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Lucrezia Reichlin

Corretta, come sempre, l’analisi della Reichlin: non è la mutualizzazione del debito, però potrebbe esserne il primo passo, ma non è detto che lo sia. Forse, è altrettanto illusorio supporre che la Germania abbia rotto il ghiaccio mostrandosi finalmente “solidale”. La sua presunta “solidarietà” porta con sé un lato oscuro, ove si allineano stati d’animo e modi d’agire coerenti. Diremmo, in particolar modo, funzionali all’attuale situazione dell’Eurozona post covid-19: pragmatismo e timore. Proprio cosi, la preoccupazione da parte dell’élite politica ed economica tedesca che il doppio shock domanda-offerta che ha colpito i paesi mediterranei (Francia inclusa) a causa della pandemia “contagi” il loro inossidabile surplus commerciale. Più prosaicamente: sarà pur vero che questi “sudisti” sono un po’ indolenti e spendaccioni, tuttavia sono bravi fornitori di componenti per la nostra industria manifatturiera, nonché ottimi consumatori di nostri prodotti.

Il tutto – si bisbiglia a Berlino – è aggravato dal fatto che la “carta assorbente” cinese sembra non più funzionare e dal quel narciso imprevedibile di Trump non ci si può aspettare altro che “noie” commerciali.

Vero, ciò che afferma l’autrice del post, siamo ancora ben lontani dal cosiddetto “Hamiltonian moment”, il cui nesso riguarda la lunga battaglia che sostenne l’allora ministro del tesoro americano Alexander Hamilton volta a consolidare e far convergere tutto il debito interno ed estero contratto dagli iniziali tredici stati in un unico debito federale. Non fu un passaggio senza invettive, rimostranze e perfino dichiarate minacce di secessione da parte alcuni stati del sud per nulla indebitati come la South Carolina in confronto ai loro confratelli del nord, Massachusetts e Maine, che al tempo apparivano come se avessero pescato per anni denaro da un pozzo senza fondo. Ciononostante, nel 1790 la proposta di Hamilton fu adottata.

One Giant Leap for Europe?

May 26, 2020 LUCREZIA REICHLIN

The Franco-German proposal for a COVID-19 recovery fund is not quite the “Hamiltonian moment” that some have claimed. But, by reshaping the debate on risk mutualization and the benefits of transfers, it could set the stage for one.

LONDRA – Il Recovery Fund COVID-19 da € 500 miliardi ($ 547 miliardi) proposto dal cancelliere tedesco Angela Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron è stato salutato – per i suoi buoni motivi – come una svolta per l’Unione europea. Al di là delle sue implicazioni economiche concrete, la proposta ribadisce un impegno di solidarietà da parte delle due maggiori economie UE, gettando così le basi per un autentico passo verso l’unione fiscale.

La proposta di base è lineare. La UE prenderebbe a prestito sul mercato a scadenze lunghe con una garanzia implicita fornita dal bilancio comune. Quindi incanalerebbe i fondi presi in prestito verso le regioni e i settori più colpiti dalla crisi COVID-19.

C’è ancora molto da negoziare, ad esempio dove mettere a disposizione i prestiti (loan) rispetto alle sovvenzioni (grant), che tipo di condizionalità applicare ai progetti e in che misura aumentare la capacità di bilancio aggregata. L’opposizione dei cosiddetti Frugal Four – Austria, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia – richiederà senza dubbio alcuni compromessi.

Tuttavia, lasciando da parte queste considerazioni e, mentre aspettiamo entro questa settimana la proposta della Commissione Europea, è importante considerare le potenziali implicazioni a lungo termine per la UE qualora venisse implementata una versione della proposta franco-tedesca.

Nello specifico, come la mettiamo per quanto riguarda la capacità fiscale europea e sul coordinamento delle politiche monetarie e fiscali nella zona euro? È un passo decisivo in quella direzione: un passo che consegue la dichiarazione del 2012 del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, secondo cui la BCE è disponibile a fare “qualunque cosa serva” pur di salvare l’euro? O è una risposta pragmatica alla crisi odierna, la quale definisce i limiti della condivisione del rischio che nelle condizioni attuali è possibile ottenere?

La proposta intaglia molteplici confini critici, dall’assunzione del debito a livello europeo ai trasferimenti in base alle necessità, piuttosto che [la misura] della contribuzione al bilancio UE, nella tipologia di sovvenzioni in conto capitale (grant) anziché prestiti (loan). In linea di principio, avrebbe finalmente raggiunto l’obiettivo tanto propagandato della “solidarietà”.

Inoltre, sebbene non sia un obiettivo dichiarato, l’attuazione della proposta comporterebbe in definitiva una certa capacità fiscale della UE con lo scopo di stabilizzarla. L’erogazione di fondi per progetti in linea con le priorità della UE, come la sostenibilità e la digitalizzazione, affermerebbe il principio di un obiettivo comune al suo interno, galvanizzando, benché sulla carta, il sostegno popolare per una maggiore integrazione.

Una recente intervista con il ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz suggerisce un’agenda ancora più ampia per il futuro, compresa la creazione di una capacità fiscale da parte della UE e un suo certo grado di armonizzazione. Questa non è ancora una federazione fiscale, ma è un chiaro indicatore che ci stiamo muovendo in quella direzione. [Si tratterebbe] del primo segnale del genere dopo la relazione dei cinque presidenti sul completamento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa nel 2015. (di tale proposta non se ne fece nulla).

Fondamentalmente, questa non è solo un’agenda sostenuta dai tecnocrati presenti nelle istituzioni della UE, ma è approvata dai poteri politici di Francia e Germania. Come nel passo di Draghi riferito al “qualsiasi cosa serva”, la chiave del progresso è derivante dal sostegno politico tedesco.

Nel 2012, l’ausilio della Germania giunse corredato da condizioni, tra cui la creazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (per garantire che l’intervento della BCE nel mercato delle obbligazioni sovrane si basasse sul principio di condizionalità) e un’unione bancaria (che fungesse come strumento di mitigazione del rischio). Il sostegno della Germania al Recovery Fund COVID-19 si basa su un altro grande patto: i progetti finanziati dalla UE devono essere coerenti con gli obiettivi condivisi e monitorati collettivamente.

Quindi, l’iniziativa franco-tedesca suggerisce un percorso verso una capacità fiscale condivisa? Non necessariamente.

Gli obiettivi dichiarati del Recovery Fund non comprendono la gestione della domanda. Il fondo ha come obiettivo la UE, non l’Eurozona, e pertanto non è concepito per affrontare le sfide che sorgono dall’avere una banca centrale comune senza un’autorità fiscale corrispondente.

Tali sfide furono messe a nudo durante la crisi dell’Eurozona del 2011-12, quando i responsabili politici dell’Eurozona dovettero affrontare la “fuga verso la sicurezza” in direzione del nord Europa, che causò grandi differenze nei costi dei finanziamenti pubblici e un’interruzione della trasmissione della politica monetaria. Ciò, mise pressioni irresistibili sulla BCE tali da introdurre politiche con una dimensione quasi fiscale, provocando accuse secondo cui la BCE stesse andando oltre il suo mandato.

Per far fronte a questi problemi, la zona euro ha bisogno di uno strumento di bilancio che funga da meccanismo assicurativo nell’eventualità di crisi gravi (stabilizzatori fiscali automatici) e che sostenga il coordinamento di politica monetaria e fiscale, il quale richiede un’efficace gestione della domanda, soprattutto quando i tassi di interesse sono vicini allo zero o negativi. Il proposto Recovery Fund COVID-19 potrebbe raggiungere tale scopo.

Mettere in parallelo le capacità istituzionali monetarie e fiscali della zona euro non sarà un compito facile. Richiederà un alto grado di condivisione del rischio e la cessione di una certa sovranità nazionale. Quindi, molto probabilmente, ciò richiederebbe una modifica dei trattati. La decisione di non affrontare questo problema nella proposta franco-tedesca è stata pragmatica. Per quanto ambiziosi siano i suoi obiettivi, sono più facili da digerire politicamente rispetto alle riforme dell’architettura dell’eurozona volte a sostenere la stabilità dell’euro.

Tuttavia, il Recovery Fund proposto potrebbe fare in modo che si guadagni tempo agendo con lo scopo di affrontare queste sfide a più lungo termine. Nonostante non sia stato progettato per farlo, il fondo potrebbe creare abbastanza capacità fiscale della UE per allentare la pressione sulla BCE. E potrebbe consentire trasferimenti temporanei sufficientemente ampi per far fronte nel breve periodo agli effetti asimmetrici della crisi del COVID-19.

Ma se la recessione persiste, i rapporti debito/PIL inevitabilmente aumenteranno, sottolineando, ancora una volta, la necessità di una riforma della zona euro. Il contributo maggiormente incisivo del fondo potrebbe essere quello di spostare sul terreno del dibattito, la rimozione – o, almeno, il ridisegno – di alcuni confini critici che circondano la mutualizzazione dei rischi e i benefici dei trasferimenti.

Un’altra crisi ha fatto compiere un altro passo avanti per il progetto federalista europeo. Ma questo non è proprio il “momento hamiltoniano” secondo il parere di taluni. Prima o poi, saranno necessarie le revisioni dei trattati UE per costruire un quadro attraverso cui si realizzi un efficace coordinamento delle politiche monetarie e fiscali, preservando nel contempo l’indipendenza della BCE.

La recente sentenza della Corte costituzionale federale tedesca, secondo cui il governo e il legislatore nazionale violarono la costituzione non avendo monitorato adeguatamente la BCE, riporta alla memoria che sarà difficile realizzare progressi senza rivedere le basi giuridiche e istituzionali della UE. E le condizioni politiche per quel passo ancora non esistono.

Lucrezia Reichlin, a former director of research at the European Central Bank, is Professor of Economics at the London Business School.

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Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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