy Survive Global Capitalism?”
L’intero long article di Robert Knutter, che delinea la figura di Elizabeth Warren, lo si può leggere sul sito del settimanale politico-economico inglese News Statesman.
https://www.newstatesman.com/world/north-america/2018/10/rise-elizabeth-warren-dust-bowl-radical?fbclid=IwAR1mRlz808X089JL5FWQnSyAIlBKqAwqzwcUyFfeqvljd6kbWAswUu2U8LU