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Sir Lawrence Freedman

Indubbiamente Sir Lawrence Freedman, che è un autorevole “war strategist” potrebbe aver ragione sulle fallanze della Cina a cui l’OMS negligentemente sorvolò mostrando un certo timore reverenziale. La sua descrizione dei fatti è minuziosa, per altro confortata da evidenze inoppugnabili. Tuttavia, noi preferiamo prendere in esame la questione con un approccio più sistemico meno frazionale. Diremmo: più “organico”.

In un mondo, ove da quasi mezzo secolo vige un pensiero economico che pregia il potere taumaturgico dell’autosufficienza del mercato coadiuvato da prassi politiche sostanzialmente acquiescenti, secondo cui:

la ridistribuzione delle ricchezze si deve attuare principalmente attraverso il meccanismo della partecipazione azionaria (shareholder economy), che legittima e legalizza una gigantesca (value extraction) estrazione di valore;

gli evidenti squilibri macroeconomici (world economic imbalances) non sono oggetto di seria preoccupazione;

l’acuirsi della disuguaglianza sociale – infra e extra nazionale – non costituisce un effetto dirompente nel lungo termine;

la supposta violenza perpetrata nei confronti dell’ambiente a vantaggio della massimizzazione della rendita capitalistica si basa su di una costruzione astratta e puramente ideologica;

lo Stato è da reputarsi esclusivamente come soggetto “riparatore” dei potenziali guai di cui ciclo economico è di per sé portatore;

risulta evidente che settorializzare le colpe o le omissioni dell’OMS, tutt’altro che giustificabili, pare essere un esercizio che non spiega la complessità del tutto e che riduce “l’incidente di sistema” a un puro nefasto evento esogeno, come se fossimo stati colpiti da un grosso meteorite senza che le precedenti scelte dettate dalle leadership dominanti fossero esenti da colpa.

How the World Health Organisation’s failure to challenge China over coronavirus cost us dearly

As the disease spread through Wuhan, the international body blithely accepted Beijing’s assurances that there was little to worry about. 

By Lawrence Freedman

Mentre il governo giapponese contava il costo del rinvio delle Olimpiadi di Tokyo del 2020 al prossimo anno, Taro Aso, vice primo ministro del paese, si è liberato dalla sua frustrazione riguardo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). La preparazione per una pandemia, esattamente di questa natura, era stata a lungo la massima priorità dell’OMS. Quindi, perché l’OMS fallì la prova malamente quando giunse il momento?

Inoltre la risposta fu che l’OMS si avvicinò fin troppo alla Cina. In effetti, suggerì, dovrebbe cambiare il suo nome in Organizzazione sanitaria cinese. Non solo la precedente direttrice generale dell’OMS, Margaret Chan, cittadina cinese, ma il suo successore, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ex ministro della salute etiope, era il candidato cinese. L’accusa si fece seria: “All’inizio, se l’OMS non avesse ribadito a tutto il mondo sul fatto che in Cina non c’era un’epidemia di polmonite, tutti avrebbero preso precauzioni“, così [Taro Aso] affermò il 28 marzo. Sebbene si avvisò a fine dicembre che era comparsa una nuova malattia nella città cinese di Wuhan, l’OMS continuò a ripetere le assicurazioni di Pechino, secondo cui non c’era molto di cui preoccuparsi.

L’OMS era stata avvertita del problema da una fonte di Wuhan affidabile ma imbarazzante. In comune con la maggior parte delle organizzazioni internazionali, su insistenza della Cina, l’OMS non include Taiwan come membro indipendente. Questo è il motivo per cui coloro che cercano prove della performance di Taiwan nella lotta contro Covid-19 scruteranno invano sul sito Web dell’OMS. Tuttavia, come anche Aso fece presente, Taiwan può affermare di essere un “leader mondiale” nella risposta al virus e il suo record impressionante dovrebbe essere [a tutti] noto. Esaminando le persone che arrivano sui voli dalla Cina e rintracciando i contatti di tutti i casi conclamati, questo paese insulare di circa 24 milioni di persone ne ha finora limitato il numero a 363, con cinque morti.

Ma questa non è una storia che l’OMS può raccontare. Ci fu un momento imbarazzante alla fine di marzo, quando Bruce Aylward, un consulente senior dell’OMS, non fu in grado di rispondere a una domanda di un giornalista con sede a Hong Kong su Taiwan perché non osò riconoscere la sua esistenza come entità politica distinta. Questo è un problema familiare per i burocrati internazionali. Il particolare imbarazzo in questo caso dipese dal fatto che Taiwan ebbe avvertito l’OMS dei guai di Wuhan alla fine di dicembre, e nello specifico della possibilità di trasmissione da uomo a uomo. Tutto ciò [avvenne] nonostante gli sforzi compiuti dai funzionari locali del Partito Comunista per reprimere la notizia e avvertire quei medici che ne parlano apertamente di cessare di diffondere voci così dannose. Ma all’inizio di quest’anno, la notizia stava emergendo in vari modi e non solo attraverso Taiwan.

L’OMS non fece caso dell’avvertimento di Taiwan e non lo trasmise ad altri. Invece rimase vicino alla linea ufficiale della Cina. Anche se la gravità della situazione si mostrò evidente e l’OMS ripetette le rassicurazioni da parte della Cina. Più notoriamente, il 14 gennaio approvò l’argomentazione cinese, basata su un’indagine preliminare, che sebbene questa poteva essere un altro esempio di trasmissione da animale a uomo di un nuovo virus – come può accadere quando gli animali selvatici vengono acquistati e venduti nei “web market” cinesi – non vi erano ancora prove di questa trasmissione. Si trattava di un’affermazione da parte di coloro i quali cercavano di affrontare la montante crisi nella città che sapevano di dire il falso. L’OMS trasmise queste notizie rassicuranti in un tweet. I governi di tutto il mondo, che fanno affidamento sull’OMS come la più autorevole fonte di informazioni sulle malattie infettive, presero atto.

Il 22 gennaio, il comitato di emergenza dell’OMS fu convocato in teleconferenza per discutere se la “narrazione coronavirus 2019” costituisse una Public Health Emergency of International Concern (PHEIC) [Emergenza sanitaria pubblica d’interesse internazionale – il più alto livello d’allarme al di sotto di quello della pandemia. Dopo che le “opinioni divergenti” erano state condivise, il suggerimento fu di dire che non fosse un PHEIC. Sennonché, il giorno seguente la Cina annunciò le dure misure che stava imponendo per ottenere un controllo sul virus a Wuhan. Il comitato di emergenza si riunì di nuovo il 23 gennaio e venne a sapere su come il virus stesse diffondendosi, fino a includere il Giappone, la Corea del Sud e la Tailandia, e i 557 casi segnalati in Cina, di cui 17 persone decedute (circa il 4%). (Un articolo sulla rivista Science stimò che in quel momento circa l’86% di tutte le infezioni in Cina non erano documentate.) Il comitato ritenne poco chiara l’estensione della trasmissione da uomo a uomo. Su questa base era ancora riluttante a dichiarare un PHEIC, e decise un più alto “livello intermedio d’allerta.

Ulteriori informazioni vennero ora richieste dalla Cina per “comprendere meglio l’epidemiologia e l’evoluzione di questo focolaio“, nonché le caratteristiche cliniche dell’infezione e i migliori trattamenti per la cura. Al fine di fermare la diffusione internazionale del virus, la Cina doveva condurre “screening di uscita negli aeroporti e porti internazionali delle province colpite“. Ciò avrebbe consentito d’individuare tempestivamente i “viaggiatori sintomatici … riducendo al minimo le interferenze con il traffico internazionale“. La Cina era ansiosa di evitare le perturbazioni economiche provocate dall’epidemia di Sars del 2002-04.

All’epoca, l’OMS fornì il consiglio di rinviare i viaggi non essenziali in un’area colpita dall’infezione, il che ebbe l’effetto di ridurre gli spostamenti in Asia orientale di circa il 10%, con conseguenze economiche disastrose per l’industria aeronautica e il turismo.

A questo punto altri paesi stavano iniziando a diventare trepidanti. L’intelligence americana avvertì Donald Trump alla fine di gennaio che la Cina stava sottostimando la gravità della malattia e [il presidente Usa] riferì le rassicurazioni ricevute da Xi Jinping, il leader cinese. Le principali compagnie aeree stavano fermando piè stante i voli da Wuhan. Quando per prima l’Italia (che presto ebbe il suo primo esempio di un viaggiatore infetto da Wuhan) vietò i voli, conseguentemente gli Stati Uniti la seguì, il 4 febbraio Tedros avvertì che questo avrebbe avuto “l’effetto di aumentare la paura e lo stigma, con scarsi benefici per la salute pubblica“. A questo punto il virus stava già ben circolando nel mondo.

Lentamente, l’OMS intensificò i suoi avvertimenti e i suoi consigli. Infine il 30 gennaio dichiarò un’emergenza globale per la salute pubblica. Tedros si dimostrò ancora riluttante a compiere un passo verso il livello successivo. “L’uso della parola pandemia con noncuranza non ha alcun beneficio tangibile“, fece osservare il 26 febbraio, “ma presenta un rischio significativo in termini di amplificazione della paura e dello stigma inutili e ingiustificati, paralizzando i sistemi. Potrebbe anche segnalare che non possiamo più contenere il virus, il che non è vero.A questo punto il principale paese preoccupato per lo stigma era la Cina.

Tedros temette anche (probabilmente dato il corretto corso della pandemia) che il pericolo maggiore fosse per i paesi in via di sviluppo. Il 12 febbraio furono pubblicate le linee guida di pianificazione operativa per i paesi e il 21 febbraio venne lanciato un avvertimento più urgente che la “finestra di opportunità” per prevenire la diffusione del virus poteva presto chiudersi. Il giorno seguente a una squadra di esperti dell’OMS fu finalmente permessa di visitare Wuhan per saggiare le evidenze. Il suo rapporto finale, pubblicato alla fine del mese, fornì informazioni vitali che notificarono i preparativi di emergenza in tutto il mondo. I membri del team elogiarono la Cina per la cooperazione scientifica, ma notarono il suo nervosismo per aver sopravvalutato la letalità del Covid-19 e la possibilità di una “seconda ondata” (al suo posto è stata usata la parola “ri-insorgenza“).

Il rapporto raccomandava “l’individuazione dei casi attivi, esaustivi, test immediati e l’isolamento, un’attenta ricerca dei contatti e una rigorosa quarantena per i contatti stretti“, educando nel frattempo il pubblico “sulla gravità del Covid-19” e su come prevenirne la diffusione. Quando contemplò “misure più stringenti“, come la sospensione di riunioni su larga scala e la chiusura di scuole e luoghi di lavoro, [la relazione] non andò oltre la sollecitazione di una “pianificazione e simulazioni di scenari multisettoriali“.

Questo fu il suggerimento all’inizio di marzo, anche se a quel punto la posizione in un certo numero di paesi stava già diventando più urgente e la programmazione dei test poteva avere un valore limitato nel contenere la diffusione, soprattutto perché molti di coloro che erano portatori del virus non mostravano nessun sintomo o solo lievi. L’11 marzo la pandemia fu dichiarata dall’OMS. A questo punto, 114 paesi avevano segnalato casi. Per correttezza verso l’OMS, ora che si era anche in piena emergenza, la stessa organizzazione internazionale fornì consigli e assistenza essenziali in tutto il mondo.

E, ancora una volta, in tutta onestà verso l’OMS, tutte le organizzazioni internazionali devono trattare attentamente con i loro membri più potenti perché hanno bisogno della loro cooperazione. Nemmeno annunciare una pandemia sulla base di prove limitate [quando si tratta] di una questione ordinaria. Il predecessore di Tedros, Margaret Chan, fu criticata severamente per aver dichiarato troppo in fretta una pandemia riguardo alla cosiddetta influenza suina del 2009 (H1N1 / 09), poiché gli effetti si rivelarono simili alla normale influenza stagionale. Ci furono persino accuse, in seguito dimostrate infondate, che ciò si fece per volere delle compagnie farmaceutiche, le quali si aspettavano di fare soldi dai test e dai vaccini.

Tuttavia, quando si parlava di virus di questo tipo, la Cina aveva i suoi precedenti. La Sars iniziò anche con la combinazione di animali selvatici con il “wet market”. La riluttanza dei funzionari locali nel trasmettere cattive notizie a Pechino, e il timore di causare instabilità economica e sociale, comportò il ritardo comunicativo verso al mondo esterno. In seguito, l’OMS chiarì che questi ritardi ebbero gravi conseguenze. La Cina accettò di fare meglio la prossima volta. Contemplò persino tale l’impegno d’inserirlo in una disposizione di legge. Fu una promessa che non venne mantenuta. Il costo della sua incapacità di farlo, e della riluttanza dell’OMS di obiettare a ciò che venne detto alla Cina [in merito alla precedente SARS], è costato caro al mondo.

Lawrence Freedman is emeritus professor of war studies at King’s College London

https://www.newstatesman.com/world/asia/2020/04/how-world-health-organisation-s-failure-challenge-china-over-coronavirus-cost-us?fbclid=IwAR1Pd2IIUTcfxNJmX_RXc2XYowJPe6G2qdFGnv2EimBduoJOzkqCRDy3Fzc

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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