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(original title) Download the stuff !

Un improvviso temporale estivo aveva impedito che al molo 6 del porto di Capetown le capaci gru di carico e scarico potessero agganciare le piattaforme sistemate nella stiva di una nave cargo mercantile, La Opalina, sulle quali erano impilate a scacchiera una cinquantina di sacchi in ruvida plastica ben gonfi che secondo la distinta di viaggio depositata in dogana contenevano fertilizzante agricolo.

Ok, sta smettendo, avverti la squadra che si spicci, prima che torni a piovere”. Mark Orlington con questo imperioso comando si rivolse a Denis Mugalele il “suo” nero caposquadra che comandava un gruppo di scaricatori anch’essi di colore. Come formichine alla ricerca di una briciola una ventina d’uomini nascosti sotto lo spiovente di un grande cornicione sporgente per ripararsi dal nubifragio al cenno di Denis si diressero a passo svelto verso il bordo del molo riavviando le operazioni di scarico. Le onde sonore del trambustò ricominciarono a espandersi nell’aria: cigolavano le catene delle gru, scoppiettava il motore di un vecchio camion con il cassone pieno di sacchi pronto ad andarsene, sostituito da un secondo che stava avanzando lentamente. Le urla degli uomini disposti in linea coprivano il fruscio dei sacchi di plastica che passavano di braccia in braccia raccolti da bancali a terra per essere depositati all’interno del prossimo automezzo. Fatica, sudore e disperazione coronavano un quadro di povertà e di semi-schiavismo in cui un gruppo di lavoratori neri, vestiti cenciosamente, sottostavano agli ordini di Denis che non smetteva mai d’imprecare: “harry up loafers, download the stuff”.

Una voce stridula a cui seguì un fischiata penetrante fece cessare per un istante il lavoro di quei camalli a chiamata. Mark Orlington girò il capo verso quel richiamo, fissò la ragazza nera latore del fischio che si stava sbracciando da una delle finestre di un vecchio magazzino di mattoni rossi, e quasi stizzito per l’interruzione le urlò con il suo vocione tonante: “che c’è Sheila, non vedi che sto lavorando?”. La ragazzina rispose con un tono tipico di coloro che vogliono farsi perdonare l’intrusione “Mr. Orlington, una telefonata da Londra, vogliono lei !

Il massiccio Orlington si tolse il cappello di cotone a larghe tese, si asciugò il sudore con uno straccio che teneva in torno al collo e come un rinoceronte che va ad abbeverarsi nelle acque stagnanti di una pozza del Transvaal si avviò verso l’ufficio. Camicia kaki mezze maniche intrisa di sudore, pantaloni al ginocchio, i polpacci coperti da due spessi calzettone color sabbia le cui estremità si inserivano in pari stivaletti militari, quella possente e atletica figura si mosse in modo soldatesco ad ampi passi sotto la canicola di un ordinario dicembre sudafricano. Diede un calcio alla porta entrò in un ambiente rustico e spartano che odorava di muffa, dove stazionavano due o tre donne di colore indaffarate intorno alle rispettive scrivanie di legno, e svicolando tra panni sporchi ammucchiati qua e là, cartacce e qualche scarafaggio, brandì la cornetta unta di un nero telefono a muro: “sono Orlington chi parla?

Mark sono Henry Bale”, Il bianco rinoceronte si appoggio contro l’intonaco screpolato, attese qualche secondo e rispose con il suo inglese del Wisconsin “sì, come tutto previsto, il cargo è arrivato ieri notte dal porto di Portsmouth, stiamo già scaricandolo”.

Bene”, rispose una voce dall’altro capo del filo, “…si ricordi è importante che venga prima diviso e poi processato, un quinto deve essere insaccato in contenitori di 10 libbre più o meno 5 kg europei e ricaricato non più di due giorni successivi a oggi nella stiva della nave diretta al porto di Trieste, in Italia, come convenuto.

Le perle di sudore costellavano la fronte dell’Americano, non osò replicare, il tempo gli pareva un po’ stretto, ma rispose affermativamente. Giorno più giorno meno non gli avrebbe certo impedito d’incassare i 500 $ a carico per il suppletivo disturbo. Posò la cornetta sul bilancino del ricevitore, aveva sete, l’aria era calda, quasi rovente, si avvicino al frigo, lo aprì con forza e acchiappò la prima lattina di birra che riuscì ad afferrare. Era una Lion Lager. Bevve mentre osservava gli uomini che continuavano a scaricare, poi avvicinandosi alla stamberga urlò a Denis che avrebbero dovuto accelerare il passo, il carico doveva puntualmente arrivare alla deposito della Red Maple a Mirror Pick stasera entro le 11 p.m. Due giorni per la lavorazione per poi essere in parte nuovamente riposto nella stiva della Opaline prima di sabato notte. Il mercantile sarebbe partito all’alba della domenica successiva.

Orlington schiacciò la lattina entro il palmo della sua mano e la buttò nel cestino dei rifiuti. “Sheila” gridò, “vedi di far pulizia di questa immondizia, qui non siamo a Coguleto”, (la township di Capetown), ove dimoravano quasi tutta la totalità dei neri censiti entro i bordi della municipalità. L’acquazzone aveva aumentato il tasso d’umidità, il quale accompagnato dal sole raggiante del mezzodì, a capolino tra lo sciame di nuvole, rendeva l’aria irrespirabile. Non si era ancora alzata la brezza del Capo e l’americano sudava copiosamente. Allentò le bretelle, si tolse la camicia e a petto nudo inforcò uno stretto corridoio: un budello alla cui fine si poteva intravedere una porta bianca semi aperta. Accanto allo stipite di legno affisso al muro su di un pezzo di cartone obliquo si leggeva la parola “toilette”, ma ben più visibile era la placca dai bordi arrugginiti in lamiera gialla inchiodata sulla parete opposta che ammoniva i neri a non fare assolutamente uso di quel servizio.

Scalciò la porta e vi trovò un ragazzino di colore che stava orinando. Il ragazzo alla vista del “rinoceronte bianco” si tirò immediatamente su i calzoni e prima che Orlington potesse inveire il moccioso, come una saetta, gli sguscio via. “Hai letto il cartello”, urlò l’uomo infuriato “vai a pisciare in mare maledetto”. L’americano aprì il rubinetto del lavabo e si fece scorrere l’acqua sulla nuca, i suoi lunghi riccioli biondi si afflosciavano compattandosi sulle tempie fino a toccare la base del collo. Raccolse uno straccio e si frizionò la criniera. Si rivestì e nel percorrere l’angusto corridoio a passo svelto tuonava con la sua voce roca all’indirizzo del suo sottoposto: “allora Denis ci diamo una mossa o devo usare la frusta per svegliarvi”.

A Orlington gli veniva comodo maledire il momento in cui decise di metter su casa in Sud Africa. Egli, americano del freddo Wisconsin che ci faceva tra questa plebaglia di neri africani? Soldi, maledetti soldi. Soldi, sempre quei maledetti soldi. Da quando venne collocato a riposo nel 46 dopo la guerra in Europa, come sergente del 12° reggimento di fanteria motorizzata acquartierata nell’Italia del Nord occupata, la mancanza di denaro divenne la sua fonte principale d’ossessione. Scampato dal confronto bellico e ritenendo d’aver dato un encomiabile contributo alla sua nazione ambiva che essa gli riconoscesse una “lodevole” compensazione. Insomma, non intendeva più ritornare a sfacchinare come magazziniere in una ditta di Milwaukee.

Qualcuno, capendo il suo disagio e la sua frustrazione lo avvicinò offrendogli dieci volte la paga come soldato di ventura a confronto del misero salario mensile che avrebbe percepito come lavoratore assunto in una di quelle centinaia ditte del Mid-West. Fu così che dopo un lungo peregrinare come contractor e guardia spalle al soldo degli interessi delle multinazionali minerarie nord-atlantiche, in Sudan, Angola e Rhodesia, gli sortì l’idea di mettersi in proprio. Nel giugno del 51 firmò un lucroso contratto d’appalto per la fornitura di servizi logistici con la società chimica inglese The Red Maple, 150.000 Rand all’anno più qualche decina di migliaia di dollari per servizi extra.

Non era né fascista né comunista, né Democratico tanto meno Repubblicano; né razzista né antirazzista; era solo per sé: Mark Orlington. Disprezzava la negritudine ma altrettanto non sopportava l’etnocentrismo e il bigottismo calvinista degli Afrikaners, la seconda comunità bianca d’origine olandese che divideva con gli anglosassoni il potere economico e politico in South Africa.

Fu un fuggiasco italiano a ingaggiarlo, Adelmo Crivelli, il direttore dello stabilimento sudafricano della Red Maple. Singolare fu la storia di questo chimico d’origine pavese. Dopo aver conseguito la laurea a Milano, Adelmo si recò, un mese prima dell’obbligatorio reclutamento di leva, nell’allora Etiopia italiana. Correva allora il 1939, circa 120 giorni prima che Hitler invadesse la Polonia. Concluso il mese di ricerca per conto del Ministero delle Corporazioni, si dileguò. Adelmo, in cuor suo, temeva che la guerra si stava sempre più avvicinando e che prima o poi Benito Mussolini l’avrebbe dichiarata. Preoccupato per la sua sicura e infausta sorte sotto le armi del Duce il Crivelli s’allontanò la sera antecedente la partenza per l’Italia dal gruppo di ricercatori con cui condivise il mese di studio per imbarcarsi tre giorni dopo su di un cargo nella Kenya britannica diretto a Cape Town.

Giunto laggiù si presentò al governo coloniale Anglo-Sudafricano come rifugiato politico. Ottenne l’asilo a condizione che s’impegnasse a collaborare con il governo di sua Maestà britannica nella ricerca e nello sviluppo di sostanze esplosive, di cui vantò d’essere un buon esperto. Nel 41’ con grande sorpresa l’ingegnere chimico italiano brevettò un composto a base di nitrato d’ammonio con un potere detonante e distruttivo doppio rispetto ai comuni esplosivi del tempo. Gli venne conferita la cittadinanza sudafricana nel 42’ e la direzione di un reparto specialistico presso l’azienda dell’acero rosso, la Red Maple. Nel 44’ su pressione di Lord Claredon, con cui intrattenne in quel paese una stimata amicizia, assunse la carica di Direttore Generale.

Non c’era nulla che si accoppiasse tra l’esile e occhialuto Crivelli dal temperamento pacato, quasi dimesso e il massiccio taurino Orlington, focoso, irascibile, nonché collerico, eccetto una cosa: una cinica preveggenza innata. Avevano entrambi un sottile dispregio per l’intelligenza umana nel suo complesso e una ferrea convinzione che l’inganno e la perspicacia sono le uniche doti che salvano l’individuo dal crudele destino.

Shirley Burns 88 Capetown RSA

Translated by me

fg

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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