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smartphones cina

Ci si continua chiedere se la pandemia del corona virus è da considerare un black swan (cigno nero) o semplicemente un “grigio anatroccolo”. Supponiamo che nessuno sia in grado allo stato attuale di darci una risposta certa. Sono molti i fattori che incideranno sull’esito di questo serio, o meno, inaspettato inconveniente che sta affliggendo, non solo la popolazione cinese, bensì anche l’economia mondiale nel suo complesso: il tempo di durata; il contenimento delle misure draconiane imposte dal vertice politico; il grado di trasparenza relativa ai reali dati di contaminazione; la pressoché poca conoscenza da parte degli esperti inerente lo specifico fenomeno sotto il profilo scientifico.

Di ben due cose siamo sicuri:

1) che entrambe le ipotesi, apporteranno conseguenze diametralmente opposte. L’una, il black swan in negativo (costosi effetti di dis-integrazione dell’economia mondiale, quindi il probabile ritorno di spinte inflattive, riduzione dei profitti, ecc.), l’altra, che abbiamo definito come quella del semplice “grigio anatroccolo”, sarà transeunte (limitata nel tempo, pari a un semplice “incidente” domestico);

2) l’attuale leadership cinese dovrà prendere atto che, a prescindere dal esito dell’infezione virale, non potrà più proiettare nel mondo con stucchevole magniloquenza il proprio sistema di organizzazione sociale ed economico altamente tecnologico, senza aver prima risolto al suo interno le contrastanti contraddizioni cetuali (disuguaglianza, assenza di diritti civili, sociali, collettivi) e territoriali.

A deadly disease disrupts

The new coronavirus could have a lasting impact on global supply chains

Multinationals have failed to take seriously the risk of disruption

International Feb 13th 2020 edition

Per intuire l’impatto del nuovo coronavirus sulle aziende globali, consideriamo il caso dell’Apple. Tale è la dipendenza del titano tecnologico americano dalla terraferma cinese per le parti e per l’assemblaggio che la United Airlines regolarmente trasporta ogni giorno circa 50 dei suoi dirigenti tra California e la Cina. Ma non in questo momento. La United e altri vettori hanno sospeso i voli da e per il paese asiatico. La mancanza di lavoratori sta a significare che dopo la fine della vacanze del capodanno lunare la Foxconn, nella cui fabbrica la maggior parte degli iPhone di Apple in Cina, nella corrente settimana non ha potuto riportare i suoi impianti di assemblaggio a piena capacità. Gli analisti ritengono che il virus potrebbe portare l’Apple a smerciare il 5-10% in meno di iPhone in questo trimestre e potrebbe ridurre i suoi piani destinati a incrementare la produzione dei suoi popolari AirPods.

Con la diffusione di covid-19, il suo effetto sugli affari viene amplificato. Il turismo in entrata e in uscita dalle zone interne è precipitato. Si prevede che circa 400.000 turisti cinesi annulleranno i viaggi in Giappone entro la fine di marzo. Una grande nave da crociera in Asia è stata respinta da cinque paesi perché un certo numero [di passeggeri] a bordo sono infetti (la Cambogia alla fine le ha permesso di attraccare). Il Singapore Air Show, da cui si ricavò 250 milioni di dollari nella città-stato nel 2018, ne ottenne molto meno questa settimana a causa delle cancellazioni di 70 compagnie tra cui la Lockheed Martin, un gigante della difesa americano. Il Mobile World Congress, una gigantesca conferenza sulle telecomunicazioni che si terrà a Barcellona questo mese, è stata cancellata dopo che le società di Vodafone, BT, Facebook e Amazon si sono ritirate. È sempre più chiaro che il virus potrebbe danneggiare le catene di approvvigionamento globali (global supply chains), costando caro all’economia mondiale.

Molte aziende multinazionali sono state colte di sorpresa. Questa non è la prima volta che subiscono uno shock  a causa delle loro catene di approvvigionamento asiatiche. Lo tsunami che colpì il Giappone nel 2011 e le devastanti inondazioni in Thailandia nello stesso anno interruppero la produzione di molte grandi aziende. Più recentemente, la guerra commerciale di Donald Trump con la Cina ha messo in luce i rischi di catene di approvvigionamento che dipendono troppo dalla parte interna del paese. Ma i responsabili di tali imprese hanno fatto ben poco per prepararsi allo shock come quello provocato dallo scoppio del nuovo coronavirus.

Gli investitori stanno punendo le aziende per questo fallimento. Le azioni delle società americane con una forte esposizione sulla Cina hanno fatto calare l’indice dello S&P 500 del 5% dall’inizio di gennaio, quando le notizie sull’epidemia sono state rese note per la prima volta.

Ci sono tre ragioni per pensare che i prossimi mesi potrebbero rivelarsi ancora più spiacevoli per molte aziende.

In primo luogo, le grandi multinazionali si sono lasciate pericolosamente esposte al rischio della catena di approvvigionamento a causa di strategie progettate per ridurre i loro costi. Ad esempio, molti hanno a disposizione solo scorte sufficienti per durare alcune settimane, così sicuri di poter sempre reintegrare i loro inventari “just in time“. Quella fiducia è da escludere, sostiene Bindiya Vakil di Resilinc, una società di consulenza.

La seconda vulnerabilità deriva dal fatto che oggi le aziende giganti dipendono molto più dalle fabbriche cinesi di quanto non fossero al momento dello scoppio della SARS nel 2003. La Cina rappresenta ora il 16% del PIL globale, rispetto al 4% di allora. La sua quota di tutte le esportazioni di prodotti tessili e di abbigliamento è ora pari al 40% del totale globale. Genera il 26% delle esportazioni mondiali di mobili. Ed è anche un vorace consumatrice di beni come i metalli, necessari per il ciclo produttivo. Nel 2003 la Cina ha assorbito il 7% delle importazioni minerarie globali. Oggi ne consuma circa un quinto.

Koray Köse di Gartner, una società di ricerca, sottolinea che non è importante solo l’aumento delle dimensioni della base manifatturiera cinese. Dal 2003 le fabbriche si sono diffuse dalla costa alle regioni interne più povere come quella di Wuhan, dove è scoppiata l’epidemia. I lavoratori provenienti da questi luoghi ora sgobbano nelle fabbriche di tutta la Cina e ritornano a casa per le vacanze. Tale interconnessione aumenta i rischi della catena di approvvigionamento, sostiene Köse. Lo stesso vale per l’interdipendenza crescente di molte aziende. I fornitori presenti nell’interno del paese non montano più semplicemente i prodotti; producono anche molte parti che entrano nel processo.

Il terzo motivo per pensare che le grandi aziende possano sperimentare uno shock della catena di approvvigionamento riguarda il fatto che le regioni più colpite dal covid-19 e dai successivi blocchi del governo sono particolarmente importanti per diverse industrie globali. L’industria elettronica è maggiormente a rischio, secondo Llamasoft, una società di analisi della catena di approvvigionamento, a causa della relativa scarsità di materiale nei suoi magazzini e della sua mancanza di fonti alternative per le componenti che le necessitano.

La provincia di Hubei, dove si trova Wuhan, è il cuore della “valle dell’ottica” cinese, sede di molte aziende che producono componenti essenziali per le reti di telecomunicazioni. Forse, un quarto dei cavi e dei dispositivi in ​​fibra ottica del mondo sono fabbricati laggiù. Qui si trova anche uno degli impianti di fabbricazione di chip più avanzati della Cina, che produce la memoria flash utilizzata negli smartphone. Gli analisti temono che l’epidemia in Hubei potrebbe ridurre le spedizioni globali di smartphone fino al 10% quest’anno.

Anche l’industria automobilistica è stata colpita. La mancanza di ricambi da parte dei fornitori localizzati all’interno ha costretto Hyundai a chiudere tutti i suoi stabilimenti automobilistici in Corea del Sud (ora li sta riaprendo parzialmente). Nissan ne ha temporaneamente chiuso uno in Giappone e Fiat-Chrysler ha avvertito che potrebbe presto interrompere la produzione in una delle sue fabbriche europee.

I timori del virus stanno influenzando il prezzo globale del petrolio. Le raffinerie cinesi stanno riducendo la produzione in previsione della contrazione della domanda interna. Il rallentamento della domanda cinese sta ulteriormente oscurando quella che era già una lugubre prospettiva per il gas naturale. Gli acquirenti cinesi di rame hanno chiesto alle società minerarie cilene e nigeriane di ritardare o di annullare le spedizioni. La Mongolia ha sospeso le consegne di carbone in Cina.

Alcune ditte cinesi stanno andando nel panico. Alcune dozzine hanno ricevuto “certificati di forza maggiore” ufficiali, con i quali sperano che consentiranno loro di evadere i contratti senza incorrere in sanzioni. Non possono. Di fronte alla domanda vacillante, nonché a porti e strade chiusi, la CNOOC, un colosso energetico cinese, ha recentemente utilizzato tali tattiche per evitare di accettare spedizioni di lNG., Total e Royal Dutch Shell, le major petrolifere europee, le quali stanno rifiutando la mossa.

Cosa succederà dopo? Le grandi aziende vogliono aumentare rapidamente la produzione. Ma non è chiaro quanto presto ai lavoratori sarà permesso di tornare alle fabbriche. Tuttavia, i dormitori delle fabbriche sono affollati. Gli operai della Foxconn sono stipati in otto in una stanza del suo stabilimento di Shenzhen. Se ciò porta a nuove infezioni, le sedi di produzione potrebbero essere costrette a chiudere di nuovo. I senior managers torneranno presto, ma alcuni temono che i dirigenti di medio livello espatriati con bambini piccoli non lo faranno.

Anche quando gli impianti saranno in funzione, lo spostamento di merci in giro e fuori dalla Cina rimarrà difficile. Alan Cheung di Kerry Logistics, un grande fornitore in Asia, riferisce che i suoi autisti si stanno fermando in tutta la zona interna perché il governo cinese sta ancora cercando di impedire ai camion di spostarsi a meno che non forniscano cibo o altre necessità. Più lunghi sono i volumi di spedizione ridotti, maggiore sarà l’arretrato rispetto a quando China Inc tornerà al lavoro. Ciò porterà probabilmente a imbottigliamenti e a un conseguente aumento delle tariffe di trasporto.

A lungo termine l’epidemia potrebbe smorzare il connubio profittevole tra le multinazionali e la Cina. Le grandi aziende avevano da tempo supposto che le loro interne catene di approvvigionamento fossero affidabili e facili da gestire. I sondaggi hanno rilevato che solo una minoranza di aziende in tutti i settori ne valuta regolarmente i rischi. Per anni i capi hanno trasferito la responsabilità dell’approvvigionamento a manager di medio livello, in genere incaricati di estrarre una percentuale o due in più dai costi ogni anno.

L’epidemia di covid-19 ha esposto i rischi di tale scelta, specialmente da quando la guerra commerciale degli Stati Uniti con la Cina non è stata esattamente risolta. Tsunami e inondazioni andavano e venivano e le aziende pensavano semplicemente di poterle gestire, così afferma Jochen Siebert di jsc Automotive, una società di consulenza. Si prevede che l’epidemia porrà la questione della loro gestione direttamente sulle scrivanie  dei loro Amministratori delegati.

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Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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