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Jšrg Haas, Campaigner bei CAMPACT e.V. , November 2016. Foto/©: Sabine Vielmo

L’ammonimento con il quale il “The Economist” (Frozen out)[1] esorta la UE a provvedere nell’immediato a riconsiderare la propria autonomia energetica mediante il varo di una serie di provvedimenti che s’ispirino a una politica di ricerca e d’investimenti tale per cui il vecchio continente non perda in futuro la competitività del suo sistema industriale a svantaggio degli USA e della Cina, appare oggigiorno quanto mai saggia a seguito del corrente e tuttora irrisolto conflitto russo-ucraino

Altresì avveduto ed equilibrato si dimostra l’economista tedesco Jörg Haas nell’istruirci su quale risorsa puntare (Green Hydrogen) e su quale politica europea adottare per far sì che tale necessità “energetica” s’inquadri in una relazione paritaria con parti del mondo, i cui costi di produzione risulterebbero senz’altro più competitivi rispetto all’Europa stessa.

L’autore, nel trattare questo specifico tema, acutamente separa i due paradigmi della scienza economica, sebbene per la loro funzione in termini di risultato li consideri complementari: il “micro” rispetto al “macro”. In merito al secondo egli scongiura che si avvii un percorso d’infeudazione da parte delle potenze europee, dominanti dal punto di vista tecnologico e di dimensione dei capitali – mediante il classico processo di finanziarizzazione – nei confronti di quelle realtà presenti nel nostro globo terracqueo, più deboli, ma “naturalmente” più dotate.

Hass si rifà al concetto definito con il lemma coniato dall’economista anglo-italiana M. Mazzucato: “financial extraction”.[2]  Complementari, poiché l’autore non crede nel processo top-down, ritenendo che la dimensione “micro” – riferito al territorio coinvolto nel quadro di una politica coordinata comunitaria – abbia la sua importanza e debba godere di un consenso da parte della sua rispettiva collettività.

Sennonché, non tutte le aree e le comunità continentali possono essere adatte a perseguire un obiettivo così ambizioso. Ne beneficiano particolarmente quelle su cui sono localizzate strutture industriali, che sono il patrimonio d’imprese internazionali, a indirizzo tendenzialmente chimico, fortemente capitalizzate, le quali possono accedere a una riconversione del proprio settore merceologico, avvantaggiandosi dei lucrosi sostegni per la trasformazione messi a disposizione da parte della UE (oltre 200 miliardi di €).

Creare un “Green Hydrogen Valley” non sarà certo semplice. Toccherà alla qualità delle istituzioni politiche nei diversi livelli di rappresentanza territoriale, unita alla disponibilità dei partner industriali, giocare questa grintosa scommessa.

fg

The Fuel of the Future

Jan 2, 2023 JÖRG HAAS

Green hydrogen is increasingly heralded as the best alternative to fossil fuels. But to prevent it from becoming another excuse for greenwashing, Western policymakers must work with their counterparts in the Global South to create an economically viable sector with strong environmental and social standards.

BERLINO – L’idrogeno verde (Green Hydrogen) è di gran moda in questi giorni. Durante la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP27) tenutasi a novembre in Egitto, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato che la Germania investirà oltre 4 miliardi di euro (4,3 miliardi di $) per svilupparne il mercato. Negli Stati Uniti, l’amministrazione del presidente Joe Biden ne ha fatto il fulcro del suo Inflation Reduction Act (IRA), che prevede sussidi per le energie rinnovabili. Anche la Cina da tempo investe nelle macchine che producono l’elettrolisi, al punto che alcuni osservatori già temono che conquisterà il mercato come fece con i pannelli fotovoltaici. E persino società come il gigante minerario australiano Fortescue scommettono che il GH diventerà un’industria multimiliardaria.

Quando una tecnologia viene eccessivamente pubblicizzata, molti attivisti ambientalisti si allarmano (Greenwashing). Quello che noi intendiamo per “idrogeno pulito” è semplicemente un modo per rendere ecologicamente accettabili i cosiddetti idrogeno “blu” e “rosa”, generati rispettivamente dal gas naturale e dall’energia nucleare? È un tentativo di produrre una magica soluzione tecnologica che rivendichi eccessi assurdi come il turismo spaziale e il volo ipersonico, quando le classi medie e affluenti del mondo dovrebbero ridurre il loro consumo di energia e di risorse? O è questa la fase successiva di ciò che noi definiamo come “estrattivismo”, ovvero l’appropriazione della terra e dell’acqua delle popolazioni a basso reddito con il pretesto di combattere il cambiamento climatico?

La risposta breve a tutte queste domande è sì. Ma questo non è né inevitabile né l’intera storia lo è. Sì, il sogno dell’idrogeno verde potrebbe trasformarsi in un incubo qualora non si proceda in modo corretto. Tuttavia, è un elemento costitutivo indispensabile della transizione dell’economia globale dai combustibili fossili che distruggono il clima ai modelli sostenibili basati su energie rinnovabili al 100%. Può essere difficile accettare questa ambiguità, ma l’urgente necessità di evitare una catastrofe climatica richiede niente di meno.

Date le numerose potenziali applicazioni dell’idrogeno, alcuni esperti di spicco stimano che entro la metà del secolo il (GH) potrebbe alimentare il 20-30% del consumo globale di energia. Ma questo non lo rende necessariamente la scelta più efficiente. Le batterie elettriche, ad esempio, richiedono molti meno chilowattora rinnovabili per chilometro percorso per alimentare auto e camion rispetto alle celle a combustibile a idrogeno o ai cosiddetti “e-fuel”. Allo stesso modo, l’utilizzo di pompe di calore è più efficiente rispetto alla conversione di caldaie a gas in idrogeno. Anche le alternative organiche (fertilizzanti azotati) dovrebbero essere prese in maggiore considerazione.

Ma ci sono diversi settori critici con poche alternative a zero emissioni di carbonio economicamente valide rispetto all’idrogeno verde e ai suoi derivati, tra cui il trasporto marittimo e l’aviazione a lunga distanza, i prodotti chimici e la produzione di acciaio. Nonostante il clamore, molte industrie avranno chiaramente bisogno di grandi quantità di idrogeno pulito per raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050. Per illustrare la portata della sfida, il fondatore di Bloomberg New Energy Finance Michael Liebreich ha recentemente stimato che per sostituire l’idrogeno “sporco” di oggi – prodotto dai combustibili fossili – richiederebbe il 143% dell’energia eolica e solare attualmente disponibile nel mondo.

Diversi paesi del Sud del pianeta sono stati benedetti con un potenziale solare ed eolico di livello mondiale, che consente loro di produrre idrogeno verde a costi molto bassi. Alcuni, come la Namibia, hanno costruito la loro strategia di sviluppo industriale attorno a questo vantaggio competitivo. Ma in che modo il commercio internazionale d’idrogeno verde e dei suoi derivati può diventare un percorso verso la prosperità? E come possono i paesi in via di sviluppo evitare la trappola dell’ “estrattivismo verde” e garantire che il commercio sia equo e sostenibile?

A seguito di confronti e studi, nazioni come Cile, Argentina, Brasile, Colombia, Sud Africa, Marocco e Tunisia hanno esplorato a lungo queste questioni. Un nuovo rapporto della Heinrich Böll Foundation e Bread for the World sintetizza le loro scoperte e sottolinea la necessità di non creare danni. Per evitare che il sogno dell’idrogeno verde diventi un incubo, dobbiamo sviluppare il settore con una pianificazione territoriale, standard e politiche chiare, nonché difendere il diritto delle comunità locali al consenso informato preventivo. Per mantenere la promessa dello sviluppo post-fossile e promuovere economie sostenibili, i governi devono elaborare strategie industriali ambiziose e realistiche. E queste strategie devono essere integrate in un approccio sistemico allo sviluppo sostenibile e alla transizione energetica. Inoltre, dobbiamo considerare come viene utilizzato l’idrogeno e non solo chi può pagarlo.

Niente di tutto questo accadrà per grazia ricevuta. Raggiungere un futuro sostenibile è una scelta politica che richiede leadership e cooperazione. Diversi paesi potrebbero contribuire a rendere il commercio equo e sostenibile dell’idrogeno verde una realtà. La Namibia, il Cile, la Colombia e ora (sotto il presidente Luiz Inácio Lula da Silva) il Brasile, per esempio, hanno le giuste condizioni politiche per bilanciare la produzione d’idrogeno verde con forti standard ambientali e sociali. Nel tempo, Argentina e Sudafrica potrebbero entrare a far parte di questo elenco e diventare paesi produttori.

In qualità di potenziale rilevante come importatore e consumatore d’idrogeno verde, la Germania dovrebbe formare partenariati con i paesi produttori, basati su solidi standard ambientali e sociali. E considerato l’attuale governo progressista, ci si può aspettare che essa s’impegni con i suoi partner per un progetto a lungo termine non solo come fornitori di risorse, ma come compagni di viaggio sulla via della prosperità sostenibile e inclusiva.

A tal fine, la Germania e altri importatori d’energia devono anche sostenere i paesi esportatori nei loro sforzi per localizzare la creazione di valore. In questo modo, l’emergente commercio internazionale d’idrogeno verde potrebbe diventare foriero di una nuova ed equa relazione commerciale tra il Nord e il Sud del mondo. Questo è un futuro per cui vale la pena lottare e l’energia rinnovabile ne è la chiave.

Jörg Haas is Head of International Politics at the Heinrich Böll Foundation.

https://www.project-syndicate.org/commentary/green-hydrogen-net-zero-emissions-climate-change-by-jorg-haas-2-2023-01

[1] https://www.economist.com/leaders/2022/11/24/europe-faces-an-enduring-crisis-of-energy-and-geopolitics

[2] https://www.ibs.it/value-of-everything-making-taking-libro-inglese-mariana-mazzucato/e/9780141980768?lgw_code=1122-X9780141980768&gclid=CjwKCAiA8OmdBhAgEiwAShr403xYb3RjskiCrjKNtyGhowzQx8MEXi8CzcW2kRz5AOprs7lamIYIvhoCDX0QAvD_BwE

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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