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Haseltine William

William A. Haseltine

Accade ogni settimana di leggere o ascoltare ricorrenti informazioni sul “quasi” perfezionamento di un miracoloso vaccino in grado di poter proteggerci per tutto il resto della nostra vita da questa perniciosa pandemia del covid-19. Spesse volte ne vengono indicate le prossime scadenze attuative, per poi essere reimpostate nell’immediato futuro man mano che corre il tempo.

Insomma, si ha l’impressione che tutto ciò serva sia per evidenziare il potere magico della scienza moderna a guisa di conforto per una popolazione comprensibilmente impaurita e preoccupata; sia per alzare una cortina fumogena a tutela dei grandi operatori finanziari che navigano in un mercato lungamente inquinato da una strabordante liquidità emessa dalle Banche Centrali, ma nel costante pericolo di un improvviso naufragio.

Il noto scienziato americano William Haseltine, celebrato per suoi studi e ricerche sull’ HIV/AIDS, in un lungo e corposo post per Project Syndicate – di cui noi pubblicheremo solo la parte narrativa, lasciando agli esperti quella tecnico-scientifica – squarcia questo velo di “fiduciosa attesa”, osservando lo stato delle cose con gli occhiali della realtà in base alla propria annosa esperienza di ricercatore. Leggendo e rileggendo l’intero testo ci si convince sempre di più che egli nutra un serio scetticismo sull’affidabilità lungo protettiva di un taumaturgico vaccino, mentre è senz’altro decisamente possibilista sulla messa in campo di una efficace terapia clinica.

What If There’s No COVID Vaccine?

Jul 24, 2020 WILLIAM A. HASELTINE

Although the multi-decade struggle against HIV/AIDS featured a great deal of tragedy and despair, the upshot is that medical science prevailed: what was once a death sentence is now a chronic condition. In thinking about worst-case scenarios for COVID-19, this recent experience offers both lessons and hope.

NEW YORK – Quando si tratta di porre fine alla crisi COVID-19, la nostra esperienza nel contrastare l’HIV/AIDS può insegnarci molto. Soprattutto, nel corso di quella precedente pandemia non è mai stato chiaro se si potesse contare su un eventuale vaccino come parte della soluzione. Nei nostri sforzi per superare la crisi di oggi, saremmo negligenti se dimenticassimo questa lezione.

Durante i primi anni della crisi dell’HIV/AIDS, gestivo un laboratorio all’Università di Harvard, dove stavamo facendo ricerche sulla virologia della malattia. Le prime osservazioni mostrarono che un’infezione da HIV provoca una risposta senza precedenti da entrambe le braccia del sistema immunitario: le cellule B e le cellule T. Il corpo rileva la minaccia rappresentata dalla malattia e benché la combatta con tutte le sue forze, fallisce.

Mi chiedevo: come possiamo creare un vaccino che oltrepassi in meglio di ciò che il nostro corpo possa fare? Sono passati 35 anni e non abbiamo ancora una risposta.

La ricerca di un vaccino COVID-19 non è così desolante, ma nemmeno particolarmente brillante. Sei decenni di esperienza con i coronavirus – che causano il raffreddore comune e malattie più gravi come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) – ci offrono ragioni sia per essere ottimisti sia per procedere con cautela.

Lo scopo di un vaccino non è quello di dotare il corpo di uno scudo impenetrabile che blocchi l’ingresso di tutti i virus. Diremmo piuttosto che un vaccino funziona come un sistema di allarme rapido, il quale avvisa il corpo della presenza d’invasori stranieri e ne mobilita le sue difese. Questa immediata risposta immunitaria è ciò che cancella il virus dal corpo prima che questo possa provocare il caos.

Sebbene la maggior parte delle persone che sviluppano un’infezione da un coronavirus (che sia nella versione debole o potente) possa superarla, il processo esatto con cui ciò accade rimane poco chiaro.

Ad esempio, il motivo per cui alcune persone sono in grado di liberarsi da un’infezione senza alcun apparente aiuto da parte degli anticorpi antivirali è un mistero. E ancora più sconcertante è il fatto che lo stesso coronavirus, la cui infezione provoca a qualcuno il raffreddore in un determinato anno, possa tornare a perseguitare quella persona l’anno successivo.

Il virus COVID-19, SARS-CoV-2, sembra adattarsi a questo schema. Diversi studi hanno già scoperto che gli anticorpi protettivi sviluppati dall’organismo nella sua lotta contro la SARS-CoV-2 tendono a svanire rapidamente, lasciando la porta aperta alla reinfezione.

 Questa scoperta implica che il raggiungimento della cosiddetta “immunità di gregge” contro il coronavirus è più una fantasia che una possibilità realistica.

Spezzare il Codice

Come per l’HIV/AIDS, siamo costretti, ancora una volta, a chiederci se possiamo fare meglio della natura. Anni di tentativi di sviluppo di un vaccino contro la SARS e la MERS e l’esperienza finora maturata con i vaccini COVID-19, suggeriscono che il meglio di cui noi possiamo sperare è quella di una protezione parziale, forse transitoria.

Ma anche se non siamo in grado di produrre vaccini COVID-19 efficaci, non saremo indifesi. Come nel caso dell’HIV/AIDS, abbiamo una strategia alternativa su due fronti: utilizzare gli strumenti di una pubblica persuasione per modificare il comportamento e sviluppare farmaci che trattano e prevengano l’infezione.

Questa strategia ha ridotto drasticamente il bilancio della pandemia di HIV/AIDS. Circa 1,7 milioni di nuove infezioni si verificano ancora ogni anno, ma questo è molto al di sotto del tasso che originariamente portò il numero di morti oltre i 50 milioni. Mentre una diagnosi di HIV era una condanna a morte quasi certa, combinazioni efficaci di farmaci anti-HIV hanno trasformato la malattia in una condizione cronica che può essere gestita per l’intera durata della vita.

Il primo fattore di questa combinazione è il cambiamento comportamentale. Campagne di sanità pubblica contro il fumo e una condotta di guida causata da un abuso di alcool ci hanno insegnato che modificare il comportamento umano è difficile ma del tutto possibile. Insieme a un periodo limitato di distanziamento sociale obbligatorio, gli sforzi per incoraggiare un comportamento responsabile – indossare mascherine, evitare grandi raduni al chiuso – potrebbero fare molto per controllare il COVID-19.

Per quanto riguarda il secondo fattore, i trattamenti farmacologici, ora sappiamo che gli antivirali possono controllare con successo un’epidemia, anche quando il suo agente causale è subdolo e persistente come l’HIV. Il primo successo nel trattamento dell’HIV arrivò tre anni dopo la scoperta del virus, con l’approvazione del zidovudine, un farmaco anticancro inefficace che fu scoperto 20 anni prima.

A pochi mesi dal suo iniziale successo in laboratorio, il zidovudine dimostrò di ridurre i livelli di virus nei pazienti con AIDS. Ciò portò alle prime remissioni per i pazienti in quella che era stata, fino a quel momento, una progressione implacabile verso la morte. Ma a causa dello sviluppo di ceppi del virus resistenti al zidovudine in quasi tutti i pazienti, il sollievo si è rivelato di breve durata.

I tumori, come l’HIV, sono malattie persistenti che sviluppano rapidamente resistenza ai singoli farmaci. Quindi, per combattere la resistenza al zidovudine, proposi di utilizzare una combinazione di farmaci antivirali contro l’HIV, attingendo alla mia precedente esperienza in qualità di responsabile della divisione di farmacologia del cancro presso il Dana-Farber Cancer Institute di Harvard, dove abbiamo sviluppato nuove combinazioni di farmaci per curare i pazienti.

Il mio laboratorio iniziò a cercare nuove funzionalità del virus  con il preciso obbiettivo di sviluppare ulteriori farmaci anti-HIV. La sequenza del genoma dell’HIV immediatamente rivelò una vasta gamma di opportunità, tra cui la polimerasi, la ribonucleasi H, l’integrase, la proteasi, le capsid proteins e le envelope proteins, tutte necessarie per la replicazione virale. Successivamente, abbiamo scoperto le proteine tat e rev, entrambe necessarie per la crescita virale, e sostenni che la ricerca di farmaci per inibire una di queste funzioni sarebbe considerata un successo.

Da allora, oltre 25 farmaci sono stati approvati dalla Food and Drug Administration statunitense per il trattamento dell’HIV/AIDS. La maggior parte inibisce quattro dei sette bersagli. Attualmente sono disponibili 11 farmaci anti-polimerasi, sei anti-proteasi, due anti-integrasi e due anti-envelope. Fino ad oggi, non sono stati approvati farmaci specifici per tat, rev o ribonucleasi H, ma alcuni altri sono in fase di sviluppo.

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William A. Haseltine, a scientist, biotech entrepreneur, and infectious disease expert, is Chair and President of the global health think tank ACCESS Health International.

https://www.project-syndicate.org/onpoint/covid-no-vaccine-strategy-anti-viral-drugs-by-william-a-haseltine-2020-07?utm_source=facebook&utm_medium=organic-social&utm_campaign=page-posts-july20&utm_post-type=link&utm_format=16:9&utm_creative=image&utm_post-date=2020-07-24&fbclid=IwAR3Ju6Xbioh0_iOfHNPme9bBheRvMIJMYJ0LD3XFnnDGao2UsokH-ApPe9Y

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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