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Stiglitz 7

Donald Trump nel recente discorso a Davos ha affermato che grazie alla sua presidenza gli USA stanno godendo di un invidiabile successo economico. C’è chi invece non ha dubbi sul fatto che si tratterebbe proprio del contrario. Secondo voi quale dei due dimostrerebbe una maggior autorevolezza in questa contesa? Scontata, è la risposta per noi.

The Truth About the Trump Economy

Jan 17, 2020 JOSEPH E. STIGLITZ

It is becoming conventional wisdom that US President Donald Trump will be tough to beat in November, because, whatever reservations about him voters may have, he has been good for the American economy. Nothing could be further from the truth.

NEW YORK – Mentre le élite del mondo degli affari si recano a Davos per il loro incontro annuale, quella gente dovrebbe porsi una semplice domanda: costoro hanno superato la loro infatuazione per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump?

Due anni fa, pochi leader aziendali erano preoccupati per i cambiamenti climatici, o turbati dalla misoginia e dal bigottismo di Trump. Tanto che, la maggior parte di loro celebrava le riduzioni fiscali adottate dal presidente per i miliardari e le società e non vedeva l’ora di veder compiere i suoi sforzi per liberalizzare l’economia. Ciò avrebbe consentito alle imprese d’inquinare l’aria in misura maggiore, di far dipendere più americani dagli oppioidi, d’invogliare più bambini a mangiare gli alimenti che favoriscono il diabete e d’impegnarsi in quel tipo d’imbrogli finanziari che causarono la crisi del 2008.

Oggi, molti dirigenti aziendali stanno ancora parlando della continua crescita del PIL e dei prezzi record delle azioni. Ma né il PIL né il Dow sono una buona misura della performance economica. Né questa ci dice cosa stia succedendo agli standard di vita dei comuni cittadini o qualcosa sulla sostenibilità. In effetti, la performance economica degli Stati Uniti negli ultimi quattro anni ci fornisce una prova, l’atto d’accusa di non fare affidamento su questi indicatori.

Per avere una buona lettura della salute economica di un paese, si inizia guardando lo stato di salute dei suoi cittadini. Se sono felici e prosperi, saranno sani e vivranno più a lungo. Tra i paesi sviluppati, l’America si trova in fondo alla lista rispetto a questa considerazione. L’aspettativa di vita degli Stati Uniti, già relativamente bassa, è diminuita in ciascuno dei primi due anni di presidenza di Trump e, nel 2017, la mortalità nella mezza età ha raggiunto il suo tasso più alto dalla Seconda Guerra Mondiale. Questa non è una sorpresa, perché nessun presidente ha lavorato così tanto per assicurarsi che più americani non abbiano l’assicurazione sanitaria. Milioni di persone hanno perso la loro copertura e il tasso dei non assicurati è aumentato, in soli due anni, dal 10,9% al 13,7%.

Uno dei motivi per il declino dell’aspettativa di vita in America è ciò che Anne Case e l’economista premio Nobel Angus Deaton lo appellano come “morti per disperazione”, causate da alcol, overdose di droghe e suicidio. Nel 2017 (l’anno più recente per il quale sono disponibili dati attendibili), tali decessi si sono attestati a quasi quattro volte il loro livello del 1999.

L’unica volta in cui ho visto qualcosa di simile a questi declino della salute – al netto della guerra o delle epidemie – fu quando ricoprii l’incarico di economista capo della Banca mondiale e mi resi conto che i dati sulla mortalità e sulla morbilità confermavano ciò che i nostri indicatori economici suggerivano sullo stato misero della economia russa Post-Sovietica.

Trump può essere un buon presidente per coloro che si situano nell’alto dell’1% – e in particolare per quelli dello 0,1% – ma non è stato così buono per tutti gli altri. Se pienamente attuato, il taglio delle imposte del 2017 comporterà aumenti delle tasse per la maggior parte delle famiglie nel secondo, terzo e quarto quintile di reddito.

Considerati i tagli alle tasse che avvantaggiano in modo sproporzionato gli ultraricchi e le società, non dovrebbe sorprendere che non vi siano stati cambiamenti significativi nel reddito disponibile delle famiglie mediane negli Stati Uniti tra il 2017 e il 2018 (di nuovo, l’anno più recente con dati attendibili). La quota maggioritaria dell’aumento del PIL sta beneficiando quelli posizionati ai vertici. Le entrate reali settimanali mediane sono solo del 2,6% superiori al loro livello da quando Trump è entrato in carica.

E questi aumenti non hanno compensato lunghi periodi di stagnazione salariale. Ad esempio, il salario mediano di un lavoratore maschio a tempo pieno (e quelli con il lavoro a tempo pieno sono i più fortunati) è ancora più del 3% inferiore rispetto a quello di 40 anni fa. Né sono stati fatti molti progressi nella riduzione delle disparità razziali: nel terzo trimestre del 2019, i guadagni settimanali mediani per gli uomini di colore che lavorano a tempo pieno erano inferiori in misura di tre quarti del livello degli uomini bianchi.

A peggiorare le cose, la crescita che si è verificata non è sostenibile dal punto di vista ambientale – e ancor meno per colpa dell’introduzione dei regolamenti da parte dell’amministrazione Trump che hanno superato rigorose analisi costi-benefici. L’aria sarà meno respirabile, l’acqua meno potabile e il pianeta più soggetto ai cambiamenti climatici. In effetti, le perdite legate ai cambiamenti climatici hanno già raggiunto nuovi massimi negli Stati Uniti, che hanno subito più danni alla proprietà rispetto a qualsiasi altro paese, raggiungendo circa l’1,5% del PIL nel 2017.

I tagli alle tasse avrebbero dovuto stimolare una nuova ondata di investimenti. Invece, hanno innescato un record storico di ri-acquisti di azioni (buyback) – circa $ 800 miliardi nel 2018 – da parte di alcune delle società più redditizie d’America, e hanno portato a registrare un deficit in tempo di pace (quasi $ 1 trilione nell’anno fiscale 2019) in un paese presumibilmente vicino alla piena occupazione. Perfino a causa d’insufficienti investimenti, gli Stati Uniti hanno dovuto indebitarsi massicciamente all’estero: i dati più recenti mostrano prestiti esteri a quasi $ 500 miliardi all’anno, con un aumento di oltre il 10% nella posizione di indebitamento netto americano in un solo anno.

Allo stesso modo, le guerre commerciali di Trump, nonostante il loro baccano e il suo accanimento, non hanno ridotto il disavanzo commerciale degli Stati Uniti, che era un quarto in più nel 2018 rispetto al 2016. Il disavanzo del saldo commerciale del 2018 è stato il più grande mai registrato. Anche lo stesso con la Cina è aumentato di quasi un quarto dal 2016. Gli Stati Uniti ottennero un nuovo accordo commerciale nordamericano (North American Trade Agreement), senza le clausole relative all’accordo di investimento che la Business Roundtable [Ass. Nazionale Imprenditori] voleva, senza le disposizioni che aumentassero i prezzi dei farmaci che le compagnie farmaceutiche desideravano, e con migliori norme in materia di lavoro e di ambiente. Trump, un autoproclamato produttore di accordi, ha perso quasi su tutti i fronti nelle sue trattative con i democratici del Congresso, i quali  apportarono un lieve miglioramento degli accordi commerciali.

E nonostante le presunte promesse di Trump di riportare il lavoro manifatturiero negli Stati Uniti, l’aumento di quella tipologia d’occupazione è ancora inferiore a quello che era sotto il suo predecessore, Barack Obama, una volta iniziata la ripresa post-2008, ed è ancora nettamente inferiore al suo livello pre-crisi. Anche il tasso di disoccupazione, al minimo di 50 anni, maschera la fragilità economica. Il tasso d’occupazione di uomini e donne in età lavorativa, benché in crescita, è aumentato meno che durante la ripresa di Obama ed è ancora significativamente inferiore a quello di altri paesi sviluppati. Anche il ritmo afferente alla creazione di posti di lavoro è notevolmente più lento di quanto non fosse sotto Obama.

Ancora una volta, il basso tasso di occupazione non è una sorpresa, anche perché le persone non in salute non possono lavorare. Inoltre, le persone con disabilità, in carcere – il tasso di detenzione negli Stati Uniti è aumentato di oltre sei volte dal 1970, con circa due milioni di persone attualmente dietro le sbarre – o così scoraggiate da non cercare attivamente lavoro non sono considerate “disoccupate”. Ma, ovviamente, non sono occupate. Non c’è da sorprendersi che in un paese ove non si fornisce assistenza all’infanzia a prezzi accessibili, ove non si garantisce un congedo familiare si sarebbe verificato come conseguenza un impiego femminile più basso – corretto rispetto alla sua popolazione, inferiore di oltre dieci punti percentuali – rispetto ad altri paesi sviluppati.

Anche a giudicare dal PIL, l’economia di Trump boccheggia. La crescita dell’ultimo trimestre è stata solo del 2,1%, molto inferiore al 4%, 5% o addirittura al 6% che Trump promise di mantenere, e persino inferiore alla media del 2,4% del secondo mandato di Obama. Questa è una performance notevolmente scadente considerando lo stimolo fornito dal deficit di $ 1 trilione e dai tassi di interesse ultra bassi.

Questo non è un incidente o solo una sfortuna: il marchio Trump è incertezza, volatilità e prevaricazione, mentre la fiducia, la stabilità e l’affidabilità sono essenziali per la crescita. Lo stesso vale per l’uguaglianza secondo il Fondo monetario internazionale.

Quindi, Trump merita voti non soddisfacenti non solo riguardo ai compiti essenziali su come sostenere la democrazia e preservare il nostro pianeta. Non dovrebbe neanche ottenere un giudizio sufficiente per ciò che concerne l’economia.

Joseph E. Stiglitz, a Nobel laureate in economics, is University Professor at Columbia University and Chief Economist at the Roosevelt Institute. His most recent book is People, Power, and Profits: Progressive Capitalism for an Age of Discontent.

https://www.project-syndicate.org/commentary/grim-truth-about-trump-economy-by-joseph-e-stiglitz-2020-01?utm_source=Project+Syndicate+Newsletter&utm_campaign=4ed2e87a34-sunday_newsletter_12_01_2020_COPY_01&utm_medium=email&utm_term=0_73bad5b7d8-4ed2e87a34-105818865&mc_cid=4ed2e87a34&mc_eid=a179e7bf35

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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