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Prima del 24 febbraio quello che leggete sarebbe stato un articolo molto polemico o poco altro. Nella percezione dei più, prima del 24 febbraio la guerra era un fatto lontano, sebbene ugualmente lacerante. Ma in realtà siamo circondati dai conflitti armati, e lo eravamo anche prima di questa fatidica data per il destino comune europeo.

Quei conflitti non fanno altro che creare danno alla vita quotidiana dei civili, costretti ad abbandonare le proprie case e città, esattamente come stiamo vedendo a tutte le ore, in tv, per l’Ucraina. È successo così dal 2011, quando la guerra in Siria ha costretto alla migrazione migliaia di persone, donne e bambini in particolare. È così dallo scoppio della guerra in Afghanistan, o dall’inizio del conflitto in Libia. Il ricco mondo occidentale non è riuscito a riservare alle persone migranti altro che del filo spinato, militari in divisa, il freddo scuro balcanico, e soprattutto la morte per annegamento nel Mar Mediterraneo.

Prima del 24 febbraio non vi erano migranti buoni o cattivi. La parola migrante, di per sé, significava (e significa ancora, per il nostro ordinamento) un reato, il reato di immigrazione clandestina, introdotto nel nostro ordinamento nel 2009 e ancor oggi (vergognoso) caposaldo della legislazione in materia. Prima del 24 febbraio non facevamo alcun distinguo, ora sì, e se volete la vergogna si centuplica. Perché, a detta dell’ex ministro dell’Interno, il distruttore del sistema di accoglienza, «porte, case e cuori degli italiani sono aperti per famiglie con bimbi in fuga dalla guerra, ma nessuna tolleranza per chi sfrutta finti profughi per arricchirsi». Questa becera distinzione rende l’idea del cerchiobottismo a cui ormai si è giunti, tanto da evocare la solidarietà dei cittadini da parte del principale responsabile della capitolazione della solidarietà pubblica.

Dopo la devastazione operata con i decreti Sicurezza di Salvini, il sistema di accoglienza deve ritornare alla dimensione umana, in tutte le sue sfaccettature. La guerra in Ucraina e la previsione dell’arrivo di migliaia di migranti è solo un evento scatenante. Vi sono altri fattori che causano migrazioni, e il più importante (e sotterraneo) è certamente la crisi climatica. Le stime parlano di milioni di persone che nei prossimi trent’anni saranno costrette a scappare, ad abbandonare case e villaggi distrutti da eventi climatici estremi o resi invivibili dalla siccità. Queste persone saranno spinte al di fuori dei confini nazionali, quei confini che la geografia non conosce ma che l’uomo continua a tracciare a forza di cannoni e sangue. Queste sono ragioni sufficienti affinché sin da ora si cominci a investire denari in un sistema di accoglienza serio, sufficiente a sostenere l’impatto di tali eventi, in grado di gestire l’emergenza ma anche di programmare l’inserimento delle persone nella nuova società in cui sono accolte.

Per tale ragione è necessario che la città di Alessandria aderisca subito alla Rete SAI, il nuovo modello di accoglienza ex SPRAR ed ex SIPROIMI. Sebbene il sistema creato con il Decreto Legge n. 130/2020 non sia immune da difetti – poiché, ancora una volta, i percorsi di integrazione vengono ancorati alla condizione giuridica dei titolari e ciò rende difficile (e fondamentalmente ingiusta) l’organizzazione dei servizi di accoglienza – è certamente migliorativo rispetto alla mera gestione emergenziale. SAI, servizio di accoglienza e integrazione, prevede infatti:

  • un primo livello, destinato ai richiedenti asilo che consta di “prestazioni di accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio”;
  • un secondo livello, destinato ai titolari di protezione internazionale, “finalizzato all’integrazione, tra cui si comprendono, oltre quelli previsti al primo livello, l’orientamento al lavoro e la formazione professionale”.

L’adesione al nuovo sistema da parte degli enti locali è volontaria.

Il Comune di Alessandria potrebbe essere capogruppo di una rete di comuni limitrofi al fine di riorganizzare, secondo i principi dell’accoglienza diffusa, il modello della gestione dei flussi migratori a livello sub-provinciale. Serve un atto fondativo per riorganizzare il settore. E un atto di coraggio per immaginare un mondo che smette di vivere nei conflitti, armati e non.

Davide Serafin (1976). Scrittore e saggista, è autore di Senza più valore – Indagine sui salari e le retribuzioni in Italia, La retromarcia dei Gilet Gialli, Schiavi Elettrici e Tax the Rich (People peoplepub.it). Si occupa delle materie economiche e del lavoro nell’ambito del suo impegno come attivista politico.

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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