Faranno molto discutere le conclusioni del The Economist su come sanare la pesante situazione debitoria pubblica che si verrà a creare nei principali paesi occidentali a causa dell’emergenza pandemica. Meglio un bella patrimoniale – afferma l’illustre pubblicazione britannica – anziché sperare che il PIL nominale corra più veloce di una ipotetica inflazione, la quale è pur sempre regressiva. Il problema però sta nel fatto che se si vuole “energizzare” il PIL nominale, essendo posto a denominatore rispetto allo stock di debito, forse converrebbe “de-finanziarlo”. Ossia, fare in modo che la maggior parte dei profitti dei grandi gruppi quotati non venga assegnata in modo arbitrario e “truccato” (riacquisto di azioni e simili artefatti), come è accaduto finora “all’impazzata”, bensì sia allocata negli investimenti (innovazione) e magari distribuita tra le maestranze (aumento dei salari).
Eh, sì, caro The Economist, bisognerebbe cambiare le regole, quelle stesse che finora hanno impedito che la crescita sia concepita come un risultato collettivo – nel rispetto dei vari gradi di partecipazione – anziché una cornucopia per azionisti e avidi top managers (shareholder economy). Forse, se si mettesse in pratica una minor estrazione di valore e una adeguata Tobin tax, che limiti l’alta frequenza (HFR) con cui vengono “girati” i portafogli nelle transazioni finanziarie a discapito d’investimenti a medio-lungo termine (Patient Capitals), non occorrerebbe alcuna patrimoniale.
After the disease, the debt
Leaders
To cope with the expensive legacy of the pandemic, governments will have to find the right path between stimulus and restraint
Ai leader nazionali piace parlare della lotta contro il covid-19 come si trattasse di una guerra. Per lo più questa è una figura retorica, ma per un certo aspetto hanno ragione. L’indebitamento pubblico nel mondo ricco è destinato a salire come ai livelli visti l’ultima volta tra le macerie e il fumo del 1945. Mentre l’economia cade in rovina, i governi stanno firmando milioni di assegni alle famiglie e alle imprese per aiutarle a sopravvivere al lockdown. Parallelamente, con fabbriche, negozi e uffici chiusi, le entrate fiscali stanno crollando. Tali conseguenze nei paesi colpiti si faranno sentire molto tempo dopo che i reparti covidi-19 si saranno svuotati.
Si sta verificando un sorprendente deterioramento delle finanze pubbliche. Quest’anno il governo americano dovrebbe affrontare un deficit del 15% del PIL, una cifra che aumenterà se sarà necessario uno stimolo maggiore. In tutto il mondo ricco, il FMI afferma che il debito pubblico lordo aumenterà da $ 6 trilioni, a $ 66 trn alla fine di quest’anno, in % dal 105 del PIL al 122. Un aumento maggiore di quanto si sia visto in qualsiasi anno durante la crisi finanziaria globale. Se i lockdown persisteranno, il carico sarà maggiore. La gestione di tali debiti così colossali graverà sulle società occidentali per i decenni a venire.
Eppure, mentre ora spendere a piene mani per evitare un crollo più profondo è l’unica cosa sensata da fare, tali prestiti all’impazzata per anni potrebbero alla fine essere la fonte di guai. L’America ha forti difese contro una vera e propria crisi del debito, perché il dollaro è la valuta mondiale di riserva e gli stranieri ambiscono a possedere le sue obbligazioni. Ma altri paesi ricchi non dispongono di quel lusso. Il debito imponente dell’Italia e la sua appartenenza alla zona euro la condanna a vivere con la perenne minaccia da panico finanziario qualora la BCE smettesse di acquistare le sue obbligazioni.
La buona notizia è che i mercati finanziari suggeriscono che i tassi rimarranno accomodanti per decenni. Ma il fatto che non si sappia ancora molto del virus e dei suoi effetti, in qualsiasi momento, fa sì che gli investitori non siano in grado di vedere chiaramente molto lontano nel futuro. Alcuni economisti temono che, nel caso in cui il virus si attenuasse, la spirale dei prezzi, nonché i tassi d’interesse, potrebbe andare fuori controllo, poiché le filiere di approvvigionamento, che sono state distrutte dalla pandemia, non sopporterebbero una incessante domanda.
I governi dovranno quindi percorrere un percorso infido tra stimolo dell’oggi e la prudenza del domani. Il successo non è garantito. Dopo la seconda guerra mondiale i paesi ridussero i loro debiti nel corso dei decenni, ma solo usando una combinazione imposta dall’alto consistente in tasse elevate sul capitale, repressione finanziaria (costringendo gli investitori domestici a detenere debito a tassi d’interesse artificialmente bassi) e inflazione, la quale erode il reale valore dei debiti nel tempo. Un boom economico accompagnato da livelli d’istruzione in rapido aumento rese più facile per le economie uscire dal debito. Il Giappone non ha affrontato una crisi del mercato obbligazionario dagli anni 90, benché il suo rapporto debito/PIL continui ad aumentare. Dopo la crisi finanziaria del 2007-2009, alcuni paesi europei optarono per apportare tagli al bilancio per ridurre i debiti, con risultati contrastanti e un forte contraccolpo politico.
La politica di riduzione del deficit sarà tossica. La pandemia aumenterà le richieste di spese generose, non certo quello di stringere la cinghia, in particolare per i servizi sanitari. L’invecchiamento della popolazione comporterà un aumento della domanda di spese pensionistiche e sanitarie negli anni 2030 e 2040. Sarà più costoso mantenere i servizi pubblici, e tanto meno migliorarli. I politici che dovessero adeguare verso il basso le prestazioni pensionistiche saranno puniti da frotte di elettori anziani. Ci saranno meno soldi accantonati per combattere le crisi future, un moderato incremento dell’inflazione aiuterebbe, aumentando il tasso di crescita nominale dell’economia. Quando ciò accade, nel caso in cui fosse superiore al tasso di interesse, i debiti esistenti si riducono nel tempo rispetto a PIL. Sfortunatamente, le banche centrali hanno recentemente raggiunto i loro obiettivi d’inflazione. Negli ultimi dieci anni il deficit cumulativo in America e nella zona euro è stato di circa il 5-6%. Le banche centrali dovrebbero impegnarsi a colmarlo riguadagnando terreno con l’inflazione in futuro. Ciò faciliterebbe l’onere del debito senza infrangere le promesse uniformandosi agli obiettivi di [contenimento] dell’inflazione.
Di fronte a questa realtà scoraggiante, i governi dei paesi ricchi commetterebbero un grosso errore qualora soccombessero a premature ed eccessive preoccupazioni per i bilanci. Mentre sono in preda alla pandemia, il ritiro del supporto volto all’emergenza sarebbe autolesionistico.
E i governi dovrebbero prepararsi per la difficile attività di equilibrio dei bilanci entro la fine del decennio. [Se] fatto bene, ciò sarebbe più equo ed efficiente rispetto alla [soluzione] di mantenere bassi i tassi e lasciare che l’inflazione corra, il che trasferirebbe la ricchezza in modo regressivo e arbitrario, ad esempio riducendo i debiti a società e a proprietari di abitazione incautamente indebitati. Meglio aumentare le tasse fondiarie, l’imposta di successione, sulle emissioni di CO2 e, in America, sui consumi e almeno cercare di tagliare la spesa per gli anziani.
Gli interessi sul servizio del debito nazionale
Forse i tassi d’interesse rimarranno davvero bassi mentre la crescita si riprenderà e l’inflazione aumenterà solo leggermente, alleviando l’onere del debito. E’ assai probabile che vivere con debiti elevati diventerà una faticata snervante e estenuante. Fare i bilanci ci porta a verificare come se si trattasse di una sfida decisiva per il mondo post-covid, una cosa che i politici di oggi non hanno ancora nemmeno iniziato ad affrontare. ■
https://www.economist.com/leaders/2020/04/23/after-the-disease-the-debt