
Un ordine politico deve avere la capacità di plasmare l’idea centrale della vita politica. Deve essere in grado di farlo non solo per coloro che sono i più ardenti sostenitori di un partito politico, ma per tutte le persone che si trovano nello spettro politico. Il New Deal Order negli anni 30 e la Socialdemocrazia Europea nel dopoguerra ha convinto la grande maggioranza degli occidentali sulla proposta che un forte stato centrale potesse gestire un’economia capitalista dinamica ma pericolosa nell’interesse pubblico.
L’ordine neoliberista dalla fine degli anni 70’ nella sfera Nord Atlantica ha persuaso una grande maggioranza delle generazioni del tempo che il libero mercato avrebbe affrancato il capitalismo da controlli statali non necessari e avrebbe diffuso prosperità e libertà personale per ogni singolo individuo americano o europeo che fosse, e così per tutto il mondo. Nessuna di queste proposte oggi ha il sostegno o l’autorità che possedeva una volta. Il disordine politico e la disfunzione incalzano. Nuove potenze nel frattempo sono emerse in grado di competere economicamente e sfidare le architravi giuridico-politiche occidentali. Quello che verrà dopo si pone al cospetto di una domanda impotente, la cui soluzione appare ancora incerta dal punto di vista dell’ordine economico e tendenzialmente conflittuale sul piano geo-strategico. Gli Stati Uniti, l’Occidente nella sua totalità, la devono ora affrontare con accortezza e senza eccessiva animosità.
Per la Socialdemocrazia europea in generale, e per quella italiana nello specifico, il problema è molto più complesso, poiché per entrambe implica una revisione totale in merito a ciò che per quattro decenni è stata l’accettazione supina di alcuni principi del liberalismo classico economico ortodosso mettendo ai margini al proprio interno ogni dibattito critico. Ciò ha prodotto fenomeni di pura competizione narcisistica fratricida in funzione elettoralistica. Si è volutamente soffocato il principio della “comunità” che è sempre stato il collante solidaristico e politico, in base al quale i rispettivi ceti di riferimento si ritrovavano e ne capivano il fondamento.
Quindi, come si ampiamente desume dal corrente dibattito politico, molte delle questioni in palio e il modo con cui esse vennero poste dalle varie socialdemocrazie nazionali (privatizzazioni, austerity, riduzione del welfare, incuranza sul valore reale dei salari, disuguaglianza) hanno deluso la gran parte di quel blocco sociale che per anni ne costituirono l’ossatura. Oggi, in esso prevale una sorta di anarco-etnocentrismo. La sconfitta alle politiche in quasi tutta Europa e la perdita di trazione nelle municipali italiane sono solo il sintomo di un male che è assai radicato nel corpus di quei partiti che si richiamano ai principi socialdemocratici.
Ciò che viene mancare è una classe dirigente autorevole, soprattutto nei territori, in grado di produrre valore e contemporaneamente spiegare i meccanismi dell’attuale sfruttamento nel mondo del lavoro di cui, per le ragioni precedentemente addotte, alle generazioni cresciute nel novero degli anni 80’/90′ appaiono del tutto “normali”, ovvero quello di accettare in modo passivo i tre pilastri fondamentali dell’accumulazione capitalistica post-moderna: il primato della proprietà privata, la finanziarizzazione dell’economia e le umilianti relazioni salariali. Riuscire a far capovolgere l’assunto che la teoria economica vigente considera “apolitica”, per giunta guidata da leggi “oggettive”, è un compito che gran parte della sinistra italiana non è minimamente in grado d’affrontare e, a volte, fa persino fatica a discuterne.
Questi ambiti d’elaborazione teorica richiedono, oltre a sollecitare studio, dialogo, sacrificio e applicazione collettiva, oltre a esigere, in particolare, che ci siano partiti strutturati, una riduzione dei conflitti personali, un’accettazione di leadership forti e la capacità di elaborare una identità politico-programmatica che conquisti i cuori degli “inconsapevoli” e che li renda partecipi nella lotta per incrementare una maggior distribuzione di valore in termine di reddito personale (salari) anziché coccolare – come spesso accadde – se non addirittura il vantarsi d’accrescere la rendita finanziaria del capitale.
Molto più facile sostenere i diritti delle minoranze, anche quelle “estreme”, secondo cui il principio della cosiddetta libertà negativa (assenza d’ostacoli), quanto mai discutibile, ne sussume le ragioni. Oppure, concedersi a un cosmopolitismo elitario che in verità, anche all’interno delle proprie aree di riferimento politico, ben pochi capiscono. Scivolare prevalentemente su concezioni morali astratte e autogiustificanti, assai opinabili, senza aver prodotto o messo in discussione la “questione sociale” in modo prioritario, comporta una reazione, o peggio un’assenza d’interesse da parte di una “cittadinanza” che lentamente si sta trasformando in “folla”, la quale, per la sua natura ferigna, semplifica e punisce, poiché essa è attanagliata dalle grandi paure che stanno avanzando.
Non prendetevela con Elly Schlein si sta ancora agilmente muovendo tra cumuli di macerie.
fg