Come spesso accade, l’avversario da contrastare non lo si individua nella sua forma più pura, ma nella sue forme riflesse. I difensori della democrazia rappresentativa vedono oggigiorno nel populismo il nemico contro cui affilare la propria spada e rivolgere le principali attenzioni. Ma forse non si rendono conto che il processo di insorgenza di tale populismo sia stato causato principalmente da due fattori che gli stessi paladini della democrazia rappresentativa hanno più o meno esplicitamente avallato:
primo, quello che Colin Crouch chiama la post-democrazia, ovvero uno spostamento “verso l’alto” del processo decisionale, per il quale i centri di potere decisionale sono fluiti dalle istituzioni politico-democratiche verso le istituzioni economico-finanziarie;
secondo, quello che si potrebbe definire di “smembramento dal basso”, in cui l’avanzamento della cosiddetta società liquida e la narrazione del mondo post-ideologico congiuntamente hanno impedito un’elaborazione politico-culturale in grado di individuare le nuove faglie, le nuove categorie attraverso le quali costruire il nuovo conflitto politico.
Una narrazione eccessivamente moderata e sostanzialmente di negazione del conflitto ha fortemente contribuito a questa atomizzazione della società.
La reazione a questi due fattori, diciamo di spostamento “verso l’alto” dei processi decisionali, e di “smembramento dal basso” della categorie politico-sociali, ha spalancato la strada a un comune sentire nella coscienza degli individui secondo cui solo insorgendo avrebbero trovato non solo la forza di auto-rappresentarsi, bensì anche il modo di difendere loro stessi, dinanzi al processo di svuotamento di potere del primo tipo, sommato allo smarrimento e al senso di solitudine del secondo tipo: la categoria del “popolo”.
Il populismo è stato insomma l’altra faccia della medaglia della negazione post-ideologica del conflitto sociale e politico. D’altro canto il processo di disintermediazione sembra ormai creare egemonia, nel senso che sembra insito nei processi non solo comunicativi in politica, ma anche sostanziali della sharing economy, ad esempio.
Mi pare di cogliere che oggi il “populismo” possa giocare principalmente la propria battaglia su due fronti:
primo, come alleato del nazionalismo, in un’ottica principalmente di utile idiota del capitalismo;
secondo, come alleato del nuovo sistema economico in grado di mettere in discussione l’egemonia capitalistica, quella del commons collaborativo.
In entrambi i casi, la forma di democrazia come la conosciamo oggi rischia di rimanere schiacciata dalla doppia morsa di una democrazia autoritaria del primo tipo, ed una web-democrazia del secondo tipo.
Vi è anche una terza forma, che sembra affacciarsi però con più difficoltà: quella di un populismo che possa essere indirizzato verso un rafforzamento della stato sociale e un ritorno all’importanza del common good come risposta alla crisi sistemica occidentale e dell’eurozona.
Quale di queste forme prevarrà è difficile a dirsi, ma forse bisogna iniziare a fare bene i conti con tutto ciò e scegliere da che parte stare.
Giorgio Laguzzi