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Quando si parla di immigrazione spesso ci si limita a pensare agli sbarchi raccontati dai telegiornali, ma ciò che accade dopo, lontano dai riflettori, è un percorso complesso fatto di sfide e speranze. Dopo essere sbarcati sulle coste, spesso in condizioni di grande precarietà e vulnerabilità, i migranti vengono brevemente accolti negli hotspot, strutture pensate per le operazioni di identificazione e prima assistenza. Tuttavia, è poi nei CAS, i Centri di Accoglienza Straordinaria, che essi trovano il primo luogo fisso in cui vivere, dove possono iniziare il lungo e complesso percorso per formalizzare la richiesta di protezione internazionale allo Stato Italiano.

I Centri di Accoglienza Straordinaria, come dice il nome stesso, avrebbero dovuto essere una soluzione temporanea nata in risposta ad un’esigenza emergenziale. Tuttavia con il passare degli anni, la situazione migratoria verso l’Italia, e l’Europa più in generale, è cambiata profondamente, trasformando quella che inizialmente sembrava un’emergenza in una condizione stabile e continuativa. Per via di questa “normalizzazione” è stato necessario ripensare il ruolo dei CAS, in quanto, da luoghi di prima accoglienza straordinaria, sono ora strutture che operano in modo sistematico nella gestione ordinaria dei migranti.

Per molti migranti giungere in Italia significa confrontarsi con un mondo completamente diverso rispetto a quello che hanno lasciato; abitudini e usanze che fanno parte del loro vissuto si scontrano spesso con una realtà, che nella maggior parte dei casi, appare molto distante dalla loro. La gestione delle diversità, a partire dai piccoli gesti quotidiani fino alle tradizioni più radicate, rappresenta una sfida costante che richiede pazienza, comprensione e flessibilità, caratteristiche fondamentali che devono possedere le diverse figure professionali coinvolte nella gestione dei centri: assistenti sociali, educatori, mediatori culturali, ecc.

Per me, che lavoro in un CAS con il ruolo di educatore, uno degli aspetti più interessanti risiede nel vedere come, giorno dopo giorno, quelle che inizialmente sembrano essere differenze insormontabili si trasformano in opportunità di dialogo e crescita che portano gli ospiti del centro a conoscere la cultura del paese che li accoglie, e allo stesso tempo, di offrire un interessante spaccato delle loro terre d’origine, arricchendo così anche noi operatori con la conoscenza di paesi lontani.

I CAS offrono quindi non solo una sistemazione temporanea, ma rappresentano il primo vero spazio in cui i migranti possono riorganizzare la propria vita dopo l’esperienza del viaggio, spesso traumatico, verso l’Europa.

Nel CAS dove lavoro ogni percorso di integrazione comincia con l’iscrizione ai CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti), dove i migranti possono seguire corsi di lingua italiana, uno strumento essenziale per affrontare la vita quotidiana e ampliare le opportunità lavorative.

Una volta superata la prima fase di apprendimento linguistico, vengono offerti ai ragazzi dei corsi di formazione professionalizzante, specificamente pensati per avvicinarli al mondo del lavoro. Le opportunità variano a seconda delle inclinazioni personali e delle richieste del mercato del lavoro locale.

Questi percorsi non sono mai standardizzati, ma studiati su misura per ogni migrante, cercando di rispettare le loro aspirazioni e i progetti futuri. Per alcuni è preferibile imparare un mestiere nuovo che gli garantisca maggiori possibilità di trovare lavoro; per altri la priorità è costruire una nuova vita partendo dalle proprie competenze pregresse, cercando di sfruttare le capacità acquisite nel paese d’origine.

Parallelamente ai percorsi di formazione e lavoro, è essenziale l’assistenza sanitaria e legale. Infatti l’equipe del CAS offre un supporto costante ai migranti per orientarli nella complessa burocrazia italiana, aiutandoli a ottenere i documenti necessari per l’accesso al sistema sanitario nazionale e a gestire le pratiche legali inerenti la richiesta di asilo. Questa assistenza è fondamentale, perché permette ai migranti di muoversi in un sistema burocratico che spesso appare loro incomprensibile.

Uno degli ostacoli più grandi all’integrazione dei migranti è la presenza di stereotipi e pregiudizi che, ancora oggi, permeano la società. Spesso, i pochi casi di migranti che, purtroppo, prendono una “cattiva strada” vengono amplificati, distorcendo la percezione collettiva e oscurando la realtà di migliaia di persone che, invece, si impegnano con serietà per rispettare le leggi del paese che li ha accolti.

Abbattere gli stereotipi e contrastare la ghettizzazione non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche una strategia concreta per favorire la sicurezza e la coesione all’interno delle nostre città.

Integrare significa dare a migranti e cittadini locali la possibilità di vivere insieme in una società più aperta, più giusta e, soprattutto, più unita.

Il lavoro svolto nei Centri di Accoglienza Straordinaria non è quindi solo un servizio reso a chi arriva in cerca di speranza, ma è anche un atto di costruzione di un futuro collettivo più equo.

Ogni giorno, attraverso l’impegno delle équipe multidisciplinari, il dialogo tra culture e i percorsi di integrazione personalizzati, si gettano le basi per una società che non si limita ad accogliere, ma che sceglie di includere e valorizzare le differenze trasformandole in risorse.

A cura di Marco Agnisetta, laureato in Scienze pedagogiche e Scienze dell’educazione, educatore e referente sanitario presso il CAS di Spinetta Marengo gestito dalla cooperativa Oltremare.

 

Foto a cura di Daria Piccotti di https://narravolando.com

 

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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