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La preoccupante astensione dalle urne, lo sfibrato rapporto fiduciario tra Stato e società civile, la recente drammatica pandemia, nonché la possibile ipotesi stag-flazionaria (stagnazione con inflazione) che taluni preannunciano, complessivamente ci inducono a pensare che nel prossimo futuro il “vascello” della democrazia rappresentativa navigherà in acque molto increspate.

Il nostro allarmismo non è fuori luogo, anche se venti di bonaccia come il PNRR potranno stabilizzarne la rotta. Tuttavia, queste risorse, seppur importanti, potranno essere utilizzate con piena efficienza a condizione che il potenziale sviluppo delle realtà locali spiegasse le proprie vele al vento.

Il problema che ci assilla è come farlo, quali soluzioni teoriche ideare e quali principi procedurali applicare in vista dei prossimi appuntamenti elettorali amministrativi. Con ciò non vogliamo disconoscere il valore della democrazia rappresentativa ma nel contempo nemmeno ometterne i suoi limiti. Il cittadino, nel caso specifico, viene chiamato a esprimere tramite il voto solo a scadenze fisse e distanziate, delega politici di professione a occuparsi del bene pubblico e non ha la possibilità di formare le proprie preferenze attraverso una valutazione approfondita nel confronto con altri cittadini.

Pur rimanendo dell’avviso che una perfetta interconnessione tra centro e periferia sia il motore perfetto per la crescita complessiva nazionale non ci affascinano particolarmente le sventagliate cifre “nominali”, bensì quanto queste possano essere trasferite e messe a frutto in sede di sviluppo locale.

Sarebbe interessante assecondare alla rappresentanza procedure decisionali ispirate a principi di democrazia deliberativa, secondo cui soggetti liberi ed eguali partecipano – in base a modalità predefinite – all’interno di una arena pubblica all’esame di un problema attraverso il dialogo e il confronto e sostengano le proprie tesi mediante argomentazioni per assumere scelte che attengano al bene collettivo, sempre che tale processo deliberativo assicuri condizioni di piena uguaglianza e libertà tra i partecipanti.

Storicamente i poteri di spesa centrali e regionali non vedono di buon occhio l’emergenza dal “basso”. Essi sono più inclini a esercitare, se non del tutto in modo ortodosso, un modello “top-down”, gerarchicamente ordinato. La ricerca di un equilibrio tra omogeneità amministrativa, normativa, oggettività razionale e adeguamento alle particolarità localiste non è sempre facile. Sennonché, l’evidente citata rarefazione elettorale, attualmente visibile in molti comuni periferici un po’ discosti dal “sistema mondo”, dovrebbe far pensare che il distacco e il disincanto si recuperano solo attraverso la spinta a una maggiore partecipazione di quelle cittadinanze alle strategie di sviluppo.

Quali vantaggi introdurrebbe l’adozione di alcuni principi di democrazia deliberativa?

Il primo beneficio è la partecipazione. Nel prefiggersi il compito di creare opportunità nuove di sviluppo e di crescita la formazione di partenariati istituzionali e sociali è d’obbligo (patti d’area o similari). In conformità all’ipotesi progettuale s’incentivano a partecipare nella programmazione degli interventi altre istituzioni intermedie, le imprese private con le rispettive rappresentanze di categoria, i singoli professionisti ed esperti. Il disegno metodologico sta nell’incoraggiare i portatori d’interesse locali affinché si sentano mobilitati e motivati a prendere parte nel confezionare una politica economica territoriale, la quale sarà appannaggio di soggetti numerosi e diversi per tipologia, evitando che questa cessi di essere monopolio di pochi attori. Così facendo, le imprese private contribuiscono all’elaborazione di politiche pubbliche ed effettuano le proprie scelte d’investimento con maggiore consapevolezza del contesto economico locale, delle priorità strategiche e delle policies, sfruttandone appieno le opportunità.

Il secondo beneficio è in termini di propensione alla cooperazione. Le parti sociali sentendosi parte attiva all’interno di un disegno programmatico, che prevede un loro impegno cosciente e ragionato assunto a fronte di una scelta, coglieranno l’occasione di dialogare e di confrontarsi su una comune ricerca delle soluzioni migliori elevando in questo modo il tasso di coesione territoriale. Ciò consolida, non solo l’avere più fiducia nei confronti del prossimo, bensì anche la riduzione di comportamenti opportunistici.

Il terzo beneficio, a complemento dei precedenti, riguarda i risvolti economici. Ci si aspettano due risultati importanti quando si adottano processi deliberativi nel campo dello sviluppo locale. Senza dubbio il confronto serrato tra i vari attori attiva un positivo interscambio di conoscenze, mai precedentemente esplicitate per mancanza di opportunità dialogiche. Acquisizione di notizie, informazioni che si accumulano progressivamente nel corso del dibattito creano quel fenomeno di apprendimento che i sociologi chiamano “learning by doing”. Nel contempo, accresce il forgiarsi di competenze – spesse volte inattese – la messa a fuoco di diversi punti di vista, una serie d’elementi che complessivamente rappresentano un arricchimento cognitivo e una migliore base per assumere scelte concepite e realizzate mediante azioni collettive finalizzate alla produzione di beni pubblici locali strategici con lo scopo di generare sviluppo economico.

Poche parole per aprire una finestra su di un mondo la cui letteratura nazionale e internazionale è assai copiosa. Il dibattito sulla democrazia deliberativa non si pone lo scopo di sostituirsi alla rappresentanza, l’asseconda e le “inietta” dosi di partecipazione allargata. La tavola rotonda sulla presunta crisi della democrazia rappresentativa – il modello liberal democratico per intenderci – è diventata un argomento di ampio e vivace confronto nelle scienze sociali ma è anche occasione di scelte politiche contrapposte.

Ebbene, noi pensiamo che sia meglio “socializzare” che “esternalizzare”. Riteniamo che sia più proficuo far dialogare una comunità piuttosto che negarle il compito di compiere le sue scelte così come avviene con strumenti vincolanti (project financing) che delegano arbitrariamente a una platea di sconosciuti investitori d’oltre oceano un presunto miglioramento, privandola della capacità di valorizzare il proprio territorio.

Il Ponte  

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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