E’ assai probabile che al termine di questa pandemia la Commissione UE ne uscirà malconcia sia per faciloneria con la quale contrattò la fornitura dei vaccini, sia per l’inadeguatezza delle risorse finanziare messe a disposizione per la ripartenza dell’economia continentale. Per quanto concerne il secondo argomento più volte alcuni degli attuali interpreti del pensiero keynesiano (Tooze, Varoufakis, Mazzucato, Rodrik) ne hanno sottolineato la poca limpidezza, una applicazione farraginosa, sebbene l’emissione obbligazionaria per la prima volta sarà comunitaria. Sennonché, anche la “bibbia” liberale, il The Economist, nel suo editoriale di copertina del 3 di Aprile, pare non divergere dalle considerazioni fatte dai precedenti autori, anzi rimarca la sventatezza con la quale si è proceduti per definire il piano vaccinale comunitario e lo scarso ammontare delle risorse messe in campo (NGEU Ricovery Plan).
How Europe has mishandled the pandemic
What happened and what does it mean for the union?
Look around the world at the devastation wrought by the covid-19 pandemic and something odd stands out. The European Union is rich, scientifically advanced and endowed with excellent health-care and welfare systems and a political consensus tilted strongly towards looking after its citizens. Yet during the pandemic it has stumbled.
Nella brutale e cruda classifica delle vittime, la UE nel suo insieme ha fatto meno male della Gran Bretagna o dell’America, con 138 morti registrate ogni 100.000, in confronto alle 187 e 166 rispettivamente, sebbene Ungheria, Repubblica Ceca e Belgio se la siano cavata peggio. Tuttavia, la UE è in preda a una feroce ondata alimentata da una variante mortale.
Ciò sottolinea il rischio del basso tasso di vaccinazione dell’Europa.
Secondo la nostra rilevazione, al 58% degli adulti britannici è stato inoculato il vaccino, al 38% degli americani e solo al 14% dei cittadini della UE. I paesi europei sono anche indietro sull’altro criterio valutativo anti-covid-19: l’economia.
Nell’ultimo trimestre del 2020 l’America stava crescendo a un tasso annualizzato del 4,1%. In Cina, che ha soppresso il virus con rigore totalitario, la crescita è stata del 6,5%. Nell’area dell’euro l’economia era ancora in contrazione.
Un anno fa Pedro Sánchez, il primo ministro spagnolo, definì il covid-19 la peggiore crisi che affligge l’UE dalla seconda guerra mondiale. Come mai la risposta alla sua affermazione è andata così male?
Parte del problema dell’Europa è la demografia. Le popolazioni della UE sono anziane rispetto agli standard globali, il che le rende più suscettibili alla malattia. Anche altri fattori meno conosciuti, come le città affollate, possono rendere vulnerabili gli europei. La mobilità transfrontaliera, che è uno dei grandi risultati della UE, probabilmente ha incrementato il diffondersi del virus, e nessuno è intenzionato frenarla quando la pandemia si attenuerà.
Ma parte del problema dell’Europa dipende dalla politica. Jean Monnet, un diplomatico francese che contribuì a fondare il progetto europeo, scrisse notoriamente che “l’Europa sarà forgiata nel corso delle crisi“. Quando le cose vanno verso il peggio, quelle parole vengono colte come un indicatore che la UE strapperà la vittoria dalle fauci della sconfitta. Certamente, durante la crisi dell’euro la Bce alla fine salvò la situazione mediante l’introduzione di nuove politiche; allo stesso modo, la crisi migratoria del 2015 rafforzò notevolmente il progetto Frontex, la forza di sicurezza delle frontiere della UE.
Tuttavia, il motto di Monnet è anche fonte di compiacimento. La guerra civile in Jugoslavia negli anni ’90 portò a dichiarare che “questa è l’ora dell’Europa“. Seguirono anni di carneficina. Allo stesso modo, la decisione dello scorso anno di affidare alla Commissione europea la responsabilità esclusiva per l’acquisto e la condivisione dei vaccini covid-19 per 450 milioni di persone è stata un disastro.
Aveva un certo senso unire gli sforzi di 27 paesi per la ricerca e i loro fondi per il pre-acquisto di vaccini, proprio come ha fatto l’operazione Warp Speed in America per i 50 stati. Tuttavia, la burocrazia della UE ha gestito male i negoziati sui contratti, forse perché i governi nazionali in genere sovrintendono alla salute pubblica. Il progetto è stato condotto principalmente dalla presidente della commissione, Ursula von der Leyen, che ha definito allegramente la decisione di espandere il suo impero come una “storia di successo europea“.
Non proprio. Il suo team si è concentrato troppo sul prezzo e troppo poco sulla sicurezza dell’approvvigionamento.
Disputarono inutilmente sulla responsabilità nel caso in cui i vaccini causassero danni. L’Europa esitava durante le vacanze di agosto. Era come se la creazione, simile all’affermazione di Monnet, di un’unione sempre più coesa fosse il vero primo obiettivo, mentre il compito di gestire effettivamente la vaccinazione [venisse considerato] un evento secondario.
I successivi battibecchi, le rivalità interne e il minacciato blocco delle esportazioni di vaccini hanno inciso in misura maggiore nel minare la fiducia nella vaccinazione anziché ripristinare la reputazione della Commissione. Se Ms von der Leyen fosse ancora un membro di un governo nazionale, sarebbe difficile vederla rimanere al suo posto.
L’Europa ha anche fallito sul piano economico. Ancora una volta, ha sfruttato la pandemia per fare progressi istituzionali, creando un nuovo e sostanzioso strumento noto come Next Generation UE fund, o NGEU. Risorse del valore di 750 miliardi di euro (880 miliardi di dollari), che sono destinate principalmente ai paesi più deboli, i quali ne hanno più bisogno. Più della metà del denaro è costituito da sovvenzioni e non da prestiti, riducendo l’effetto sul debito nazionale. Sarà pagato aumentando il debito dell’Unione Europea nel suo insieme cui è responsabile in solido. Questo è positivo, perché crea un meccanismo che recide il legame tra la raccolta di fondi e l’affidabilità creditizia dei governi nazionali. Nelle crisi future tale soluzione potrebbe proteggere i paesi della zona euro dalla fuga di capitali.
Come per i vaccini, tuttavia, il trionfo alla creazione del NGEU contraddice la sua lenta esecuzione. Mancano ancora mesi dall’erogazione dei primi soldi, poiché gli Stati membri litigano con la Commissione in merito ai loro programmi individuali. Entro la fine del prossimo anno sarà erogato solo un quarto del fondo.
Questa mancanza d’urgenza è un sintomo di un problema molto più grande: la non curanza riguardo alle disponibilità complessive delle [singole] economie europee. Anche con i suoi nuovi fondi, il bilancio della UE rappresenterà solo il 2% del PIL nel prossimo periodo fiscale di sette anni. A livello nazionale, dove i governi spendono in genere circa il 40% del PIL, gli europei sono stati colpevolmente troppo cauti.
Le conseguenze saranno profonde. Entro la fine del 2022, l’economia americana dovrebbe essere del 6% più grande di quanto non fosse nel 2019. L’Europa, al contrario, è improbabile che produca più di quanto facesse prima della pandemia. È vero, lo stimolo da 1,9 trilioni di dollari di Joe Biden dopo quasi 4 trilioni di dollari nell’era Trump rischia di surriscaldare l’economia, ma l’Europa si trova all’estremo opposto. I suoi deficit di bilancio per il 2021 sono in media forse la metà di ciò che l’America sta pianificando. Dopo la combinazione della crisi finanziaria e del covid-19, la produzione della UE sarà del 20%, o 3 trilioni di euro, inferiore rispetto a quella che è riuscita a conseguire nel 2000-07. La UE ha sospeso le sue regole fiscali che limitano il deficit.
Grazie in parte all’attivismo monetario della Bce, i governi europei hanno lo spazio fiscale per fare di più. Dovrebbero usarlo.
Unione sempre più piccola
L’Europa può trarre conforto dal fatto che il programma di vaccinazione si riprenderà durante l’estate. In tutto il continente, l’euroscetticismo è in declino durante la pandemia e i politici che flirtavano per un distacco, come Matteo Salvini o Marine Le Pen, hanno cambiato tono.
Ma, inesorabilmente, la UE resta indietro rispetto alla Cina e all’America perché non riesce ad affrontare con competenza ogni crisi successiva. In un mondo pericoloso e instabile, questa è un’abitudine che deve essere cambiata.