Intervista al candidato per il consiglio regionale Domenico Ravetti
Ciao Domenico e benvenuto su “il Ponte Blog”! Innanzitutto, sei uno dei quattro candidati designati dal Partito Democratico provinciale per le elezioni regionali che si terranno l’8 e il 9 giugno. Come sta andando la campagna elettorale?
Sta andando bene, nel senso che incontro tante persone, cerco di entrare nel merito dei problemi e provo a condividere soluzioni e prospettive. Non conduco certamente una campagna elettorale esclusivamente sul piano della propaganda politica offrendo una critica nei confronti di chi ha governato in questi ultimi cinque anni. Sarebbe più semplice ma, sono convinto che non interesserebbe le cittadine e i cittadini.
Quello che manca è il confronto con gli altri candidati al consiglio regionale che sostengono altri candidati alla presidenza. Io non ho capito cosa pensano, conosco solo i loro manifesti.
Lo slogan della tua campagna che stai portando in tutto il territorio provinciale è “Portiamola a casa”. Eppure, i sondaggi ad oggi fotografano una situazione che vede il Presidente uscente come favorito per la rielezione. C’è ancora tempo per ribaltare il pronostico?
Se aumenta il dato della partecipazione il risultato finale non è scontato. Se si esce dalla degenerazione pubblicitaria in cui siamo entrati e si prova a parlare della vita delle persone, allora tutto è possibile. Non è semplice, lo capisco, soprattutto per chi si sente in vantaggio o per chi non ha idee.
Vieni da due mandati come Consigliere Regionale, sia di minoranza che di maggioranza. Quale è il momento che, secondo te, è stato più rappresentativo di ciascuna consigliatura?
Nella prima legislatura, quella in maggioranza, il momento collettivo più rappresentativo è stato paradossalmente quello meno considerato dagli elettori, ovvero l’uscita dal “piano di rientro” del comparto sanitario pubblico. Cioè, il salvataggio della sanità. Il momento personale, invece, di cui ho un ricordo più bello, denso di emozioni, è stato il giorno del primo consiglio regionale.
Nella seconda legislatura, quella in corso dove abbiamo fatto opposizione, il momento collettivo più rappresentativo è rappresentato dalle sedute notturne dove abbiamo applicato tutte le possibilità regolamentati per fare ostruzionismo contro la modifica della legge sul Gioco d’azzardo patologico. In quelle notti si è evidenziato il solco che divide il pensiero politico della destra piemontese dal nostro. Il momento personale più rappresentativo è stato certamente quello in cui sono stato scelto a rappresentare il Consiglio regionale per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Dopo quasi dieci anni tra i banchi di Palazzo Lascaris è tempo di bilanci. Quali sono stati gli ambiti in cui Il PD è stato più incisivo? Dove invece c’è ancora spazio di miglioramento?
Abbiamo fatto buone cose pur con tutti i nostri limiti e con i limiti delle Istituzioni pubbliche. Non ho un elenco o una classifica da scrivere ma un tema che non porta voti, quello della tenuta dei conti della Regione. Le nostre scelte hanno sanato il bilancio dell’Ente e lo hanno rimesso sui binari giusti.
Certamente avremmo potuto fare di più e meglio in tanti settori, forse ci è mancata la forza popolare per incidere sul necessario cambiamento. Forse abbiamo subito alcune transizioni e non le abbiamo guidate. Penso a quelle digitali, ecologiche, più in generale a quelle socio economiche. Ma è un problema della politica internazionale, non solo di quella piemontese.
Parliamo di Cirio, il Governatore uscente. Sui mezzi di informazione è sempre più descritto come un candidato imbattibile e sembra apprezzato dai cittadini piemontesi. Quale è, secondo te, il suo tallone di Achille? Dove è possibile riuscire a far emergere le sue debolezze e le sue contraddizioni?
Cirio non è imbattibile. Nessuno lo è, tantomeno lui. È un uomo politicamente del passato. Ha fatto parte, non con ruoli da comprimario, della Giunta regionale di Cota, quella che ha governato il Piemonte dal 2010 al 2014. E su quella Giunta gli elettori si sono espressi. È il presidente del Piemonte che in questi cinque anni ha più perso che guadagnato, basti leggere le analisi su parti significative dell’economia o i report sulle fragilità sociali.
Ripeto, se lo sfidiamo con i manifesti, vince lui. Se lo sfidiamo sulla vita reale, la partita si riapre.
Si parla sempre più spesso di una sanità pubblica completamente abbandonata a sé stessa. È notizia recente che in alcune ASL piemontesi sono dovuti intervenire dei medici di supporto poiché non era possibile effettuare colonscopie previste dai piani di prevenzione regionali. Nello stesso momento i comparti di urgenza sono allo stremo e si ricorre sempre più spesso ai costosissimi “gettonisti” per coprire i buchi di organico. Quali sono le strategie che il PD ha in mente di implementare in ambito sanitario?
Ripartire dalla programmazione, che per le Regioni è una competenza costituzionale. Dobbiamo rileggere i bisogni di salute e ricostruire il sistema delle risposte. Non basta una sola scelta e nemmeno un solo approccio vagamente riformista. Qui bisogna essere radicalmente innovatori. Con la pazienza di chi è consapevole che il cammino è difficile ma con la determinazione di chi sa che è arrivato il tempo di difendere il diritto alla salute fortemente compromesso da logiche di mercato.
Era il 2006 quando Walter Veltroni coniò l’acronimo ALI- Ambiente, Lavoro e Istruzione per identificare i punti su cui il nuovo partito intendeva puntare. Quale sarebbe invece il tuo acronimo personale da portare sui banchi del Consiglio Regionale per la prossima legislatura?
Non sono bravo con la costruzione degli acronimi, sarà per questo che non sarò mai un segretario nazionale di un partito.
A parte gli scherzi, (comunque non ho ambizioni del genere) ambiente, lavoro e istruzione restano le questioni fondamentali. Aggiungerei il diritto all’abitazione nella sua complessità. Oggi mantenere una casa, ristrutturare, pagare le utenze, il mutuo, l’affitto è diventato insostenibile. Per me le politiche abitative devono essere rimesse al centro.