
Scorrendo le pagine o ascoltando le notizie dai media nazionali, nonché le dichiarazioni dei politici, si rileva una certa euforia, ma anche un po’ di preoccupazione, per quanto concerne la traduzione in politiche reali dell’enorme trasferimento di risorse – oltre 200 miliardi € – che la Commissione UE destina all’Italia, la cui finalità è quella di avviare il paese verso un processo di adeguamento tecnologico e di una complessiva trasformazione economico-sociale-ambientale capace di contribuire alla sfida che la stessa UE deve affrontare in un mondo assai più competitivo e bistrattato di quanto lo fosse in passato.
Mariana Mazzucato, in questo breve post, inquadra a grandi linee le metodologie da adottare, facendoci però riflettere che, nel caso specifico, al cosiddetto “fare” debba precedere una elaborazione intellettuale (philosophy), la quale non potrà essere disgiunta dalle eventuali future realizzazioni pratiche. Più prosaicamente, l’economista anglo-italiana ci avverte che qualora la nostra classe dirigente nazionale – in particolar modo quella territoriale – si limitasse a “innestare” presunta innovazione sugli ancora vigenti modelli economici monetaristi (dogma dell’autosufficienza del mercato, assenza di partecipazione pubblica, finanza non regolata, tolleranza verso il monopolio, estrazione di valore) il fallimento sarebbe epocale.
Ora, lasciamo agli “euforici” la propaganda, concentriamo sulla “preoccupazione”. Facciamo sì che coloro i quali saranno deputati in ogni ordine e grado ad assumersi l’onere di questa transizione siano indotti ad abbandonare lo stile retorico evocativo con cui comunemente descrivono la “inevitabile innovazione”, affinché riprendano gli antichi testi, rivedano le loro posizioni maturate in 40 anni di neoliberismo e soprattutto cessino l’abuso di quel comportamento oracolistico che raramente compendia un “fare collettivo”.
Avoiding a Climate Lockdown
Sep 22, 2020 MARIANA MAZZUCATO
The world is approaching a tipping point on climate change, when protecting the future of civilization will require dramatic interventions. Avoiding this scenario will require a green economic transformation – and thus a radical overhaul of corporate governance, finance, policy, and energy systems.
LONDRA – Con la diffusione del COVID-19 all’inizio di quest’anno, i governi hanno introdotto i cosiddetti “lockdown” per evitare che la sanità pubblica sottoposta a pressione andasse fuori controllo. Nel prossimo futuro, il mondo potrebbe dover ricorrere nuovamente ai “lockdown”, questa volta per affrontare un’emergenza climatica.
L’instabilità dei ghiacci artici, gli incendi violenti negli stati degli Stati Uniti occidentali e altrove, nonché le fuoriuscite di metano nel Mare del Nord sono tutti segnali di allarme per colpa delle quali ci stiamo avvicinando a un punto di svolta riguardo ai cambiamenti climatici, nel momento in cui saranno necessari interventi drammatici per proteggere il futuro della nostra civiltà.
Nel caso di un “lockdown climatico“, i governi limiterebbero l’uso dei veicoli privati, vieterebbero il consumo di carne rossa e imporrebbero misure estreme in materia di risparmio energetico, mentre le aziende di combustibili fossili dovrebbero smettere di perforare.
Per evitare un tale scenario, dobbiamo rivedere le nostre strutture economiche e organizzare il sistema capitalistico in modo diverso.
Molti pensano che la crisi climatica sia distinta da quelle di natura sanitaria ed economiche causate dalla pandemia. Ma le tre crisi – e le loro soluzioni – sono interconnesse.
Il COVID-19 è esso stesso una conseguenza del degrado ambientale: uno studio recente l’ha definito “la malattia dell’Antropocene”. Inoltre, il cambiamento climatico aggraverà i problemi sociali ed economici evidenziati dalla pandemia. Questi includono la diminuzione della capacità dei governi di affrontare le crisi di salute pubblica, la capacità limitata del settore privato di resistere a interruzioni economiche durature e la pervasiva disuguaglianza sociale.
Queste carenze riflettono i valori distorti alla base delle nostre priorità. Ad esempio, chiediamo il massimo dai “lavoratori essenziali” (inclusi gli operatori sanitari, i lavoratori dei supermercati e gli autisti per le consegne) pagando loro il minimo. Senza un decisa svolta, il cambiamento climatico aggraverà tali problemi.
La crisi climatica è anche una crisi di salute pubblica. Il riscaldamento globale causerà il degrado dell’acqua potabile e consentirà alle malattie respiratorie legate all’inquinamento di prosperare. Secondo alcune proiezioni, 3,5 miliardi di persone nel mondo vivranno in un caldo insopportabile entro il 2070. Affrontare questa triplice crisi richiede un ri-orientamento della governance aziendale, della finanza, della politica e dei sistemi energetici verso una trasformazione economica verde.
Per raggiungere questo obiettivo, è necessario rimuovere tre ostacoli: il sistema di business ordinato in base agli interessi dei possessori di partecipazioni finanziarie (shareholder) per sostituirlo con quello condotto a favore dei diversi e molteplici portatori d’interessi (stakeholder); i finanziamenti utilizzati in modi inadeguati e inappropriati; un governo basato su un pensiero economico obsoleto e con presupposti errati.
La governance aziendale (corporate governance) deve ora riflettere le esigenze degli stakeholder anziché i capricci degli azionisti. La costruzione di un’economia inclusiva e sostenibile dipende dalla cooperazione produttiva tra il settori pubblico e quello privato con la società civile.
Ciò significa che le aziende devono ascoltare i sindacati e i collettivi dei lavoratori, i gruppi della comunità, i rappresentanti dei consumatori e altri.
Allo stesso modo, l’intervento del governo a favore delle imprese deve riguardare in misura minore la dispensa di sussidi, di garanzie e la richiesta di salvataggi a favore di una maggiore costruzione di operazioni di partnership. Ciò significa applicare condizioni rigorose a corredo di eventuali salvataggi aziendali per garantire che il denaro dei contribuenti sia utilizzato in modo produttivo e generi valore pubblico a lungo termine, non profitti privati nel breve.
Nella crisi attuale, ad esempio, il governo francese ha condizionato i suoi salvataggi per la Renault e Air France-KLM in funzione d’impegni per la riduzione delle emissioni. Francia, Belgio, Danimarca e Polonia hanno negato gli aiuti di Stato a qualsiasi società domiciliata in un paradiso fiscale nell’elenco compilato dall’Unione Europea e hanno impedito ai grandi beneficiari di pagare dividendi o riacquistare le proprie azioni fino al 2021. Allo stesso modo, alle società statunitensi che ricevono prestiti governativi attraverso il Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security (CARES) fu proibito di utilizzare i fondi per il riacquisto di azioni.
Queste condizioni sono solo un inizio, ma non sono abbastanza pretenziose, né dal punto di vista climatico né tanto meno in termini economici. L’entità dei pacchetti d’assistenza governativa non corrisponde ai requisiti delle imprese e le condizioni non sono sempre legalmente vincolanti: ad esempio, la politica sulle emissioni, per quanto concerne Air France, si applica solo ai voli interni di corto raggio.
È necessario fare molto di più per ottenere una ripresa verde e sostenibile. Ad esempio, i governi potrebbero utilizzare le aliquote fiscali per scoraggiare le aziende dall’utilizzo di determinati materiali. Potrebbero anche introdurre garanzie di lavoro a livello aziendale o nazionale in modo che il capitale umano non venga sprecato o eroso. Ciò aiuterebbe i lavoratori più giovani e più anziani, i quali hanno subito sproporzionate riduzioni di posti di lavoro a causa della pandemia, e ridurrebbe i probabili shock economici nelle regioni svantaggiate, il cui declino industriale è causa di sofferenza.
Anche l’intera sfera della finanza deve essere rivista. Durante la crisi finanziaria globale del 2008, i governi hanno inondato i mercati di liquidità. Ma, poiché non l’hanno diretta verso buone opportunità di investimento, gran parte di quel finanziamento è finito di nuovo nel settore finanziario stesso in modo inappropriato.
La crisi attuale offre l’opportunità di sfruttare i finanziamenti in modo produttivo per guidare la crescita a lungo termine. Il finanziamento a lungo termine – dicasi paziente – è fondamentale, perché un ciclo d’investimento di 3-5 anni non corrisponde alla lunga durata di una turbina eolica (più di 25 anni), né incoraggia l’innovazione necessaria per la mobilità elettrica, lo sviluppo del capitale naturale (come per esempio i programmi di ripristino) e le infrastrutture verdi.
Alcuni governi hanno già lanciato iniziative di crescita sostenibile. La Nuova Zelanda, per allineare la spesa pubblica con obiettivi più ampi, ha sviluppato un budget basato su parametri relativi al “benessere”, piuttosto che sul PIL, mentre la Scozia ha istituito la Scottish National Investment Bank finalizzata a perseguire chiari obiettivi strategici (mission).
Oltre a guidare la finanza verso una transizione verde, dobbiamo ritenere il settore finanziario responsabile del suo impatto ambientale, che spesso si è dimostrato distruttivo. La banca centrale olandese stima che l’incidenza sulla biodiversità delle istituzioni finanziarie olandesi rappresenti una perdita di oltre 58.000 chilometri quadrati (22.394 miglia quadrate) di natura incontaminata, un’area 1,4 volte più grande dei Paesi Bassi.
Poiché i mercati non guideranno da soli una rivoluzione verde, le politiche governative dovranno indirizzarli in quella direzione.
Ciò richiederà uno stato imprenditoriale che innovi, che si assuma rischi e che investa insieme al settore privato. I responsabili politici dovrebbero quindi ridisegnare i contratti di appalto al fine di dismettere gli investimenti a basso costo da parte degli abituali fornitori e creare meccanismi che “catalizzino” l’innovazione da più attori per raggiungere gli obiettivi di pubbliche politiche green.
I governi dovrebbero anche adottare un approccio di portafoglio all’innovazione e agli investimenti. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, una politica industriale più ampia continua a sostenere la rivoluzione della tecnologia dell’informazione. Allo stesso modo, il Green Deal europeo, la strategia industriale e il Meccanismo per una appropriata Transizione (Just Transition Mechanism) lanciati di recente dalla UE stanno agendo come motore e bussola per il “Next Generation EU Recovery fund” da 750 miliardi di euro (888 miliardi di dollari).
Infine, dobbiamo riorientare il nostro sistema energetico attorno alle energie rinnovabili, l’antidoto al cambiamento climatico e la chiave per rendere le nostre economie sicure dal punto di vista energetico. Dobbiamo quindi disancorarci dagli interessi legati ai combustibili fossili e da quella temperie che premia l’immediatezza rapace (short-termism) cui affari, finanza e politica ne sono il faro. Istituzioni finanziariamente potenti come le banche e le università devono disinvestire dalle società di combustibili fossili. Fino a quando non lo faranno, prevarrà un’economia basata su quel modello.
La “finestra” per lanciare una rivoluzione climatica – e ottenere una ripresa inclusiva da COVID-19 nel processo – si sta rapidamente chiudendo. Dobbiamo muoverci rapidamente se vogliamo trasformare il futuro del lavoro, dei trasporti e dell’uso dell’energia e rendere il concetto di “vita verde buona” una realtà per le generazioni a venire. In un modo o nell’altro, il cambiamento radicale è inevitabile; il nostro compito è quello di assicurarci che ciò che otteniamo sia il cambiamento desiderato, avendo ancora la possibilità di scegliere.
Mariana Mazzucato, Professor in the Economics of Innovation and Public Value at University College London and Founding Director of the UCL Institute for Innovation and Public Purpose, is the author of The Value of Everything: Making and Taking in the Global Economy and The Entrepreneurial State: Debunking Public vs. Private Sector Myths.