Nel lontano 2005 un piccolo gruppo di eccentrici broker di Wall Street prese una decisione che agli occhi dei grandi player finanziari appariva folle: scommettere contro il “solidissimo” settore immobiliare americano, comprare Credit Default Swap a protezione dei CDO sui titoli garantiti da ipoteca e aspettare il collasso del sistema finanziario statunitense. Fecero quella che venne successivamente ribattezzata “la Grande Scommessa” e la vinsero contro tutte le aspettative.
Quei mercati oggi appaiono ancora una volta confusi, senza una meta precisa e incapaci di vedere oltre un orizzonte temporale a breve termine. O meglio, si guardano bene dal farlo. A Wall Street non è più tempo di “Grandi Scommesse” ma solo di vigile attesa.
Arrivano i primi segnali di un indebolimento cinese trascinato dalla crisi del debito sul settore immobiliare con il colosso Evergrande in passivo di oltre 300 miliardi di dollari e che di recente ha mancato il pagamento di capitali ed interessi su un bond da 4 miliardi di yuan. Ma anche il gruppo Country Garden, sempre impegnato nel settore delle costruzioni, appare in difficoltà segnando una perdita record di oltre 6 miliardi. Si propaga così una crescente apprensione per il futuro del mattone cinese che contribuisce ad oltre un quarto dell’economia di Pechino. Come riflesso, le esportazioni cinesi hanno subito una battuta di arresto addirittura superiori alle attese stimate dagli analisti di settore. In questa complicata situazione si inserisce il Piano attuativo presentato dalla Commissione nazionale per lo Sviluppo e la Riforma che mira a rispolverare dogmi di riecheggio keynesiano per trovare una via di uscita. Una rivalutazione interna con un accrescimento della domanda domestica per riaccendere i consumi in una popolazione con l’enorme potenziale di oltre un miliardo di potenziali consumatori.
La strettissima dipendenza tra l’export orientale e le economie occidentali preoccupa anche le nostre economie. La prima a farne le spese è la Germania, tradizionalmente esposta fortemente sul lato delle esportazioni. La vecchia locomotiva d’Europa si prepara a leggere il dato di un calo di 0,6% sul PIL, quasi il doppio rispetto alle aspettative primaverili. La recessione è prospettata sulla base della debolezza dell’industria e i consumi privati affossati dalle politiche restrittive della BCE. I Bund decennali registrano per tali ragioni i rendimenti più alti dalla crisi degli Spread del 2011 ad oggi.
Con l’invasione russa dell’Ucraina nel Febbraio 2021, il combinato disposto tra le politiche monetarie della Fed e lo scacco matto all’Europa sugli approvvigionamenti di gas sembrava orientare le aspettative dei mercati verso il ritorno del temibile mostro degli anni ‘70: la stagflazione. A quel punto i board delle banche centrali si trovarono a dover prendere una decisione: “Potevano scegliere fra la stagflazione e la recessione. Scelsero la seconda ma potrebbero non riuscire ad evitare la prima”, avrebbe affermato lo statista anglosassone tra un sigaro e l’altro.
A pesare sulla complessa situazione giocano un ruolo anche i recentissimi mutamenti sul piano geopolitico con l’allargamento dei BRICS, l’entrata di Arabia Saudita e Iran nell’accordo e il ruolo preminente che la prima riveste in seno all’OPEC.
Il petrolio punta diritto a scambiare sui 100 dollari al barile e i recentissimi dati sulle riserve americane spaventano i mercati. Il rialzo, non da tutti preventivato, è causato dal taglio della produzione voluto dall’OPEC in risposta ai bassi profitti e dalla domanda globale del bene che rimane elevata. Superata la soglia psicologica delle tripla cifra, si naviga a vista verso il massimo del 140 dollari al barile. Si inverte dunque la rotta dell’oro nero che con il price cap viaggiava alla metà del prezzo attuale per unità.
Si complica in questo quadro il raggiungimento degli obiettivi della transizione ecologica che rischia di trascinarsi più a lungo e a prezzo più elevato di quanto preventivato. Occorre che i big player di questa partita (il Governo USA e la Commissione Europea, spalleggiati dalle rispettive banche centrali) mostrino l’interesse politico a premere sull’acceleratore e a indicare la direzione ai mercati. Mettendo anche in gioco misure straordinarie sul modello di quanto fatto durante le primissime fasi post-pandemiche e avvicinarsi sempre più nel caso europeo all’emissione di debito comune. A quel punto la palla passerebbe nell’altro campo e toccherebbe agli investitori decidere se giocare nella stessa squadra o dover trovarsi contro avversari di enorme potere.
In questo quadro la principale preoccupazione dei mercati risiede nelle aspettative riguardanti l’impatto che il prezzo del petrolio avrà sull’inflazione. Se così fosse, le banche centrali rinnoveranno la politica monetaria restrittiva o guarderanno altrove?
Bisognerà attendere almeno la fine dell’ anno per avere un quadro chiaro circa la direzione che verrà intrapresa dalle banche centrali. Le previsioni stimano un rientro dell’ inflazione nel target per il 2025 ma è possibile che le aspettative cinesi e il quadro geopolitico facciano propendere per un mantenimento strutturale del tasso d’inflazione più a lungo.
Il sentimento predominante che aleggia sui mercati finanziari globali è l’incertezza. Si attendono dati, si guarda con diffidenza ogni numero, si attende.
Qualcuno dovrà fare il primo, più difficile passo e piazzare la prossima “Grande Scommessa”.
O forse tale passo è già stato fatto.
Gaia Brambilla