Alcuni si chiedono stupefatti come sia possibile che una società civile, titolata di diritti politici, in un paese dove vige una democrazia compiuta a fronte di un sistema di malaffare, disvelato e condannato dalla magistratura, non abbia fatto in seno un serio esame di coscienza e, di conseguenza, non abbia proceduto a sanzionarlo politicamente? Il tema in questione si scompone a seconda di come intendiamo inquadrarlo: all’interno di una cornice teorica o diversamente come elemento dirimente della pratica politica.
Nel primo caso ritorna sempre il vecchio predicozzo che i moralisti, o supposti tali, rivolgono alla politica. Quali sono le fondamenta dell’etica e se quest’ultima debba essere sempre vincolata all’agire politico? Kant ne fu il primo ispiratore ribaltando, da pio credente, la secolare dottrina teologica cristiana del “dover essere” e quella del “non dover fare”, in cambio di premi o castighi, in un contesto secolare, laico e pretensiosamente universale, con il suo “imperativo categorico”. Schopenhauer la demolì, asserendo che l’individuo di per sé è egoista e che per morale s’intende solo quando un’azione umana è compiuta in modo disinteressato, precisando che raramente ciò accade. Hume, figlio del pragmatismo illuminista anglo-scozzese, affermò che l’etica può riconoscersi adducendo un solo fine: il vantaggio sociale. E con ciò mise in dubbio l’universalità di un unico costume. Marx ne inventò una rivoluzionaria, frantumando il borghesismo kantiano.
E’ invalsa nella sinistra post-marxiana l’abitudine di cimentarsi in politica con parole altisonanti, dalla “sonorità” kantiana per distinguersi dalla presunta impurità altrui, come se la politica debba forzatamente utilizzare mezzi catalogati come “eticamente” irreprensibili per raggiungere fini propri. Purtroppo, nella storia umana, non si contano esempi di tale relazione. Poi, è vero che ci sono anche i “ladri di polli”, ma per tale delitto ci sono gli organi inquirenti e giudicanti. Il così celebrato Churchill ebbe sulla coscienza i 230.000 tra morti e feriti, soldati dell’Impero (non nati sul suolo britannico) e francesi, per tentare di conquistare un fazzoletto di terra nei Dardanelli a Gallipoli nel 915. Fu “eticamente” inappuntabile?
Il prisma del rapporto etica/politica sul piano del “reale” è più complesso, poiché nel caso specifico riguarda uomini e donne in carne e ossa. Sarò un po’ prolisso, ma cercherò entro i miei modesti limiti di conoscenza, sebbene obbligato da una forzata sintesi, di esplicare il mio punto di vista, non dissimile dalla teorica empirista anglosassone. Nel rispondere alla domanda precedentemente formulata si potrebbe argomentare che non si è mai sicuri che da una data causa si generi automaticamente un effetto scontato. Ma al di là del sofisma, lo scetticismo è il filo rosso che si dovrebbe seguire per capire il dedalo di contraddizioni e di totale indifferenza ai dettami morali che pregna un gran parte dell’elettorato attivo.
Alla società civile italiana a partire dai primi anni ’90 è stato tolto quasi tutto. La corresponsabilità di questo esproprio è da attribuire principalmente alla rinnovata forza del capitale nord-atlantico alla quale ha fatto da specchio a casa nostra una sinistra spaesata, della cui mollezza si è fatta vanto celebrando il totem del privato e della svendita incontrollata di una fetta cospicua di patrimonio pubblico. Si comprenderà che una gran parte di coloro cui vivono in una condizione di sofferenza (una quota assai rilevante), che sono ancora in vita e i nuovi arrivati, pagandone ora le conseguenze in termini di riduzione di reddito, manifestino una posizione scettica sulla validità dell’offerta politica attualmente proposta dalla post moderna socialdemocrazia, a tal punto che in modo conclamato disertano le urne.
Se poi a costoro si dice esplicitamente che devono anche essere solidali nei confronti della povertà “internazionale”, mentre solo a margine si discute della loro; della transizione ecologica e della salvezza del pianeta, ma si fa ben poco per incentivare investimenti pubblici e privati che siano il volano per generare un circuito virtuoso per salari e occupazione; del fatto che lo Stato non riesce a più garantire un minimo di sicurezza personale; per non parlare di quella concernente le reti d’assistenza e di welfare; per conto vociando eccessivamente sulle più disparate e fantasiose tematiche in materia di diritti; è assai probabile che essi, non solo non partecipino più al rito del voto, ma che addirittura per disperazione e per ribellione si uniscano alla “minoranza” di centro destra.
Al cospetto di questo scenario c’è ancora qualche persona ragionevole il cui pensiero dubiti che l’impulso morale non consegua una posizione di riguardo rispetto a tutto il resto? Si, certo, gli idealisti, i quali si ostinano a credere che “l’ante” sopravviene sempre al “post”. Chiediamoci, invece, quali sono coloro nel nostro campo, nella veste di decision makers che negli ultimi trent’anni debbano fare un esame riflesso delle proprie azioni e omissioni e quindi riconoscere le loro eventuali colpe?
fg