Questo breve post è dedicato ad alcuni simpatici amici che mi hanno punzecchiato in merito al presunto rintracciamento dei labouristi inglesi guidati da Jeremy Corbyn a seguito delle votazioni in UK per il parlamento UE. Capita a proposito la pubblicazione di un articolo sul quotidiano londinese The Independent – voce tendenzialmente liberal-democratica, di certo meno “permissiva” rispetto al The Guardian e al New Statesman nei confronti della visione corbynista – attraverso cui Holly Rigby, editorialista, intellettuale britannica, spiega le cause dell’arretramento labourista, anche se nel contempo difende, forse con eccessiva enfasi, le ragioni del capo dell’opposizione parlamentare britannica, da lui sostenute nel corso della ormai stucchevole vicenda della Brexit. Il fatto che il The Independent pubblichi un articolo di questo tenore, per coloro che conoscono la geografia politica britannica, è molto, ma molto, significativo e dovrebbe far riflettere.
fg
Corbyn is right. Labour must force a general election to unite Leavers and Remainers against austerity
A short-sighted focus on Brexit as a political process will do nothing to resolve the injustices at the heart of British society. The party must now use all its energy to campaign across the country for a vote on Tory rule
1 day ago
La Brexit non è una crisi creata da Jeremy Corbyn. Fu David Cameron a indire il referendum; le cui conseguenze hanno portato il caos politico nel paese. Ed è lui che si rilassa nel suo maniero di campagna mentre la nazione si straccia. Eppure molti progressisti Remainers per bloccare la Brexit, che l’arroganza eccessiva di Cameron ha creato, credono che questo compito dovrebbe spettare a Jeremy Corbyn.
Ma [dato che] Corbyn ha sempre apprezzato la voce democratica della gente comune, ebbe ragione quando si trattò d’accettare il risultato del referendum dopo che il 52 % del paese votò per il Leave, tra cui almeno il 35 % degli elettori laburisti. Tuttavia, la strategia del Labour non è mai stata quella di consegnare ai Tories mano libera in materia di Brexit.
Il Labour fece bene nel considerare prioritaria la tutela dell’occupazione e quella dei diritti ambientali quando si trattò [di discutere] qualsiasi accordo relativo alla Brexit messo sul tavolo dai Tory. E quando l’accordo di maggio non offrì tali protezioni, il Labour ebbe anche ragione ad opporsi alla proposta di Theresa May tutte tre le volte che fu portata in parlamento. Mentre il piano di una Brexit morbida del Labour proponeva in modo esplicito un compromesso ragionevole tra i Leavers e i Remainers, per i Tories [non andava bene, infatti] ignorarono completamente il 48% [della quota Labour in Parlamento].
Ma è del tutto evidente che non si possa negare il fatto che i risultati elettorali per il parlamento UE siano stati un duro colpo per i laburisti, con molti loro elettori sia tra i Remains che hanno votato Lib-Dems e i Verdi, sia tra i Leavers che hanno premiato il partito della Brexit. Tuttavia, dovremmo fare attenzione a estrapolare in modo eccessivo ciò che questo significa per il Labour [nel caso di] una General Election[Elezione politica nazionale in UK].
Dopotutto, l’Ukip vinse con una larga maggioranza le elezioni europee del 2014, ma solo un anno dopo non [conquistò] un seggio alle General Election. Nelle elezioni europee del 1999, mentre il Partito Conservatore raddoppiò i voti, al contrario il Labour di Blair perse quasi la metà dei suoi deputati, e solo due anni dopo il partito laburista ottenne un’altra schiacciante vittoria elettorale.
Le elezioni europee sono sempre state viste come un voto di protesta e oggi non c’è di meglio per gli elettori nel Regno Unito che contestare in modo più significativo prendendo spunto dalla Brexit. Sennonché, la vera e attuale questione che sta affrontando il Labour oggidì è come esso sia in grado di garantire che gli elettori laburisti, da entrambi i lati del confine Brexit, continuino a credere che questo partito meglio rappresenti i loro interessi.
Non c’è chiaramente una risposta semplice su che tipo d’azione si dovrebbe intraprendere per quanto attiene alla Brexit. Ma forse il responso può essere trovato nell’unica cosa che unisce gli elettori laburisti, sia i Leavers sia i Remainers: la loro opposizione a questo governo Tory e tutti i danni da esso causati.
La recente recensione di Deaton dell’Institute of Fiscal Studies ha descritto come l’ineguaglianza – aumentata a seguito del decennio di austerità Tory – abbia fatto della democrazia una “parodia”. La Gran Bretagna è stata svuotata al suo interno e la gente ne è consapevole. Coloro che hanno subito i colpi devastanti da questa crisi economica e politica, o che lavorano in prima linea e la vedono con i propri occhi, meritano di esprimere la loro disperazione nell’unico modo attraverso il quale si renda possibile aiutare a risolvere sia il nostro malessere politico sia la miseria economica del paese: [necessita indire] la General Election. Un voto sulla Brexit da solo non è abbastanza sufficiente.
Ovviamente, John McDonnell ha ragione nel dire che, nella loro attuale condizione, è improbabile che i conservatori votino per la Brexit in parlamento. Ma questo non è stato altro ciò di cui si è verificato negli ultimi tre anni, e McDonnell farebbe bene nel ricordare che la General Election non è solo voluta dai politici nei corridoi di Westminster.
Invece, Jeremy Corbyn dovrebbe attingere dalla sua vasta esperienza di oppositore e richiamare il paese a una mobilitazioni di massa per far sì che venga indetta la General Election È qui che si trovano i punti di forza di Corbyn, e che dovrebbe applicare.
Allo stesso modo, il Labour dovrebbe mobilitare attivamente milioni per protestare contro la visita di stato di Trump programmata per la prossima settimana, che nel frattempo sottolinea la complicità del governo conservatore con la sua presidenza. I laburisti devono anche incoraggiare i sindacati a sostenere la richiesta di uno sciopero generale a tutto campo il prossimo settembre in solidarietà anche con gli ispirati studenti scioperanti per il cambiamento climatico.
Non dobbiamo sopportare che le nostre azioni ci vengano dettate dalla soffocante “aritmetica politica” di Westminster. La sinistra dovrebbe invece forzare la questione chiedendo la General Election e un voto per il Labour come l’unico modo per fermare una Brexit senza accordo inflitta al paese e guidata da Boris Johnson. Un progetto del partito laburista in questo contesto potrebbe ben includere un secondo referendum con un’opzione per rimanere, al fine di fermare Johnson e la sua congrega di duri Brexiters. Ma in questo caso, il partito laburista non sarebbe solo il partito dei Remainers, o il partito dei Leavers.
La leadership di Corbyn ha incessantemente dimostrato che il Labour sarà il partito degli infermieri, degli operatori sociali e degli insegnanti a cui appartengo. Sarà il partito dei lavoratori dei call centre, dei conducenti di Deliveroo e dei cernitori “pickers” presso Amazon. Sarà il partito di coloro che non vogliono più lavorare 60 ore a settimana e pagare la metà del loro stipendio per un affitto a proprietari di case senza scrupoli. Deve diventare il partito dei rifugiati e per tutti coloro che fuggono dalle persecuzioni.
Il Labour di Corbyn è l’unica forza in grado di sfidare la dilagante ineguaglianza della Gran Bretagna, la minaccia esistenziale derivata dai cambiamenti climatici e la fine del nostro fatiscente sistema di welfare sociale. Il leader del partito laburista comprende correttamente che questi compiti sono uguali, se non superiori, alla nostra via d’uscita da questo pasticcio Tory sulla Brexit. Una visione miope sulla Brexit, come processo politico, non farà nulla per risolvere le ingiustizie nel cuore della società britannica, molte delle quali hanno concorso al risultato del referendum. Corbyn è in realtà la nostra unica speranza: avremo bisogno di lui come primo ministro qualora avessimo qualche possibilità di tracciare un percorso attraverso la miseria dell’austerità e il caos della Brexit.