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Cazzulo Roberta 03

Roberta Cazzulo

Il coronavirus, visto al microscopio, ha l’aspetto inoffensivo di una pallina da golf punteggiata sulla superficie da un certo numero di segnalini rossi, a fargli corona.

Non è una bella sensazione ritrovarsi nel tempo del coronavirus, anzi del “ceppo italiano del Covid-19”.

Purtroppo è successo.

La paura è legittima.

Chiudono scuole, teatri, cinema e molte aziende invitano i dipendenti a lavorare da remoto.

Sono due i sentimenti che aleggiano all’interno del nostro paese: la paura e la rabbia.

La rabbia di chi vuole sempre trovare un colpevole, che si tratti del Capo del Governo, del Ministro della Salute o di un sospetto contagiato.

E la paura di essere considerati responsabili.

Noi italiani nelle ultime settimane ci siamo resi conto che ogni “muro” ha il suo rovescio della medaglia.

Abbiamo iniziato a comprendere che la logica del “muro”, e dell’ognun per sé, è quanto di peggio si possa far passare in un mondo in cui nessuno si ammala e si salva da solo, dove nessuno all’interno del proprio orticello – che si chiami Codogno, Vo’ Euganeo o Wuhan – si può chiamare fuori.

Fino ad oggi, infatti, quelli da guardare con sospetto,  erano sempre altri, evidentemente diversi da noi.

Solitamente scuri di pelle e poveri di tutto.

Ora, quasi per una sorta di “legge del contrappasso” scopriamo che “gli altri”, “i diversi”, siamo noi.

I discriminatori che diventano i discriminati sono un classico nella storia e nella letteratura.

Nelle ultime settimane siamo stati trattati dagli altri Stati come molti di noi hanno preteso e pretendono di trattare i migranti, veniamo visti come potenziali esportatori dell’epidemia e ci troviamo di fronte ad una recessione rapidissima sullo sfondo di un’economia già provata ed esposta al collasso.

Quando il coronavirus è comparso in Cina, nella città di Wuhan, e l’11 gennaio ha causato la prima vittima, ha raggiunto la Corea del Sud, il Giappone, l’Iran, fino ad arrivare a noi, nella lombarda Codogno, il 21 febbraio, per poi schizzare nel resto d’Europa, nelle Americhe, nel Medio Oriente….

Il nostro piccolo mondo si è chiuso in mondi ancora più piccoli, speravamo che il male si scatenasse altrove, evitando il “nostro cortile” e “la nostra piccola Italia” settimana dopo settimana ha iniziato ad agitarsi….

In questo strazio globale, noi italiani stiamo pagando uno dei prezzi più alti: l’Italia è seconda dopo la Cina per numero di morti e contagi.

Il coronavirus provoca lo sconquasso anche sui mercati finanziari.

I tassi scendono in tutto il mondo: non solo quelli a breve – il cui calo è più logico dato che nel breve periodo il rallentamento dell’economia globale innescato dalla diffusione di un virus senza vaccino e ad impatto planetario è da mettere in preventivo – ma anche quelli a lungo, lunghissimo termine. Quelli che in teoria dovrebbero essere “più resistenti” a un virus che, appunto, ci si augura di contenere i il prima possibile.

Allo shock recessivo da coronavirus si somma una guerra geo-economica tra Arabia saudita e Russia: il risultato è la caduta del 20% del prezzo del petrolio, un tracollo di questa portata non si vedeva dalla prima Guerra del Golfo del 1991.

In Italia per contrastare il virus, il Ministro della Salute, Roberto Speranza ha disposto di raddoppiare i posti letto nelle pneumologie e aumentarli del 50% in terapia intensiva e nei reparti di malattie infettive, utilizzando i letti delle strutture sanitarie private e richiamando in servizio medici e infermieri oramai in pensione o spostando dal Sud al Nord il personale in questo momento meno sotto stress; sottolineando la necessità di un patto vero con le persone, di comportamenti virtuosi di ciascuno.

I decreti da soli non bastano.

In 10 anni sono stati cancellati 70 mila posti letto, mancano 8 mila medici e 35 mila infermieri…la sanità pubblica ormai ha difficoltà a fronteggiare la gestione ordinaria, figuriamoci il ciclone che si sta abbattendo sul nostro Paese.

I contagi continuano ad aumentare e con loro i ricoveri, sia quelli nei normali reparti, sia quelli in terapia intensiva.

Gli ospedali del Nord che sono in prima linea nella battaglia contro il virus sono al limite del collasso.

I posti in terapia intensiva vanno esaurendosi e i medici si ritrovano a dover fare delle scelte su chi assistere prima e chi dopo.

Non potrà essere l’eroismo degli operatori – medici ed infermieri – impegnati fino allo sfinimento nelle zone rosse o gialle, degli epidemiologi, a contenere il danno.

C’è un dovere superiore, per il bene nazionale, che imporrebbe di sostenerli soprattutto in un momento difficile come questo dove la loro esperienza, maturata in un campo e in un tempo repentino, può fare la differenza.

Il nostro dovere civico, in questi tempi di emergenza coronavirus, è rispettare tutte le precauzioni e le regole stabilite per rallentare la diffusione del contagio non facendosi prendere dal panico.

Il fattore che più rende l’idea di un Paese “in confusione” è quanto successo la notte del sette marzo.

Il tempo fatto passare dal Governo dopo la diffusione delle bozze del Decreto ha fatto sì che i più svelti si siano organizzati per una “sorta di fuga” al Meridione: in particolare alla stazione milanese di Porta Garibaldi circa 400 persone si sono riversate per prendere l’ultimo Eurocity notturno con destinazione Salerno.

In molti, poi, non vedono l’ora di poter tornare alla loro vita, fatta di aperitivi, palestra, vacanze, shopping e durante la quarantena hanno organizzato a casa cene tra amici

Rivendichiamo la nostra libertà come un diritto inviolabile e non comprendiamo che la nostra libertà finisce esattamente dove comincia quella dell’altro.

Tante persone non sono uscite dalla zona rossa solo perché erano presenti i militari a bloccare le strade.

Lo dimostra il delirio del primo sabato di quarantena, con masse di individui che correvano a saccheggiare i centri commerciali fuori dalla zona rossa.

Nelle farmacie i gel disinfettanti per le mani sono andati esauriti in pochi giorni….

E poi ci sono i giovanissimi che snobbano l’emergenza: sei su dieci continuano la movida, la maggioranza non rinuncia a baci, abbracci e strette di mano, si sentono invincibili….dei Super Eroi…in vacanza estiva anticipata….

Continuano a frequentare grandi assembramenti, nonostante le pressanti raccomandazioni che arrivano da Istituzioni, autorità sanitarie e virologi, contenute all’interno del nuovo Decreto Governativo sull’emergenza coronavirus.

In troppi si comportano come se il coronavirus non li riguardasse, come se fosse solo un problema degli anziani.

Personalmente sono molto amareggiata il rischio è trasversale, anche i giovani possono realmente contrarre l’infezione, magari senza mostrare sintomi significativi, ma comunque con la possibilità di contagiare le categorie più fragili, con gravi conseguenze.

In queste ore assistiamo purtroppo a una generazione che sta dimostrando scarsa responsabilità collettiva e mancanza di consapevolezza.

È questo il momento di dimostrare che lo Stato siamo tutti noi, nessuno escluso; e che la responsabilità sociale di impresa non è solo uno strumento di marketing, ma è una azione reale che si mette in atto, soprattutto, nei momenti di crisi: dimostrando attenzione ed interesse verso i beni comuni (la salute), utilizzando una comunicazione corretta, avviando azioni concrete rivolte alle persone più deboli, valorizzando un sistema fatto da imprese, famiglie, organizzazioni ed enti che diventino protagonisti di una nuova e necessaria solidarietà.

Per le persone e imprese sane è, ora, il momento di mettere in atto generosità e creatività, di praticare buon senso e accortezza.

Nessuno si salva da solo.

Mai come ora sentiamo di essere parte di un sistema globalizzato. Se cade uno, cadiamo tutti.

Come altre emozioni la paura è contagiosa e può trasmettersi rapidamente, producendo la proliferazione di informazioni false.

Sono necessari relazioni di reciprocità, percorsi di mutuo sostegno, tra imprese del Nord e del Sud, nei territori e nelle città.

È questa la grande occasione per diventare “adulti”: meno ansiosi e scomposti e, forse, davvero finalmente civili.

Un’epidemia è un evento in divenire e c’è solo un modo per rialzarsi… non perdere la calma, e farlo insieme.

Roberta Cazzulo

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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