La moderna evoluzione industriale è stata segnata da ristrutturazioni sempre più profonde e ravvicinate. Secondo la teoria economica classica, e quindi secondo i principi liberisti che informano i Trattati istitutivi dell’Unione Europea, i mercati non sono soltanto in grado, ma sono gli unici a poter gestire fasi di ristrutturazione e trasformazione, e quindi anche a poter guidare un’economia manifatturiera tradizionale verso la moderna economia della conoscenza.
In realtà, nella culla del liberismo, l’erario americano, attraverso il sostegno ai migliori centri di ricerca nazionali, politiche volte a favorire l’importazione dei migliori tecnici stranieri e forti investimenti diretti nella ricerca militare (con conseguenti brevetti a disposizione dell’industria nazionale) ha creato attivamente, nel corso di decenni, le basi della Silicon Valley prima e di una moderna economia della conoscenza dopo, con le prevedibili implicazioni nei più diversi rami del sapere e della produzione (che viaggiano a braccetto).
Una pragmatica presa d’atto del fatto che i mercati investono tendenzialmente poco nella ricerca di base, ma che senza questa non si brevetta e si subisce un divario tecnologico (per natura crescente) nella competizione internazionale. In Europa no. Mentre nel trentennio ’70-’90 tutto cambiava, la CEE era impegnata a porre le premesse della costituenda Unione Europea a partire dai principi fondamentali tra i quali riveste rango primario, come naturale nel quadro ideologico dato, il divieto degli aiuti di Stato.
In sostanza, l’impegno diretto di uno Stato membro dell’Unione Europea volto a colmare il divario tecnologico nei settori strategici ma deboli, che altrove rientra nel normale perimetro delle politiche industriali, in Europa è frenato, quando non impedito. Vuoi mai che uno Stato membro risulti avvantaggiato rispetto ad un altro?
Sulle divergenze non solo non appianate ma anzi create dall’attuazione di questo impianto nel trentennio di vita dell’Unione, in assenza di un budget federale e di politiche perequative, non è il caso di parlare, ma una constatazione (da bar) viene spontanea: oggi gli Stati Uniti hanno un’industria farmaceutica in grado di sviluppare più vaccini contro un’infezione entro meno di un anno dalla scoperta dell’agente patogeno, idem la Cina, idem la Russia. Idem Cuba! L’Europa no. E si imbufalisce perché le dosi di vaccino prodotte da Pfizer in Europa e già prenotate vanno in USA per l’infialamento e non tornano più indietro.
E’ il mercato, bellezza! Scusate, oggi ero in vena di dare lezioni di liberismo ai liberisti…”

Fabio Camillo