(di G. Abonante e G. Laguzzi)


Come l’araba fenice, ogni tanto risorge dalle proprie ceneri la parola impronunciabile: patrimoniale. Il mistero che l’avvolge è dovuto in primis a cosa si intenda con essa.
In generale, va ricordato che se intendiamo un prelievo che colpisca asset immobiliari e finanziari questo è già operativo da tempo (IMU, imposta di bollo) e va a colpire quella frazione di media-alta borghesia, ma non solo, pure una quota rilevante di ceto medio, che dispone della proprietà e della fruizioni di tali patrimoni. Laddove invece con tale termine si intendesse un prelievo maggiormente progressivo che colpisca asset e patrimoni molto elevati (a partire dalle decine di milioni di euro), e dunque solo (o quantomeno principalmente) su una fascia molto ristretta della popolazione di “super-ricchi”, allora saremmo nel novero di quelle politiche redistributive da analizzare con interesse.
Laddove ve ne fosse bisogno, premettiamo che dal punto di vista socio-economico, ci siamo spesso esposti da tempo nel sottolineare come uno dei maggiori problemi, forse il maggiore, delle società moderne siano proprio le diverse forme di diseguaglianza economiche ormai andate ben oltre il limite massimo della sostenibilità. Inoltre, diversamente da altre rispettabilissime posizioni, abbiamo sempre sostenuto che l’idea di contrastare le forme più acute di povertà e di assottigliamento del ceto medio dovessero essere ottenute con metodologie ben diverse rispetto al mantra in voga ancora prima del 2008 “siamo per contrastare la povertà, ma senza contrastare la ricchezza”.
Ritenevamo già allora, come anche adesso, che la sempre maggior concentrazione di potere economico in una fascia sempre più ristretta della popolazione sia essa stessa fenomeno che impedisce una serie di policy atte ad affrontare seriamente tale questione; i tempi che viviamo hanno infatti ormai ampiamente dimostrato che per contrastare le diseguaglianze economiche bisogna anche essere “contro” quella parte della ricchezza generata da distorsioni del valore degli asset rispetto al loro effettivo valore economico.
Sottolineiamo inoltre che non possiamo non considerare il più generale tema della mobilità del capitale e della sua capacità elusiva per sfuggire a regimi di tassazione considerati meno “convenienti” rispetto ad altri. E qui la domanda delle domande: è possibile oggi sostenere forme di tassazione delle super-ricchezze senza considerare al contempo una revisione profonda delle regole sulla libera circolazione del capitale?
Non comprendere a fondo l’importanza della risposta e la consapevolezza di come le due questioni siano profondamente ed intimamente interconnesse, sarebbe come illudersi di fermare un fiume in piena alzando il palmo delle mani. E questo non nell’ottica di una pericolosa degenerazione in versione “il meglio è nemico del buono” (che impedirebbe di agire), ma proprio perché si ritiene che i tempi siano forse maturi per affrontare in maniera organica questa materia, non svincolando le due cose.
Lanciamo dunque alcuni punti schematici viste le discussioni di questi giorni.
Da un punto di vista etico, riteniamo che sia sicuramente doveroso che l’argomento di redistribuzione delle risorse torni ad essere centrale in questa fase, proprio perché le difficoltà di tenuta sociale nei periodi di crisi permettono di far in modo che argomenti solitamente poco ascoltati diventino invece rilevanti. Inoltre la popolazione in larga maggioranza sembra essere propensa a contributi di solidarietà che arrivino dai ceti più abbienti verso quelli più in sofferenza. La questione ovviamente è però trovare il metodo opportuno. Va inoltre evitato l’effetto controproducente di misure che possano apparire in qualche misura coercitive, e comunque possano generare una tendenza ad alimentare ulteriore sfiducia nei processi economici, politici e sociali, tenendo in forte considerazione il momento delicato e assolutamente inedito generato dalla crisi coronavirus; se da un lato essa permette di discutere di misure straordinarie, sino a pochi mesi fa impensabili, dall’altro genera anche un effetto di maggior sensibilità sociale da tenere in considerazione, soprattutto nella percezione delle misure che si vanno proponendo.
Veniamo dunque al tema più prettamente politico. In questi giorni stanno girando diverse proposte, tre in particolare che cerchiamo di sintetizzare come segue:
una prima, a firma Orfini-Fratoianni, prevede una franchigia a 500mila euro con quote progressive tra lo 0,2% e il 2%;
una seconda, a firma Fornaro-Bersani, prevede la franchigia a 1,5 milioni euro con scorporo del valore della abitazione principale, con quote progressive tra l’1% e il 2%;
una terza infine, lanciata da Beppe Grillo sul suo blog, che invece ha più il sapore di un contributo richiesto ai super ricchi, intesi come aventi patrimoni superiori ai 50 milioni di euro, con quote progressive tra il 2% e il 3%.
Le tre tipologie hanno lati deboli e punti a favore: la prima è sicuramente più flat, riguarda il primo decile (10%) della popolazione, la seconda ha sicuramente maggiori elementi di progressività e riguarda una fascia certamente più ricca e ristretta della popolazione, andando ad incidere sui primi tre centili probabilmente (3%); mentre la terza sembra essere quella più radicale e che estrae risorse da un gruppo di circa 2000 persone (quindi un sottoinsieme del primo 0,01%), andando ad interessare soprattutto la fascia dei cosiddetti billionaire.
Se davvero vi è la volontà politica di mettere mano alla materia, allora per prima cosa forse la maggioranza dovrebbe elaborare una proposta univoca. Aggiungiamo inoltre che la cifra che pare possa essere recuperabile sia nell’ordine dei 10 miliardi di euro, quindi certamente un qualcosa di rilevante. Tuttavia, urge sottolineare l’importanza di accostare, in sede europea, a misure del genere anche tutta la questione sulla “armonizzazione fiscale europea”, anche se quest’ultima assume spesso più le sembianze dell’isola di Utopia.
Infine, sul tema dell’elusione fiscale delle grandi fortune, ricordiamo che per via delle attuali regole e standard sulla circolazione dei capitali (questo è il punto dolente) possono essere protette grazie alla creazione di trust internazionali con sede in paradisi fiscali. Ecco che un’azione di prelievo sui grandi patrimoni isolatamente di uno Stato e non coordinato potrebbe essere economicamente controproducente. D’altra parte, una versione più flat come la prima delle tre proposte elencate, andrebbe ad incidere su una fascia di ceto medio alto e potrebbe avere la conseguenza politica di spostare quella parte di elettorato “moderato” verso posizioni velleitarie conservatrici – senza colpire i grandi patrimoni in maniera compensativa.
Altro sarebbe regolamentare (qualcuno dice smantellare) il mercato finanziario con il suo meccanismo di formazione dei prezzi irrazionali (Stiglitz), i quali comportano sprechi superiori (estrazione, Mazzucato) rispetto a quelli di cui si suppone che il sistema pubblico sia colpevole. Quindi, non vorremmo che l’introduzione di una patrimoniale si configuri esclusivamente come un evento “ancillare” o addirittura “saltuario” a confronto di una seria politica di lotta alla disuguaglianza da mettere in campo per la regolazione del mercato finanziario, eliminando le sue storture (stock option, buy back, scommesse eticamente deplorevoli del tipo cds, sgravi fiscali ecc.), cui producono tassi di remunerazione del capitale superiori a quelli destinati agli investimenti produttivi e innovativi nell’economia reale. Qui sta il punto. E da ciò si rileva lo stato di acquiescenza che ha pervaso la socialdemocrazia internazionale in questi ultimi anni nei confronti del “grande capitale”, pensando che il “meno peggio” fosse meglio del peggio e non la sua causa.
Detto ciò, e malgrado un passato assai “negligente”, si è indubbiamente favorevoli a qualsiasi provvedimento d’estrazione fiscale che riduca il corrente divario di ricchezza infra-cetuale. Tuttavia, si preferirebbe che esazioni del tipo “prêt–à–porter”, soprattutto in questo periodo assai travagliato, venissero ad anticipare un disegno organico entro cui si legiferi una rimodulazione dell’aliquota sulle donazioni, sui grandi patrimoni oggetto di successione, eticamente più giustificabile. Sarebbe altresì auspicabile una riforma fiscale maggiormente progressiva, che preveda un rapido completamento del catasto digitale e di conseguenza un sostanziale adeguamento dei singoli patrimoni immobiliari ai correnti valori di mercato, il cui “letargico” incedere fino ad ora ha impedito di stabilire l’esatta stima della ricchezza individuale, favorendo un’elusione se non un’evasione fiscale generalizzata.