
Vita, morte e opere di padre Camilo Torres Restrepo, sacerdote guerrillero
Il 2020 è stato un anno complicato. La diffusione della pandemia ha messo in evidenza i limiti strutturali e le fragilità delle nostre società, tutte sia quelle più avanzate sia quelle più povere. Il contagio e la diffusione del virus hanno esplicitato chiaramente come il modello di sviluppo dominante, sociale economico e ambientale manifestasse chiari limiti e la propria insostenibilità, confermando le gravi disparità e diseguaglianze intercorrenti tra stati, popoli e individui. L’iconica immagine di papa Francesco, solo e sotto una pioggia battente in piazza S. Pietro a celebrare i riti liturgici per la Pasqua ricordandoci che “nessuno si salva da solo” sono stati il simbolo di quella stagione che ancora stiamo vivendo con drammaticità.
Proprio nel dicembre 2020 è stata pubblicata una ristampa di un piccolo grande libro che, nel corso degli anni sessanta del ‘900, è stato uno di quei volumi che hanno saputo raccontare le vicende, il clima, i sentimenti di una straordinaria stagione di mutamenti sociali che caratterizzarono l’intero mondo. Questo libro, – stampato da “Oaks editrice”, piccola etichetta avvezza a riedizioni di testi e autori con il tempo scivolati nell’oblio -, è “Liberazione o morte!” di padre Camilo Torres Restrepo, raccolta antologica dei suoi scritti e riflessioni, opera pubblicata la prima volta da Feltrinelli nel 1969. Questa nuova riedizione si arricchisce di un lungo saggio introduttivo scritto a quattro mani da Giorgio Barberis e Francesco Ingravalle, docenti presso la nostra sede distaccata di Alessandria dell’Università del Piemonte Orientale, in cui i due studiosi rileggono i testi di Torres proponendone alcune chiavi di lettura, evidenziandone l’attualità dei contenuti e delle tesi. L’allentamento delle restrizioni legate alla pandemia hanno consentito la possibilità di presentare questo testo al pubblico e poterne discutere insieme durante queste prime uscite estive. E’ già accaduto poche settimane fa a S. Salvatore Monferrato nell’ambito della rassegna estiva organizzata dal Comune, si riproporrà il prossimo 23 luglio in quel di Orsara Bormida quale appuntamento della rassegna estiva di incontri voluta e organizzata dall’ISRAL.
Analizzare la vicenda umana di Camilo Torres significa calarla e contestualizzarla nel clima sociale e politico dell’America Latina e, più in generale, nello scenario geopolitico mondiale dei decenni intorno alla metà Novecento. Era la stagione delle forti polarizzazioni dei conflitti, delle “sfere di influenza”, delle politiche neoimperialiste delle grandi potenze uscite vincitrici dalla II^ guerra mondiale , dei “cortili di casa”. Ma fu anche il tempo delle lotte per l’indipendenza e la liberazione dal giogo coloniale per decine di Stati, dell’affermazione dei principi di autodeterminazione dei popoli, delle possibili vie da seguire nella definizione di innovativi assetti sociali e istituzionali. Fu il momento della Revolucion cubana che viene letta come chiave di volta, come “detonatore” – come ricordano Barberis e Ingravalle richiamando una riflessione di Eduardo Maspero – per un nuovo atteggiamento dei popoli subalterni, latinos e indios, nei confronti dell’aggressivo imperialismo yankee e che esprime campioni come Fidel Castro, Camilo Cienfuegos e, ovviamente, Ernesto Che Guevara, divenutone poi l’icona. Questa stagione di ribellismo (la guerrilla, n.d.r.) alle storiche condizioni di sfruttamento di intere popolazioni affonda le proprie radici nelle sfide impari di cui i Josè Martì o Augusto Sandino furono precursori e paladini nei decenni precedenti del 900. Di questo si possono leggere in nuce i presupposti, per fare un esempio pop, nei famosi “Diari della motocicletta” di Alberto Granado e appunto Ernesto Che Guevara[1]. Detto in tutta sincerità c’è forte il rischio della nostalgia, della retorica e della mitizzazione nel ricordare quella stagione, ma chiunque abbia memoria per averne vissuto il clima, certe considerazioni sono lì, ineluttabili, a confermarle.
Detto ciò, non toglie nulla alla straordinarietà della parabola esistenziale di Camilo e agli effetti che le sue riflessioni, critiche e profonde, hanno lasciato sul terreno nel panorama sociale e culturale, non solo in America Latina.
Camilo Torres Restrepo nasce a Bogotà nel 1929, da una famiglia dell’alta borghesia liberale colombiana ed è il rampollo di due delle più importanti dinastie del Paese. Compie da subito importanti studi presso istituti cattolici privati; manifesta un carattere ribelle sin da giovane e, dopo un percorso formativo lungo e qualificato, viene ordinato sacerdote nel 1954, decidendo di schierarsi dalla parte dei più poveri. Fortemente interessato dalla realtà politica, sociale ed economica del suo Paese, intraprende un percorso formativo di alto profilo in Europa presso l’Università cattolica di Lovanio, in cui si addottora nel 1958 specializzandosi in Sociologia. Rientrato in Colombia si spende da subito nella causa di difesa delle classi subalterne della popolazione e affianca all’impegno pastorale una forte e vibrante attività di sociologo[2], studioso dei fenomeni sociali e delle dinamiche che tali fenomeni producono, evidenziando sempre più la necessità di incidere in maniera profonda e radicale nei rapporti e nelle relazioni tra le varie componenti sociali interagenti. Diventò una delle figure più in vista, più ascoltate e più influenti nel panorama dell’intellighènzia colombiana, apprezzato ovviamente da una parte, sia pur considerevole, della società.
In un progressivo percorso di analisi e valutazioni che diventava sempre più radicale e definitivo, Torres entrò in contrasto con le gerarchie ecclesiastiche tanto da indurlo ad abbandonare il sacerdozio e costruì un proprio programma politico ed una propria piattaforma di azione, proponendo una coalizione di unità popolare che contrastasse il potere dominante in Colombia con l’intento di redistribuirlo verso i soggetti più poveri e fragili. Nel luglio del 1965 si avvicinò al ELN[3], ma continuò nel suo percorso di studio e approfondimento indagando aspetti di assoluta rilevanza per la struttura sociale colombiana come la problematica correlazione tra cristianesimo e rivoluzione, le questioni sociali in atto, le relazioni delle analisi marxiste con quelle cristiane. Nel novembre del 1965, dopo essersi pubblicamente esposto in manifestazioni contro il governo, decide di unirsi all’ELN scegliendo di intraprendere la lotta armata contro il potere non prima però di aver rivolto al popolo colombiano un Proclama.[4] Il 15 febbraio 1966, nel giorno del suo battesimo del fuoco, Camilo Torres Retrepo, “el sacerdote guerrillero” cade sotto i colpi dell’esercito colombiano in un’imboscata, concludendo così la sua parabola terrena. Il suo corpo venne sbrigativamente sepolto clandestinamente presso il cimitero militare di Bucaramanga e solo recentemente, in conseguenza degli accordi negoziati del 2015 tra Stato e organizzazioni guerrigliere, venne restituito e dignitosamente seppellito e la sua figura sacerdotale riabilitata anche da parte delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, grazie anche all’intervento dell’arcivescovo di Cali, mons. Monsalve Mejià.

Parlare di Camilo Torres potrebbe apparire, un po’ semplicisticamente, raccontare delle vicende di un presbitero che, per lottare contro il potere e nel nome del Vangelo, decide di imbracciare le armi e combattere. Non sarebbe il primo caso. La Storia ci consegna parecchi casi a cominciare dal teologo boemo Jan Hus ed i suoi seguaci (hussiti e taboriti) nel primo Quattrocento oppure il pastore evangelico riformato tedesco Thomas Müntzer e i suoi contadini nella guerra (bawrenkrieg) che infiammò la Germania nella prima metà del XVI° sec. o ancora l’epilogo drammatico dell’esperienza delle Reduciones gesuitiche nella seconda metà del Settecento in America Latina al confine tra Brasile, Argentina e Paraguay[5]. E’ cosa nota che tutti hanno avuto epiloghi tragici e sanguinosi, sono tutti racconti di sconfitte, ma che sono solo apparenti poiché i semi posti hanno poi germogliato sviluppi ed evoluzioni nei decenni successivi.
Dal punto di vista cronologico e storico, le riflessioni di Camilo Torres introducono alla nota teologia della liberazione che prenderà il via, formalmente e ufficialmente, pochi anni dopo la sua morte con gli scritti di Gustavo Gutierrez e di Leonardo Boff e con la vita pastorale di Helder Camara[6].
La domanda fondamentale che sta alla base delle riflessioni teologiche e pratiche di quella stagione, di quel clima sociale e che hanno fortemente influenzato, soprattutto nelle componenti ecclesiastiche più avanzate anche lo svolgimento di quello straordinario evento che fu il Concilio Vaticano II°[7] è: “Di fronte all’ingiustizia estrema, ai crimini di guerra, ma anche nei confronti dei crimini di pace, quale comportamento deve tenere il cristiano ovvero ‘colui che ha fede nel messaggio di Cristo’?“. Per padre Camilo Torres la risposta è un imperativo etico a cui il cristiano non può sottrarsi , per lui: “…i veri fedeli di Cristo non solo possono partecipare alla rivoluzione, “ma hanno l’obbligo morale di farlo”…”[8]. E’, questa posizione, una via senza ritorno – molto “cattolica” peraltro – che Torres, assai consapevolmente, intraprende.
La vita di Camilo si propone come incarnazione di quella scelta morale e etica. Un atto radicale ed estremo, ma che lui la accompagna con un approfondimento e un taglio di scientificità figlio della sua formazione di sociologo, supportando le ragioni della scelta, indicando possibili strategie e obiettivi di lungo periodo[9].
La sua riflessione si confronta e relaziona da subito con il pensiero socialista e comunista, dialoga con Marx in maniera rilevante apprezzandone la scientificità del metodo, scendendo spesso a patti con il marxismo – o viceversa accomunando il marxismo al pensiero cristiano – usando un lessico analogo (es. solidarietà di gruppo vs. coscienza di classe) e talvolta sovrapponibili. Come per Marx gli esiti della sua riflessione sono che l’uscita dalla sofferenza umana va praticata cercando trasformazioni reali e concrete del mondo stesso, non cercando soluzioni lenitive e consolatorie richiamandosi in questo alle parole dei Vangeli e superando la lettura della religione quale “oppio dei popoli” nell’accezione, appunto, di componente sociale, analgesica e palliativa, atta a sopportare il dolore e il peso di una vita infelice e senza speranza.
Nel loro saggio introduttivo Ingravalle e Barberis discettano, alla luce anche della loro formazione di storici del pensiero politico, con profondità sulla duplice lettura della vicenda – umana e politica – di padre Camilo comparandola con gli assunti teorici marxiani e con quelli nietzschiani.
Se per Marx questo confronto, come citato, appare facilmente comprensibile alla luce dell’attenzione che lo stesso Torres pone a quelle teorie, per contro L’accostamento con Nietzsche appare più ostico. In realtà il filosofo tedesco, nel suo “L’Anticristo”, attribuisce al Cristianesimo valori di reale “comunismo” ovvero diritti uguali per tutti. Per queste ragioni ne evidenzia gli aspetti negativi e decadenti, in contrasto con la sua costruzione ideologica e teorica tesa invece verso una visione decisamente anticristiana e paganeggiante, connaturata con una spiccata visione individualistica dell’uomo. Ciò nonostante viene fatto rilevare come pur tra evidenti contraddizioni le posizioni e le scelte elaborate da Camilo Torres hanno in qualche modo affascinato anche il mondo della destra sociale, radicale ed estremistica, anche in Occidente, che del pensiero di Nietzsche fecero un loro caposaldo. Le ragioni sono da imputarsi alle forti assonanze anticapitalistiche e antimperialistiche che, in teoria, le accomunavano con il processo di radicalizzazione che avevano fatto il fascismo ed il nazionalsocialismo[10].

La visione politica delineata da Camilo nella “piattaforma di Simacota”[11] evidenzia come ad un impulso libertario e egualitario si accompagna una profonda riflessione di natura scientifica sulla costruzione sociale, sulle nuove relazioni intercorrenti, sui nuovi rapporti di forza. Torres intende integrare il socialismo scientifico in una dimensione teologica di liberazione individuale e collettiva, in una dimensione di salvezza eterna! Scrive Camilo: ”…solo la rivoluzione è il modo per ottenere un governo che dia da mangiare all’affamato, che dia da vestire all’ignudo, che insegni a chi non sa, che compia opere di carità, di amore del prossimo, non soltanto in forma occasionale e transitoria, non soltanto nei confronti di pochi, bensì per la maggioranza del nostro prossimo…”.[12]
Nel passo padre Camilo sostiene che è “…solo la rivoluzione è il modo affinché il governo… compia opere di carità, di amore per il prossimo…” è qui si evidenzia la precipua dimensione teologica della sua opera e del suo pensiero.
La Carità, una delle tre virtù teologali della religione cattolica. Carità che deriva dal latino caritas ovvero benevolenza/affetto, sostantivo di carus ovvero amato/caro, derivante dal greco χάρις (charis) cioè grazia.
In realtà S. Agostino nella sua Summa Theologiae, attribuisce per lo più alla parola carità il significato di stima, apprezzamento ovvero che custodisce il senso di un effettivo grande valore. E’ attraverso la carità, in questa specifica accezione, che il vero cristiano pratica il proprio magistero!
A conforto e supporto di questo richiamo la recente enciclica “Fratelli tutti”[13] di papa Francesco che impernia proprio sulle varie declinazioni della Carità le proprie riflessioni. A supporto e sostegno di questo Francesco richiama, rilegge e analizza, con la meticolosità propria del teologo, la “parabola del buon samaritano”, raccontando di colui – figura di basso lignaggio, il samaritano appunto – che si fa carico di aiutare e sostenere un uomo oggetto di aggressione e malversazioni da parte di briganti e che giaceva ai margini della strada nell’indifferenza generale, soprattutto di quelli di classi sociali altolocate.
Al netto dell’espediente retorico tutte le riflessioni e i potenziali evidenti collegamenti con l’attualità e la contemporaneità, mi pare abbastanza facile la lettura di come l’attuazione di questa parabola possa essere sovrapponibile con le scelte di padre Camilo. Questo almeno nella sua essenza e nella sua struttura.
Gli esiti finali, le scelte estreme, ovviamente non sono – né tanto meno possono – accolte dalla ortodossia cattolica e dall’apparato ecclesiastico curiale vaticano, ma la lettura che papa Francesco fa della parabola, riprende in gran parte il senso del discorso di Torres ovvero come la Carità, incarnandosi nel gesto e nell’azione, diventa solidarietà e qui le parole di Francesco sono emblematiche: “…Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto di più che alcuni atti di generosità sporadici. E’ pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. E’ anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. E’ far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […] La solidarietà, intesa nel senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari…” [14].
Ma Camilo Torres fu anche uno studioso profondo e attento dei fenomeni sociali del suo tempo, il libro ce ne testimonia la qualità riproponendo un suo saggio notevole intitolato “Violenza e mutamenti sociali” dove, con lucidità, analizza la situazione e la condizione della società colombiana, le sue profonde diseguaglianze, le ragioni di esse e la loro “cristallizzazione” nelle dinamiche interne che erano – e assai probabilmente sono ancora – frutto di condizionamenti e interventi esterni da parte delle politiche neoimperialiste statunitensi dove l’America Latina veniva considerata “il cortile di casa”.
La sua analisi, il suo ragionamento, profondo e accurato, porta ad una risposta che lui traduce in scelta estrema e radicale ovvero la necessità di sovvertire l’ordine costituito e lottare per mutare i rapporti di forza attraverso un’azione rivoluzionaria che abbia nel popolo degli sfruttati e degli oppressi il proprio asse portante e una effettiva dimensione di “liberazione” che conduca, nello spirito del pensiero teologico che lui e altri intellettuali come lui perseguivano, alla:
“liberazione politica e sociale” ovvero l’eliminazione delle cause immediate di povertà e ingiustizia;
“liberazione umana” ovvero l’emancipazione dei poveri, degli emarginati, degli oppressi da tutto “ciò che limita la loro capacità di sviluppare se stessi liberamente e dignitosamente”[15];
“liberazione teologica”, cioè la liberazione dall’egoismo e dal peccato, per il ristabilimento della relazione con Dio e con ogni essere umano.
L’analisi degli scritti sociologici di Torres ci consegnano quindi un intellettuale acuto e originale, che – mi azzardo a dire – per certi versi ha saputo proporre, come temi di analisi e approfondimento, aspetti che possono essere ricondotti ad alcuni istituti della biopolitica (e del biopotere) che Michel Foucault approfondirà e teorizzerà una decina di anni dopo, introducendo quelle categorie di lettura e di evoluzione della storia sociale che lui chiama “meccanismi sociali” e che il filosofo francese invece definisce in maniera assai efficace “dispositivi di sicurezza”.[16]
In conclusione, la vicenda umana di padre Camilo Torres Restrepo è, ovviamente, la storia di una sconfitta e come tale riveste un’aura di naturale umana attrazione e vicinanza. E’ il racconto di una sconfitta che era scritta nelle cose, perché le modalità con cui ha approcciato ai problemi e ai temi nascondeva il limite dello spontaneismo, dell’utopismo e di un “misticismo” – non saprei dire se è il termine è corretto – che l’ha condotto al martirio. La cosa era evidente ed era nei fatti. Dubito che Camilo non ne fosse consapevole, era troppo acuto ed intelligente! Penso piuttosto che queste scelte rientrassero nella dimensione evangelica e di testimonianza propria del suo essere uomo di fede profonda. Era il frutto di un percorso e di una formazione umana, religiosa e politica che affondava le sue radici in profondità nella mistica della professione evangelica e nella sua pastorale.
L’uomo Camilo Torres era lontano anni luce dal cinismo e dal pragmatismo che, per esempio, il socialismo scientifico e il materialismo storico e dialettico portano con sé. Non aveva nulla a che fare con la prassi rivoluzionaria leninista e con il ruolo di avanguardia attribuito al partito, nonostante le attenzioni che egli rivolgeva al ruolo che dovevano svolgere i partiti secondo la sua visione – “meccanismi sociali” o “dispositivi di sicurezza”, appunto –. Non poteva star dentro quella dimensione culturale, proprio perché praticava la fraternità, la solidarietà, la carità nell’accezione che abbiamo sopra indicato. Aveva un approccio “movimentista” si sarebbe detto qualche decennio fa. Ma per fare le rivoluzioni non è sufficiente, ci vuole altro; come diceva chi se ne intendeva: la rivoluzione si sa, non è un pranzo di gala!
Mariano G. Santaniello
Presidente ISRAL
PS: per chi avesse voglia e piacere di confrontarsi su questi temi ricordo la presentazione del libro “Liberazione o morte!” ad Orsara Bormida (AL) il 23/7 alle ore 18.00; sarà presente Giorgio Barberis, uno dei promotori dell’operazione di riedizione.
[1]Cfr. Ernesto Che Guevara, Latinoamericana – Feltrinelli, 1993; Alberto Granado, Un gitano sedentario – Sperling, 2005. Vedasi anche il film di Walter Salles, I diari della motocicletta, 2004 oppure il documentario di Gianni Minà, In viaggio con Che Guevara, 2003.
[2] Nel 1959 fonda la Facoltà di Sociologia presso l’Università Statale di Bogotà, la prima in Colombia.
[3] ELN – Ejercito del Liberacion Nacional formazione d’ispirazione guevarista con a capo Fabio Vasquez Castano nato nel 1964 sul modello del movimento cubano Movimiento 26 de julio, in alternativa alle FARC – Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia vicine al Partito Comunista Colombiano.
[4] Dalle Montagne. Proclama di Camilo ai Colombiani, gennaio 1966. E’ presente nel volume padre Camilo Torres – “Liberazione o Morte!” – Oaks ed., 2020 – pag. 78.
[5] Cfr. Michel Foucault, Sicurezza, popolazione, territorio – Feltrinelli, 2005.
[6] Il principio fondamentale della Teologia della Liberazione ruota intorno al ruolo centrale della Chiesa nella società umana contemporanea e evidenzia i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano, in particolare l’opzione fondamentale verso i poveri richiamando il testo biblico nella sua essenza primaria.
[7] Si richiamano qui le idee e i principi riformatori attivati a Roma e concordati da molti padri conciliari di diverse nazionalità, sia europei sia latino-americani e sottoscritti da diversi cardinali nei cosiddetti Patti delle catacombe durante i lavori conclusivi del Concilio presso le catacombe di Domitilla a Roma.
[8] Padre Camilo Torres, Liberazione o morte! – Oaks ed., 2020 . G. Barberis – F. Ingravalle , Introduzione alla nuova edizione – pag. VII.
[9] Cfr. Principi programmatici di Simacota, Manifesto di Simacota in padre Camilo Torres, op. cit.
[10] G. Barberis – F. Ingravalle , Introduzione alla nuova edizione – pag. XVII. Padre Camilo Torres, op. cit..
[11] Simacota, Manifesto di Simacota in padre Camilo Torres, op. cit.
[12] G. Barberis – F. Ingravalle , Introduzione alla nuova edizione – pag. VII. Padre Camilo Torres, op. cit
[13] Lettera enciclica “Fratelli tutti” del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, ottobre 2020.
[14] Papa Francesco, op.cit. – § par. 116.
[15] Gustavo Gutierrez Merino, Teologia della Liberazione, Queriniana, 1992.
[16] M. Foucault, op. cit.