Con l’aggiunta di $1,9 trilioni, questi uniti ai precedenti $ 4 che fa un totale di quasi $ 6 trilioni per la maggior parte print money (denaro stampato, moneta bancaria da distribuire direttamente a imprese, famiglie, disoccupati, locatari), si completa il gigantesco profluvio di sussidi, benefit, promulgato dai due rami del parlamento americano per sostenere i redditi dei propri cittadini dalla “rasoiata” del Covid 19. Sembrerebbe già un’enormità se non fosse che altre misure stanno per essere varate: la proposta di un raddoppio del minum wage a $15 l’ora da raggiungere entro i prossimi quattro anni, più la promessa di un intervento straordinario di $ 2,3 trilioni per investimenti nel Green Deal.
A corona di ciò non stupiscono le nomine politiche come quella di Janet Yellen nel ruolo di Treasury Secretary e Bernie Sanders in quello cruciale di Chairman of the Senate Budget Committee (Presidente della Commissione bilancio del Senato). Appare ormai scontato che dietro questa immensa manovra espansiva ci sia un genio ispiratore non tanto nascosto e nemmeno irrilevante: ed è proprio lui, come pensano molti commentatori americani, lo scorbutico Paul Krugman. La definitiva vittoria dell’economista laureato Nobel newyorkese nei confronti dell’antagonista Larry Summer.
La Biden-economy è chiarissima: tirare dritto, risolvere l’intoppo vaccinale entro l’autunno di quest’anno per far ripartire a tempo record la funzione di domanda (consumo interno) affinché i democrats ne ottengano beneficio prima delle elezione di mid-term del 23. Commentava qualche giorno fa la senatrice Lizzy Warren “Head on for an equitable distribution…we need helping people from the grassroot up” (Si proceda per una distribuzione equanime… noi abbiamo la necessità d’aiutare il popolo a partire dai ceti meno privilegiati verso l’alto). Le faceva eco il giorno dopo lo scontroso Paul Krugman – rare le sue apparizioni – il quale interpellato da Owen Jones del The Guardian (UK) affermava, con uno stile insolitamente diplomatico, che era sollevato per la vittoria di Biden, ma al tempo stesso felice per l’importante incarico affidato a Bernie.
Paul Krugman si distinse nel corso dei due mandati Obama criticando con asprezza il presidente per non aver capito la grave crisi finanziaria del 2008 e aver agito di conseguenza con pavidità “fiscale”, delegando il compito della ripresa alla politica monetaria della Fed di Ben Bernanke, tanto insufficiente quanto controproducente. Ebbe ragione: il risultato si manifestò con la vittoria shock di Donald Trump. Keynesiano fino al midollo, come il “suo gemello” Joe Stiglitz, non perse mai l’occasione di ridicolizzare con il suo tagliente sarcasmo gli esponenti dell’allora pensiero economico dominante europeo (il nuovo consenso), di cui Draghi non fu proprio un attore di seconda fila; non si fece nemmeno scrupolo di canzonare quella che lui chiamò: la stupida dottrina di Berlino[1].
Qualcuno può pensare che la sfida all’ “OK Corral” con la presenza di Krugman sia solo regolamento di conti tra pistoleri nemici. Non è proprio così, riguarda tutti noi, perché il volume di fuoco sparato dagli americani è talmente imponente (il 25% del PIL) e il potere del $ è ancora indiscutibilmente forte da far cambiare l’attuale panorama economico internazionale. Ciò farebbe presupporre il ritorno di una inflazione “controllata” negli USA – stimata del 3/4 % nell’arco dei prossimi due anni – poiché la massa monetaria (M1) e la sua velocità di circolo nel mercato interno (circa il 75 %) aumenterà in modo considerevole.
Questo è il pensiero che comincia a tormentare il sonno notturno di un banchiere europeo assai celebrato come Axel A. Weber (UBS)[2], il quale, dando già per scontato un potenziale effetto inflattivo, paventa che la svolta americana potrebbe generare un aumento complessivo dei rendimenti e una corrispondente perdita in valore capitale delle attività finanziarie, in particolare – ma non solo – quella dei bond sovrani. Nel caso specifico s’innescherebbe il cosiddetto doom loop, essendo le banche europee stracolme di attività di questo tipo, la cui conseguenza porterebbe a pesanti perdite patrimoniali. Inoltre, i governi sarebbero costretti per le nuove emissioni a rimborsare interessi con tassi di poco inferiori al rendimento del Treasury bond americano, che potrebbe superare la soglia del 4 %.
Questo è il “glorificato” multilateranismo di Joe Biden: fare ciò che Trump non mise in pratica per mancanza coraggio, per insipienza o vanagloria, indossando però la tunica del buon samaritano. Tutto ciò non dovrebbe sorprendere più di tanto, già Nixon nel “tormentato” 72, annunciando unilateralmente la fine degli accordi di Bretton Woods, sommerso dal coro di lagnanze europee, rispose in modo brutale: “It’s your problem, not mine” (E’ un vostro problema, non il mio). Come dire “real politik”.
Ciò che invece stupisce è la passività colpevole della UE (leggasi Germania). Noi sinceramente pensiamo che i celebrati € 0,75 trilioni NGEU – che sono essenzialmente consumo per il dopodomani – possano intimidire la “furia” americana, così come la cavalleria polacca pensò d’impaurire i panzer tedeschi? Nell’Eurozona, ove la somministrazione dei vaccini è decisamente in ritardo, i bilanci dei partner sono mediamente gravati da una crescita del 13% del proprio debito sovrano, emesso per supplire gli effetti disastrosi della pandemia (PEPP). Qualora assistessimo a un aumento internazionale dei rendimenti, l’economia continentale rischia lo strangolamento. Se fino a ora la risposta della Commissione è stata in linea con la prudenza colpevole di Angela Merkel: “Aspettiamo e vediamo cosa succede prima di reagire“, da adesso in poi dopo lo “scacco” americano non sarà più possibile. Serve un cambio di marcia, in fretta!
Tra i pochi, l’unica voce autorevole che percepì il cul de sac in cui ci stiamo avviando fu il Presidente del Parlamento Europeo, Davide Sassoli, che timidamente fece serpeggiare l’idea di un potenziale “annullamento” del debito contratto a causa della pandemia (PEPP) per una cifra che oscilla complessivamente intorno a € 1,3 trilioni. Cento economisti europei a metà gennaio firmarono un documento dello stesso tenore. La risposta da parte della BCE, confortata dall’establishment corrente, non lasciò scampo: i trattati non lo prevedono. I trattati sono i “trattati”. Passati dieci secoli si deve amaramente constatare che l‘odierna Europa comunitaria ri-delega alla teologia dogmatica il compito della politica, nonostante l’eccezionalità.
L’economista Francesco Saraceno, professore di macroeconomia internazionale ed europea a Sciences Po e alla Luiss, nonché autore due interessanti recenti pubblicazioni (La Scienza inutile, Luiss 2018 e La riconquista, Luiss 2020) firmando un editoriale su il quotidiano Domani. il 5 dicembre scorso https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/come-monetizzare-il-debito-salvando-leuro-e-la-bce-n1qy7vu1?fbclid=IwAR1HY_VNLjAsc3B7Ksfef1SG6H9xfKurs-fy_X5TnGpVlu0Ki9mmr_NFQ68 ci spiegò chiaramente il concetto di “monetizzazione” del debito, rispetto al semplice acquisto da parte della Banca Centrale di titoli governativi in cambio di moneta. Moneta, che messa successivamente a disposizione nelle riserve delle banche commerciali, verrebbe poi “teoricamente” distribuita alla clientela richiedente. Saraceno ci assicurò che “monetizzare” la somma di € 1,3 trilioni (PEPP), non aprirebbe le porte alla tragedia venezuelana. Tale importo, anziché rimanere trattenuto nell’attivo del bilancio della BCE come obbligazioni governative, potrebbe essere eccezionalmente distribuito “una tantum” secondo la formula americana a tutti coloro che hanno subito entro i confini dell’eurozona un reale danno da Covid 19, facilitando una ripresa senza ulteriore aggravio sul debito da parte degli Stati membri.
Il conservatorismo economico europeo impiegò dieci anni per capire che al tempo (2012) il piano Varoufakis-Galbraith, se fosse stato applicato – non dissimile dall’attuale NGEU, per altro oggi del tutto insufficiente[3] – ci avrebbe evitato un decennio d’austerity e di deflazione, senza contare la miserrima crescita dell’eurozona rispetto agli USA, per non parlare poi di quella cinese. Ora, non vorremmo che la dottrina di Krugman subisca lo stesso trattamento di scherno e derisione così come avvenne per il precedente binomio Varoufakis-Galbraith. Laggiù la “timidezza” di Obama fece vincere Trump, quaggiù, se si continua a fare questa inconcludente “melina”, Mario o Super Mario che sia, quel rischio rimane ancora non del tutto scongiurato.
[1] https://ilponte.home.blog/2019/08/24/nyt-usa-paul-krugman-il-mondo-ha-un-problema-la-germania/
[2] https://www.project-syndicate.org/commentary/why-covid19-pandemic-could-lead-to-higher-inflation-by-axel-weber-1-2021-02?utm_source=facebook&utm_medium=organic-social&utm_campaign=page-posts-february21&utm_post-type=link&utm_format=16%3A9&utm_creative=link-image&utm_post-date=2021-02-17&fbclid=IwAR2-iQJ7PaPzYTCO-RjYMHAqPVe9rnH9cOb-1SuD70OehPZPZt8p1Rm1EGk
[3] https://ilponte.home.blog/2021/02/06/adam-tooze-la-duratura-fragilita-economica-europea-a-causa-del-covid-19/