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Anti-politics is eating the West (The Economist)

Il The Economist con il suo saggio “Anti-politics”, pubblicato il 31 Ottobre scorso, cerca di indagare il mutamento che è avvenuto in questi ultimi 40 anni all’interno dell’elettorato attivo nei paesi democratici occidentali sulle scelte di voto. La ricerca è molto articolata incrocia cause di spessore socio-economiche evidenziandone distinte temporalità, il tutto assecondato da dati statistici. Però, nonostante la compiutezza, la narrazione non riesce del tutto a offrirci una sintesi risolutiva chiara e sufficientemente esplicativa. Considerato l’argomento, sorprende la sua afasia teorica, ma in particolare stupisce la mancata citazione del giurista tedesco Carl Schmitt, (foto), la cui arcinota teoria sull’essenza della politica, oltre a fondarsi sul conflitto originario, ne rivendica la sua vitalità affinché essa sia concettualizzata come tale.

Il The Economist apre la dissertazione con le parole dell’ex Presidente Barack Obama:

Niente è più palesemente partigiano di una convention politica americana. Quindi è stato ancora più sorprendente che, al raduno dei democratici a Chicago in agosto, Barack Obama abbia scelto di mettere da parte per un momento il partito e di rivolgersi all’intero paese:

La nostra politica è diventata così polarizzata in questi giorni’, ha detto l’ex presidente, “che tutti noi, in tutto lo spettro politico, sembriamo così svelti a supporre il peggio negli altri, a meno che non siano d’accordo con noi su ogni singola questione’.

Mentre i delegati sventolavano i loro striscioni, ha lanciato un appassionato appello agli americani di entrambe le parti per fermare la deriva.

‘La stragrande maggioranza di noi non vuole vivere in un paese che è amareggiato e diviso’, ha detto. ‘Vogliamo qualcosa di meglio. Vogliamo essere migliori’. “Partigianeria negativa” è il termine accademico arido per il fenomeno teso, emotivo e dannoso che Obama descrive come affliggente la politica americana.

È l’inclinazione delle persone a votare non per un partito in cui credono, ma contro un altro che temono o disprezzano.

Dalla fine della guerra fredda questo modo di interpretare la politica è cresciuto enormemente nelle democrazie di tutto il mondo, un aumento che si è accelerato notevolmente negli ultimi dieci anni. È una dato di fatto negativo. La politica dell’essere anti è una tattica. Non si concentra su una serie di questioni, né attinge a una filosofia politica.”

Non è proprio così. Anzi, ciò che il The Economist chiama erroneamente “Anti-politcs”, in ossequio al dettato liberale d’ispirazione Kelseniana, trova le sue radici in una vecchia tesi formulata nel corso del primo quarto del secolo scorso e che matura durante la crisi della Repubblica di Weimar. Il suo autore Carl Schmitt, conosciuto giurista e filosofo tedesco, la definisce una “Concezione panpolemica della politica”. Se in Kelsen – teorico liberal democratico – tutto è diritto, in Schmitt l’essenza della politica è costituita dalla “guerra”, che oggi tradurremmo come “estrema polarizzazione degli schieramenti”. Già Spinoza nel suo Trattato la descrive con il termine di “passioni” in polemica con il ferreo razionalismo cartesiano.

Secondo gli assunti del giurista renano, in politica tutto avviene sotto il segno del conflitto radicale. E’ la guerra che incarna la politica, ed essa inizia dove termina il diritto e le contraddizioni non sono più gestibili in base alle regole, per cui possono essere decise solo dai fatti (oggi Trump, ieri Lenin). L’essenza della politica non è costituita da un contratto, da un consenso, da un accordo, ma da una antitesi fondamentale tra “amico e nemico”. Ci troviamo in una situazione politica quando essa è sintetizzata dalle categorie “amicizia” e “ostilità”, ossia quando si tratta di definire chi sono gli amici e chi sono i nemici anche all’interno della stessa formazione partitica. Le faide che avvengono in seno ai partiti non rappresentano altro che gruppi di potere che si sfidano per raggiungere posizioni di comando spesso piegandosi alla mercé degli avversari pur di far soccombere la “banda” oppositrice interna.

Le ragioni di oggi che creano il conflitto schmittiano e quindi “politico” non “antipolitico” sono molteplici: individualismo egoistico, l’elogio alla libertà negativa, l’atomismo sociale, un ordine economico che tende a espellere dal consorzio sociale i più deboli (filosofia spenceriana), disuguaglianze, riduzione delle tutele nel mercato del lavoro, mercificazione sociale, ribellione, astensionismo, ecc. Quelle di ieri erano connesse all’aspro confronto ideologico (anticomunismo versus bolscevismo).

Ogni contrasto religioso, morale economico, tecnico e di altro tipo si trasforma in un contrasto politico se è abbastanza forte da raggruppare effettivamente gli uomini in amici e nemici.

Riprendendo il The Economist: “tale processo si attua tanto per la destra quanto per la sinistra: sebbene la destra possa esserne più suscettibile, può essere spesso utilizzata a vantaggio della sinistra. Gli elettori tradizionali provano più spesso ostilità verso l’estrema destra che verso l’estrema sinistra.

I responsabili delle campagne di ogni genere sono più che felici di fare uso dell’anti-politica quando pensano che darà loro un vantaggio. Se sei un repubblicano tiepido ma odi i democratici per la minaccia che rappresentano per la repubblica; se sei un Remainer ti senti così indignato dagli stupidi Brexiteer da non riuscire ad accettare la loro vittoria al referendum; o se disprezzi Donald Tusk per aver adulato la Germania invece di difendere la Polonia, è probabile che tu sia stato il destinatario di una campagna negativa di successo.

I benefici elettorali di incoraggiare gli “anti ” più dei “pro” sono evidenti. La rabbia agita le persone e le coinvolge. Spesso è più facile suscitare disprezzo che entusiasmo. Se questo irrita i sostenitori dell’altro partito, così sia. Motivare i propri elettori a presentarsi è più facile che convincere gli altri a cambiare schieramento. L’odio crea anche un utile margine di manovra per la politica.

Poiché fa sì che gli elettori si preoccupino più di ogni altra cosa dei risultati politici del proprio partito, a volte sono disposti a sostenere piani che vanno contro i loro interessi solo per la soddisfazione di vedere soffrire i loro nemici.

Ma una pozione magica per le elezioni può essere un veleno per la democrazia, e l’America è un buon esempio di un posto che sta subendo i suoi effetti negativi. Prima della campagna elettorale di quest’anno, il Pew Research Center, un ente di sondaggi, ha chiesto agli americani una parola che descrivesse la politica del loro paese; Il 79% di loro ha usato termini come “diviso” o “corrotto”. Solo il 2% aveva qualcosa di buono da dire. Circa il 90% di loro era esausto e arrabbiato; meno della metà era fiducioso.

Partendo dalla Teoria panpolemica della Politica (Politica uguale a conflitto; l’essenza della politica è la guerra, amico versus nemico), Carl Schmitt illustra il suo quadro sinottico che include la Teoria dello Stato: la teoria fattualistica sull’organizzazione dei poteri; Teoria della Sovranità: decisionistica; Teoria della Conoscenza: irrazionalistica, vitalistica e istituzionista.

Per Hans Kelsen è esattamente il contrario. Teoria della Politica (Concezione pangiuridica, politica e consenso, essenza della politica il diritto; Teoria dello Stato: teoria formalistica dell’ordinamento giuridico, centralità della norma, prima la norma poi il potere; Teoria della Sovranità: normativista, dove il fondamento della sovranità è la norma; Teoria della conoscenza: razionalista, nomotecnica.

L’Anti-politica!? Vecchia storia che anticipa da sempre un drammatico corso degli eventi futuri.

fg

https://www.economist.com/interactive/essay/2024/10/31/when-politics-is-about-hating-the-other-side-democracy-suffers

 

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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