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di Franco Gavio

Caro Giorgio Laguzzi, ti rispondo con un post, poiché “lo scrivi commento” dei social ci trascina verso una dialettica minimalista, o al semplice “like”, che non farebbe onore al tuo spiccato ingegno.

Condivido, non solo il tuo “europeismo”, ma anche il tuo desiderio che si ponga fine a questa “eccezione monetaria” di cui l’€ è la sua marcata esemplificazione. Credo che sia la prima volta nella storia moderna che a fronte dell’esercizio del signoraggio (ovvero di chi batte moneta) vi siano plurimi emettitori di titoli pubblici (debito) in quella moneta, “pesati” secondo un differenziale che ne valuta la loro solvibilità. Sembra di essere tornati al caos tipico della circolazione monetaria medioevale. Quindi, tu giustamente sostieni che non ha senso “frammentare” ulteriormente ciò che è già – conformemente ai trattati – “suddiviso”, sebbene tale ordine si applichi in barba alla logica economica e tenda a essere riprodotto a discapito del principio di “conversione” più volte richiamato dalla stessa UE, ma, almeno per quanto riguarda il passato, sempre solertemente disatteso.

Secondo il tuo punto d’osservazione il pingue Next Generation Plan (NGEU) renderebbe vano l’utilizzo di una scialuppa di salvataggio come il MES, poiché il primo supplisce alle finalità del secondo. Logica formale e sostanziale, ineccepibile. Sennonché, qualsiasi politica fiscale, pur abilmente maneggiata ed esente da tentativi di premiare la spesa corrente, mostra i suoi risultati positivi sul reddito medio aggregato in un periodo che va da i 5 ai 10 anni. L’ERP (Marshall) fu varato nel 48 e i suoi effetti si concretizzarono alla fine degli anni 50.

Il meccanismo che tu proponi è il neoclassico Keynesiano, ove sono gli investimenti a determinare il risparmio e il reddito (lavoro), quindi la spesa in consumi, e non viceversa, disponendo con esso di un moltiplicatore ben collaudato. Secondo questo schema nel medio termine la ratio tra PIL e lo Stock del debito ridurrebbe proporzionalmente il secondo in termini quantitativi a condizione che i tassi rimangano “neutri”.

Però, ci sono due particolarità che non dobbiamo tralasciare: al tempo (anni 30) gli stock dei debiti pubblici e privati erano di gran lunga minori e il leverage finanziario quasi assente; oggidì la BCE dopo i vari QE, LITRO e altre “invenzioni” esoteriche anticonvenzionali stipa nel suo forziere, tra titoli pubblici e privati, un ammontare abnorme, stimato oltre il 60% del PIL eurozona.

Per giunta, è assai acclarato che le principali BBCC, a partire dalla crisi del 2008, abbiano acquistato obbligazioni statali e di primarie corporation internazionali per un valore stratosferico di 15 trilioni di $ al fine d’evitare fallimenti a catena (altro che investment grade, ma junk bond con il badile). Uno scenario che ci sta trascinando verso una “sovietizzazione” dell’economia globale. Sfidando il paradosso si può addirittura supporre che Lenin con la riforma della NEP ambisse a un obiettivo più “moderato”.

Però, una domanda dobbiamo pur farcela: esiste ancora un’economia di mercato?

Pertanto, converrai con me che quel tipo di politica monetaria assunta dalla BCE a partire dalla crisi del 2008 (difesa dello spread e trasferimento di liquidità nelle riserve delle banche commerciali, non necessariamente ampliamento della massa monetaria), in concomitanza con l’austerity, orfana del conforto “fiscale”, si tradusse in una caduta dei prezzi, nonché in una maggior compressione dei salari nelle aree più deboli dell’ Eurozona (deflazione).

Detto ciò, una domanda spontanea, ormai non più sottaciuta all’interno dell’intelligencija  economica internazionale, e non solo, (vedi Sassoli e Letta) verte su questi tre basilari interrogativi:

quanto tempo impiegheremo utilizzando da subito il NGEU, per ristabilire quell’equilibrio economico tra prezzi e salari?;

in questo supposto iato di 5/10 anni, aggravato dalla crisi pandemica, quali potrebbero essere le soluzioni che scongiurino l’ulteriore scivolamento deflattivo con il solito copione: “lacrime e sangue”?;

infine, come reagirà in attesa di un presunto “miracolo” fiscale una comunità di consumatori e operatori economici già piagata dalla crisi del 2008 e ulteriormente ferita dalla pandemia?

Qui comincia il “calvario intellettuale” di molti economisti, i quali sostanzialmente si dividono in “ortodossi”, la maggioranza (la politica fiscale e gli investimenti pubblici saranno sufficienti a generare reddito) auspicando che quel circolo virtuoso prenda vigore; gli “eterodossi”, minoranza, ma in forte crescita e assai combattiva, i cui rappresentanti per converso sostengono che “il Keynes in ritardo”, non basti.

Costoro perorano che la situazione è irrimediabilmente compromessa: necessita uno shock monetario, ma non attraverso la creazione delle solite riserve bancarie, i cui istituti di credito utilizzavano per la speculazione finanziaria, bensì un accredito diretto da parte della BCE sul conto dei vari Tesori per la cifra corrispondente al precedente acquisto di titoli (circa 1,3 trilioni di €) sostenuto a causa dell’incedere della pandemia. I Tesori nazionali s’impegnerebbero a devolvere ai singoli cittadini e alle imprese, dell’eurozona, magari proporzionalmente al danno subito, un ammontare equivalente. Una reale monetizzazione del debito che si compirebbe attraverso l’aumento della circolazione della moneta.

Detto in termini più prosaici: soldi nelle saccocce di noi tutti “paperini”, anziché nei forzieri dei pochi “paperoni”.

Tu mi dirai “helicopter money”? Si, proprio così.

Gli ortodossi si scagliano contro i “rivoluzionari” additandoli come “patrocinatori dell’inflazione”. I secondi ribadiscono in modo plausibile che in un clima “d’incertezze radicali” (efficacia del vaccino, il ritorno a un consumo compresso) una vigorosa ripresa del processo inflattivo potrebbe parimenti avverarsi. Considerato che i produttori dovranno recuperare le perdite di profitto subite, ripagare l’enorme servizio del debito privato accumulato, il tutto presumibilmente si tramuterà in un quasi certo aumento dei prezzi di beni e servizi.  Ciò porterebbe a un incremento dei tassi e quindi l’aggravio di un stock debitorio pubblico europeo, mediamente alto (oltre il 100%), che avrebbe un costo, in termini di servizio, maggiore, e per taluni quasi insostenibile (Italia, Francia e Spagna) rispetto all’ipotesi di un programmato anticipato “dimagrimento”.

Marvey King e John Kay (l’uno ex chairman della BOE, il secondo direttore della prestigiosa LSE), quindi non due strampalati visionari di frontiera, sebbene non coinvolti nella disputa, sostengono in un noto recente pamphlet a quattro mani che al momento attuale, stando la situazione di “endemica anormalità” non è possibile alcun calcolo probabilistico su come evolverà l’economia mondiale (crescita, tassi, inflazione, occupazione, ecc.), in quanto alcune ipotesi di partenza sono inconoscibili, o per lo meno indecifrabili.

Insomma sembra che lo “short period” – che cosa facciamo adesso senza addossarci ulteriore debito – e le “radical uncertanties”, due argomentazioni teoriche che appartengono entrambe al pensiero di JM Keynes, non siano temi da cui sottrarci e su cui riflettere in misura minore di quanto lo sia la “scorciatoia” del  MES.

Infine, c’è da chiedersi se sarà tecnicamente possibile la monetizzazione del debito. In effetti, i trattati UE in vigore pongono degli ostacoli non facilmente superabili. Ma sappiamo benissimo che di fronte a una ipotesi di dissolvimento dell’€  – cosa non del tutto peregrina al cospetto di un “day after” pandemico – le volontà politiche per una soluzione che eviti il pericolo di una catastrofe che distrugga 60 anni di sogno europeo potrebbero prevalere.  

Paul Krugman, tanto abrasivo quanto talentuoso, forse per intuizione non per logica impareggiabile tra tutti i suoi colleghi, spiegò in modo esplicito nel 2011 durante la crisi greca come operare in tal senso. Egli si rivolse a colei che beffardamente appellò come “la casalinga sveva” – se non mi tradisce la memoria – disse più o meno così: “spiegatele che la macroeconomia è una scienza sociale e non la lista della sua spesa, per cui qualsiasi debito in eccesso che pregiudichi la stabilità del sistema è possibile cancellarlo e se proprio non volete farlo perché la BC accuserebbe una perdita e quindi la obblighereste a operare con capitale negativo, accantonatelo, creando dei titoli perpetui irredimibili non fruttiferi”.

L’asprezza di Krugman era ben motivata e faceva un po’ a pugni con l’allora “riverenza” socialdemocratica europea. Il laureato Nobel newyorchese sapeva benissimo – come del resto anche tutti noi – che i tedeschi non hanno mai ripagato i propri debiti (o riparazioni dir si voglia), nemmeno dopo i due devastanti conflitti bellici da loro provocati, ma per contro pretendono che i propri crediti siano puntualmente onorati.

Concludo non concordando con la tua tesi che Letta e Sassoli siano i veri “europeisti” rispetto ai loro “intergovernativi” compagni di partito. Credo che le loro dichiarazioni fossero orientate in misura maggiore a sollevare la vera questione del debito dell’eurozona piuttosto che disquisire sulla presunta funzione del MES, uno strumento mal nato e completamente inadatto per risolvere un problema di tale ampiezza e portata precedentemente descritto.

Franco Gavio

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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