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Paul Mason

Il monito inascoltato di Colin Crouch e le attuali considerazioni di Paul Mason

Il cataclisma che ha travolto il Labour nelle recenti amministrative inglesi in molte aree periferiche meno ricche della Gran Bretagna tocca il punto più acuto e drammatico nelle città ex-industriali, manifatturiere, di media-piccola grandezza, come quella costiera di Hartlepool (90.000 abitanti, Durham County, Nord-Est), comunemente considerata uno storico “feudo” socialista. In quel distretto elettorale il Labour perde quasi i 2/3 dei consensi a confronto delle “General Election” (politiche) del 2017, ove il partito diretto da Jeremy Corbyn raccolse quasi 22.000 preferenze, vincendone il seggio.

Ovviamente, tra i fitti rivoli della sinistra britannica palesa un evidente sconcerto che rischia di far ri-affiorare le antiche e mai sopite divisioni ideologiche tra i cosiddetti Blairites e la componente socialdemocratica. Dopo la sconfitta del 19 le due principali anime interne trovarono una sorta di tacito accordo con la nomina Keir Starmer, nella speranza che il conflitto politico potesse trovare una lenta sedazione mediante la “ubiqua” figura del nuovo leader: un “tradizionale” Labour, ma contemporaneamente un stimato personaggio d’apparato della Corona.

Sennonché – come ci spiega nel suo breve saggio Paul Mason, di cui pubblichiamo alcuni stralci – le subitanee schermaglie politiche rappresentano solo la punta di un iceberg, la cui nascosta gigantesca massa sottostante contiene – e non solo in UK – una trasformazione sociologica della base elettorale operaia: la velenosa eredità che ci lascia il combinato disposto tra globalizzazione e neoliberismo. Per capire meglio ciò che afferma il noto editorialista del The Guardian bisognerebbe partire da una necessaria premessa: il richiamo che fece Colin Crouch al socialismo europeo inerente al progressivo distacco tra l’ethos sociale della grande conurbazione e il “nuovo” sempre più incalzante nelle aree geografiche periferiche. Luoghi dimenticati verso cui la rivoluzione globalizzante disperse una minuta manciata di briciole. Il politologo di Warwick, nel 2018 ammoniva che per rinsaldare questa divaricante e nefasta frattura geo-socio-economica le forze di governo progressiste dovrebbero pensare a inserire: 

Colin Crouch

il locale nel globale. Questo approccio deve quindi essere combinato con l’attenzione allo sviluppo economico locale e alla sussidiarietà. In tutto il mondo democratico c’è stata una evidente [distinzione] geografica nei confronti del fascino delle forze xenofobe. Le città, i cui residenti possono sentirsi come parte di un futuro luminoso, hanno resistito a questo appello: da Budapest e Vienna a Liverpool o a San Francisco.

Le forze di mercato nell’economia postindustriale favoriscono un piccolo numero di grandi città, dai cui lo “sgocciolamento” di valore aggiunto verso l’esterno è minimo. Intere regioni e molte piccole città sono state lasciate senza attività dinamiche che possano trattenere i giovani e dare alle persone un senso d’orgoglio nel loro locale: l’ Heimat [indica il territorio in cui ci si sente a casa propria perché vi si è nati]. Non è sufficiente fornire un generoso sostegno sociale a persone che sono disoccupate o abbandonate in occupazioni a basso reddito come conseguenza di questi processi, o incoraggiare le imprese e le organizzazioni governative a localizzare attività di back-office e di supporto logistico (warehouse) in tali luoghi.

Abbiamo bisogno di collaborazione tra le autorità europee, nazionali e locali per identificare le nuove attività che possano prosperare al di fuori dei luoghi di successo già esistenti e fornire l’infrastruttura che li possa rendere possibili.

Al di là dello sviluppo economico in sé, le persone hanno anche bisogno di una alta qualità ambientale nel luogo in cui sono nati, cresciuti, e di cui possano essere fieri. Ciò richiede una spesa pubblica considerevole: una strategia che appartiene alla sinistra, non alla destra populista che sostiene di essere il principale difensore dell’Heimat. Il successo in questo compito non sarà raggiunto ovunque; ci saranno sempre zone peregrine che non riescono a trovare un posto in un mondo che cambia. Ma le combinazioni di geniali pianificazioni nazionali e locali con l’imprenditorialità e un’attenzione risoluta alla “geografia del dinamismo” possono ridurre il numero [di aree svantaggiate periferiche] e quindi il conteggio di coloro che si sentono abbandonati (left behind).

Queste strategie affrontano il malcontento di coloro che si sentono trascurati, in particolare uomini della classe lavoratrice appartenenti all’etnia dominante che credono che i politici, specialmente di sinistra, abbiano spostato la loro attenzione verso le disuguaglianze subite dalle donne e dalle minoranze etniche nei settori postindustriali. La loro denuncia è giustificata: l’accettazione diffusa delle idee neoliberali faceva sì che non fossero menzionabili le disuguaglianze puramente economiche. Tuttavia, ciò non può essere risolto da un tentativo di ritorno a un industrialismo datato, meno ancora attraverso la misoginia e la xenofobia.”[1]

Può essere, ma domandiamoci se si è fatto veramente qualcosa a partire dal nuovo millennio per colmare questo iato geo-socio-economico, nonché culturale di mancato progressivo e parallelo sviluppo? Diremmo. poco, quasi nulla. Non c’è bisogno di avventurarsi in sofisticate analisi sociologiche per constatare quanto sia stata carente la consapevolezza da parte delle classi dirigenti di ogni rango. Sarebbe sufficiente visionare la sovrabbondanza di risposte deludenti alle domande sulla qualità della vita espresse dai residenti in una qualsia area periferica abbandonata a sé stessa (come la nostra), non solcata dai flussi magici della digit-globalizzazione. Maggioranze che hanno manifestato la propria insoddisfazione, “rannicchiandosi” nella loro “re-inventata” identità localista come ultimo baluardo ideale, eretto a difesa dal mondo dei giganti.

Paul Mason coglie questo sentimento, lo fa vibrare fino a renderlo acuto quasi insopportabile per i padiglioni auricolari della classe dirigente socialdemocratica inglese oramai in completa balia di forze oscure che sono diventate, secondo l’autore, “grimly fashionable” (cupamente alla moda). Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che tale sordo appellativo può valere tanto per l’ex operaia Hartlepool, novecentesco bastione socialista, quanto per le altre sue consorelle, di pari genealogia, in qualsiasi parte dell’Europa continentale.

Johnson ha reso l’avidità, il vittimismo dei bianchi, la corruzione e la xenofobia non solo rispettabili, ma anche ‘cupamente alla moda’ nelle medio-piccole comunità urbane ex industriali dell’Inghilterra. Quindicimila elettori a Hartlepool, una città della classe operaia  che nel 2016 votò per il 70% a favore della Brexit, hanno sostenuto un candidato conservatore dimostrando zero connessione con la loro città. Questo è avvenuto nel contesto in cui il governo Tory registrò uno dei peggiori numeri di decessi al mondo nel corso della pandemia, e con l’amministrazione di Johnson profondamente coinvolta nelle accuse di corruzione.

Il Labour, al contrario, ne mobilitò meno di 8.000 rispetto a coloro i quali l’avevano votato alle elezioni per Westminster del 2019. Nonostante il fatto che il candidato labourista fosse un medico locale, che lavorava in prima linea nel contrastare l’epidemia, gli elettori preferirono la politica della corruzione e dell’elitarismo.

Come si possono sostenere i conservatori quando un quarto dei loro stessi figli vive in povertà?” È stato il lamento dell’unico commentatore liberale su Twitter. La risposta è ovvia per chiunque abbia bussato alle loro porte: gli elettori della classe operaia socialmente conservatori disprezzano i poveri, così come disprezzano gli “studenti universitari”, i “sapientoni”, i rifugiati e i promotori dei diritti umani.

La loro politica è ora dettata principalmente dalla loro identità, non dal loro interesse economico. Si percepiscono in concorrenza con i lavoratori migranti. Prendono coscienza che la loro città si trova in competizione con le grandi per [accaparrarsi] quella scarsa crescita che può essere generata da un’economia compromessa. E inveiscono contro gli ‘studenti’, perché costoro intendono apprezzare un mondo che pregia in misura maggiore l’apprendimento, la tolleranza e l’apertura, rispetto al senso della comunità, al luogo e alla famiglia patriarcale.

Soprattutto, hanno accettato la logica post-2008 del neoliberismo: poiché dato per scontato che la ricchezza dei super ricchi sia intoccabile e in continua crescita, la ridistribuzione può avvenire solo all’interno della classe lavoratrice. Dal momento che ora c’è denaro gratuito che scorre dal Tesoro e dalla Banca d’Inghilterra, sotto forma di omaggi politici, provvidenze pubbliche, capiscono che il modo più semplice per farlo fluire nella loro città – nel contesto della politica ancora notevolmente centralizzata dell’Inghilterra – è votare per Johnson.

Non sono affatto la maggioranza, sebbene vi siano città dove i loro voti consegnano il potere ai conservatori. Ma non è necessario che siano la maggioranza. Con il Labour incapace di proiettare una propria narrativa chiara e unificante, l’impegno militante per la politica progressista è sommesso e disorientato. Gli 8.000 elettori laburisti persi ad Hartlepool tra il 2019 e il 2021 non si sono rivolti principalmente ai conservatori, semplicemente non hanno votato.”

Ma c’è un’altra faccia della medaglia. Se nei vecchi distretti manifatturieri ove l’immigrazione entra i competizione con i lavoratori autoctoni; ove le grandi fabbriche risultano solo vestigia di  grande interesse per un piacevole tour di archeologia industriale, nella grande conurbazione multietnica si cattura l’opportunità del progresso e della crescita – pur non equamente distribuita – ma in grado di profilare psicologie di massa meno identitarie, maggiormente portate alla cooperazione, alla dinamica del fare e del progredire. Lo scenario della geografia politica si ribalta di 180°. Commenta Paul Mason:

A Londra, il giorno delle elezioni, mi trovavo in una fila di 50 persone della classe operaia, nel mio collegio elettorale di Lambeth e Southwark, che si ritrovavano compiaciuti come se fossero lì per fare una cosa: far sì che i laburisti e i Verdi ottenessero controllo della Greater London Authority. I loro voti hanno prodotto una valanga di consensi per il candidato sindaco in carica del Labour, Sadiq Khan, che si è recato in ogni parte della città per la sua rielezione. Cosa ancora più interessante, circa la metà di questi fedeli elettori labouristi si è presa la briga di dare la seconda preferenza ai Verdi, consentendo al loro Partito di arrivare secondo nella competizione locale.

Se queste sono le “nuove zone centrali” del Labour – grandi città, cittadelle universitarie e luoghi con una vasta minoranza etnica o popolazioni LGBT e…oltre – il  sostegno al Labour è fragile e condizionato. Gli elettori qui vogliono una città vivibile e una politica di tolleranza e “decarbonizzata”. Sebbene i loro valori culturali siano diametralmente opposti alla maggioranza degli elettori di Hartlepool, questi sono ugualmente radicati nel loro ambiente. Nel loro mondo, la comunità e la località contano in un modo diverso: le comunità in cui vivono devono essere create e ricreate ogni giorno, in un paesaggio di cambiamento rapido e inarrestabile. C’è poco posto per la tradizione, la nostalgia o il sentimento nelle loro vite, perché le moderne tattiche di sopravvivenza urbana non lasciano a loro spazio”.[2]

Detto questo, si ritorna al punto di partenza riferendoci a quel sempre più ampio “fossato” illustrato precedentemente da Colin Crouch rispetto al quale, a dispetto degli avvertimenti da parte del politologo inglese, si è fatto ben poco per riempirne il vuoto. Non dobbiamo mai dimenticare che la popolazione della UE, Gran Bretagna inclusa, residente nelle aree provinciali, le cosiddette “middle-size towns” o “rural areas” conta quasi per il 50% sul totale. Luoghi ove la cascata del progresso tecnologico e civile (mobilità, digitalizzazione, livelli di sapere, propensione al rischio, offerta pubblica, parità di genere, ecc.) si è fatta molto meno sentire rispetto alle grandi conurbazioni in cui l’eccellenza, la dinamica del progresso accompagnate dai nuovi diritti marciano di pari passo, pur con qualche asimmetria urbana.

Non abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi che il comodo rifugio all’interno della cortina dell’identità locale equivalga all’avvio di un processo di regressione civile, di per sé assai preoccupante. Ci occorre, invece, una classe politica e dirigente che abbia una visione a largo raggio, non demagogiche narrative o retoriche piagnucolanti, al fine di ridurre la crescente estensione di questo “fossato”.

Hartlepool non è più solo un indicatore, è un dato di fatto da cui non possiamo più prescindere e nei confronti del quale la socialdemocrazia, anche qui da noi, prima o poi dovrà fare i conti.

[1] https://ilponte.home.blog/2019/05/11/colin-crouch-ribaltare-il-contraccolpo-della-globalizzazione/

[2]https://www.socialeurope.eu/hard-labour?fbclid=IwAR1c5PYjo38Tw1phPwJOW7YtXlo-USiQ_cpy8WzodRN93_ULtaEAjzPueAQ

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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