Skip to main content
Cazzulo Roberta

In un periodo colmo di incertezze come questo che stiamo vivendo, l’università in primis è il luogo dove studente e docente si incontrano, ovvero è il punto di contatto tra chi desidera apprendere una disciplina e chi gli mette a disposizione il suo sapere.

Il compito principale di una buona università è la trasmissione del sapere.

Viviamo in un’epoca in cui ci basta “cliccare”, ma la capacità di leggere, comprendere ed interpretare la grande quantità di informazioni e di dati a cui siamo sottoposti quotidianamente ci può essere insegnata e trasmessa solo da un buon insegnante.

Il reale, vero apprendimento, spetta poi successivamente a ciascuno studente.

L’ultimo rapporto Istat purtroppo fa emergere che il distanziamento tra noi e l’Europa è ancora troppo elevato, in Italia i laureati sono il 19,5% contro il 33,2 % europeo.

Prendendo in considerazione i giovani tra il 25 e i 30 anni, secondo Eurostat nel 2018, la media europea era del 40,7% quella italiana del 27,8%, siamo in fondo alla classifica.

La Strategia Europa 2020, ovvero l’insieme di obiettivi che si era prefissata l’UE per fare in modo che la ripresa economica in seguito alla crisi economica e finanziaria andasse di pari passo con una serie di riforme che portassero alla creazione di occupazione, aveva messo tra i suoi punti chiave anche quello di ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10% e portare almeno al 40% il tasso dei giovani laureati.

Per citare i migliori: l’Irlanda (56,3%), l’Olanda (49,4%), il Regno unito (48,8%), la Francia (46,2%) e la Spagna (42,4%) …. noi ci piazziamo in coda alla classifica con la Romania…Peccato!

Anche perché secondo il Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei Laureati che si basa su un’indagine che riguarda 650mila laureati di 76 Atenei e analizza i risultati raggiunti nei mercati del lavoro dai laureati ci dice che nel corso del 2019 si sono registrati: maggiore regolarità degli studi, abbassamento dell’età alla laurea, più tirocini curriculari.

Si evidenzia, inoltre, un incremento anche per il tasso di occupazione rispetto al 2014: a un anno dal titolo + 8,4 punti percentuali per laureati di primo livello e + 6,5 punti percentuali per quelli di secondo livello.

Laurearsi conviene: chi possiede una laurea, rispetto a un diplomato, ha più possibilità occupazionali (+13%) e una maggior retribuzione (+39%).


In questi mesi caratterizzati dal Covid, è sempre il contesto a lasciare il segno, e questo contesto, per quanto riguarda il mondo dei laureati, evidenzia disuguaglianze a livello territoriale, sociale e di genere.

In particolare, in base ai dati contenuti all’interno del Rapporto AlmaLaurea, si osserva che chi proviene da famiglie più svantaggiate, non solo in termini economici ma anche a livello di istruzione dei genitori, studia per meno anni e anche quando arriva a iscriversi all’Università sceglie corsi di laurea più brevi.

Il Rapporto 2020 dimostra anche le tradizionali differenze di genere e, soprattutto, territoriali, mostrando la migliore collocazione degli uomini (+19,2% di probabilità di essere occupati rispetto alle donne) e di quanti risiedono o hanno studiato al Nord (per quanto riguarda la residenza, +40,0% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti risiedono al Sud).

Per quanto riguarda il background formativo dei laureati del 2019, si registra una prevalenza dei diplomi liceali (76,5%); segue con il 18,9% il diploma tecnico, mentre risulta residuale l’incidenza dei diplomi professionali (2,1%).

L’età media alla laurea per il complesso dei laureati del 2019 è pari a 25,8 anni: 24,6 anni per i laureati di primo livello, 27,1 per i magistrali a ciclo unico e 27,3 anni per i laureati magistrali biennali. Un dato che tiene conto anche del ritardo nell’iscrizione al percorso universitario (si tratta del ritardo rispetto alle età “canoniche” dei 19 anni, per la laurea di primo livello e per quella a ciclo unico, e di 22 anni, per la magistrale biennale), che tra i laureati del 2019 in media è pari a 1,4 anni.

Il voto medio di laurea è sostanzialmente immutato negli ultimi anni (103,1 su 110 nel 2019, stesso valore osservato nel 2009): 100,1 per i laureati di primo livello, 105,3 per i magistrali a ciclo unico e 107,9 per i magistrali biennali.

L’università, ha rappresentato e deve continuare ad essere un importante strumento, attraverso il quale, chi lo merita, può salire nella scala sociale, può migliorarsi, non deve essere “di classe”, ma inclusiva.

In Inghilterra è predominante la logica di “incoraggiare” i meno abbienti a intraprendere l’apprendistato e i più ricchi a iscriversi all’università: riduce il debito, migliora i tassi di occupazione, limita il bisogno di immigrati e conseguentemente porta consenso alla politica.

Nel Regno Unito vale, infatti, il sistema del debito studentesco: anche se non puoi permetterti di sostenere gli enormi costi delle migliori università, il governo ti anticipa il denaro, con il patto di restituire tutto entro una certa scadenza: insomma laurea per i ricchi e apprendistato per i poveri….

Il sistema britannico, che il luogo comune italiano considera come uno dei migliori sistemi universitari al mondo, non è certo ugualitario.

E’ necessario, quindi, scongiurare tutto questo e sostenere le famiglie più deboli economicamente e diversificare l’offerta normativa per intercettare tutti i diplomati.

Prendiamoci, soprattutto, cura di quegli studenti che hanno davvero desiderio di applicarsi e di guadagnarsi “quel fantomatico pezzo di carta”, pur provenendo da un contesto economicamente (e spesso socialmente) più svantaggiato, quelli che studiano per ore le pagine dei bandi per ottenere una borsa di studio, un alloggio se fuori sede, un pasto a mensa a tariffa agevolata, quelli che frequentano l’università da veri e propri pendolari, in coda per avere delucidazioni sul piano di studi migliore, perché ci credono …. pieni di aspettative future …

Fanno code interminabili in segreteria tra modelli ISEE e fotocopie dei documenti d’identità perché sanno che dovranno correre più veloce di tutti quelli che dichiarano di provenire da famiglie a reddito zero.

Non dimentichiamo, poi, quegli studenti che lavorano, senza smettere di studiare per migliorarsi sul loro posto di lavoro …. che faticano più degli altri compagni, e a cui dovrebbe essere dato un merito maggiore e il cui riconoscimento è spesso mera utopia…

Importantissimo è il ruolo dell’orientamento, volto a limitare al massimo le disuguaglianze: deve accompagnare i ragazzi nei determinanti passaggi tra scuola e università, così come tra università e mercato del lavoro …. Indipendentemente dai cambi di maggioranza e di Ministro ….

Scegliere la facoltà giusta non è proprio indifferente.

L’impressione è che spesso i ragazzi fanno della scelta universitaria una decisione affrettata che spesso non tiene conto degli sbocchi occupazionali e dei ritorni economici garantiti dalle singole aree di studio.

Odio sentire pronunciare la frase: “l’Università non è mica obbligatoria” …. certo che lo è, lo è, lo è per tutti coloro che desiderano iscriversi, nessuno escluso … frequentare l’Università ti permette di acquisire autonomia di giudizio, abilità comunicative;  favorisce la capacità di creare connessioni e le connessioni si creano anche con l’interdisciplinarietà, ti insegna a gestire la competitività, ad accorciare le distanze, a lavorare in team in un futuro prossimo, perché, oggi, lavorare da soli è praticamente impossibile …

Il futuro appartiene ai giovani, è globale però … quindi confrontiamoci e se abbiamo la stessa idea uniamo le forze e cerchiamo di attuarla insieme … per il nostro bene comune!

Roberta Cazzulo

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

Il Ponte