La sempre più consistente crescita del movimento progressista anglo-americano ci obbliga a volgere lo sguardo a occidente, qualora desiderassimo anche qui da noi nel regno dell’euro mettere fine all’attuale egemonia neoliberista
Molti si stupiscono del nostro particolare interesse per il corrente dibattito politico presente nell’anglosfera, principalmente per ciò che sta accadendo negli USA. Parimenti si chiedono il motivo per il quale dedichiamo poca attenzione nel seguire il noioso chiacchiericcio nazionale. Discussioni che, comunque, già trovano ampio spazio, a seconda dei toni e delle strumentalizzazioni di parte, su qualsiasi piattaforma social a noi conosciuta. Le ragioni per tale scelta sono fondamentalmente tre e tutte correlate tra loro:
- l’attuale interdipendenza politica ed economica generata dal fenomeno della globalizzazione, attraverso cui gli Usa ne detengono il potere egemonico (la fissazione di regole di mercato, orientamenti geostrategici, strutture di potere operanti su vasta scala) di fatto accentua sensibilmente ciò che storicamente fu definito in passato come effetto “alone”, più propriamente collegato all’influenza che può esercitare un nuovo corso della politica americana sul rimanente perimetro occidentale (Great Society 64);
- le attuali relazioni di mercato sono condizionate imperativamente dal complesso di meccanismi, i cui ingranaggi muovono il motore della “grande finanza” di Wall Street, che nel corso del tempo hanno profilato in modo più o meno compiuto una nuova forma di governo: la “Post-democracy”;
- il vigente fondamentalismo di mercato (Washington Consenso), nato nell’anglosfera nei primi anni 80, pur da tempo imperante, sta generando in misura maggiore anticorpi che cominciano a essere efficaci e numerosi in quella area del mondo. Solo da laggiù si possono assorbire ed emulare i principi che puntellano una proposta di drastica alternativa al lessico economico corrente.
La complessità degli attuali strumenti finanziari con le loro ampie espansioni tecniche, gli astrusi linguaggi specialistici, gli acronimi incomprensibili, è confinata all’interno di una ristretta setta d’iniziati, così come accadde per gli alchemici medioevali, che perseguendo la ricerca della “pietra filosofale”, si illusero di generare oro dal nulla.
Finanza “algoritmica” e potere politico conservatore hanno stretto nel corso di questi ultimi quarant’anni un connubio ferigno riappropriandosi gran parte della ricchezza ceduta e distribuita alla forza lavoro nei primo quarto di secolo successivo al secondo conflitto bellico. Sennonché, questo patto comincia a rivelarsi faustiano, poiché con l’andare del tempo sta letteralmente capovolgendo quegli assunti che per tutto il secolo scorso furono considerati come le regole auree della stessa disciplina finanziaria (price discovery e fair value). Attualmente, si è giunti al punto che per un quarto (24,6%) delle obbligazioni (corporate, sovrane e cartolarizzate), nello specifico un totale di 54,6 trilioni di dollari emesse sui mercati internazionali, il prestatore, anziché ricavarne un interesse in rapporto al tipo di rischio e di duration collegata al titolo in suo possesso, debba pagare un plus (una sorta di costo) al debitore. [1]
Per circa due decenni a partire dal terzo millennio, una sempre più consistente pattuglia di esperti (economisti, politologi, saggisti) anche di valore, laureati Nobel, hanno urlato inutilmente alla luna mettendo in guardia l’establishment che il meccanismo era talmente truccato che inevitabilmente prima o poi si sarebbe risolto in un epilogo drammatico. Non bastò nemmeno la crisi del 2008 a far cessare questo patto scellerato. Così come fu sprezzante la risposta del potere economico-finanziario attualmente in cattedra nei confronti delle voci ammonitrici (additate come socialiste, populiste, complottiste, disfattiste, ecc.) allo stesso tempo montava la furia popolare che si tradusse principalmente nella recrudescenza di movimenti insorgenti, tendenzialmente regressivi, ispirati al nativismo se non apertamente volti a riabilitare ideologie, comportamenti e logiche politiche tipiche degli anni 20 del secolo scorso. Ciò avvenne anche con la complicità colpevole, specificatamente in Europa, delle forze d’orientamento liberal-democratiche e socialdemocratiche.
Solo nella sfera anglosassone la sinistra si dimostrò resistente alla pressione normalizzante da parte della pervasiva “ideologia del fondamentalismo di mercato”. Dalla reazione istintiva e populista giovanile di Occupy Wall Street del 2011, nata per denunciare gli abusi del capitalismo finanziario, l’intellighenzia progressista anglo-americana è passata, nell’arco di poco meno di un decennio, da una “vaporosa” critica a un’azione politica diretta nei confronti del sistema, mettendo in campo proposte alternative e logiche di disciplina economica nettamente divergenti rispetto al pensiero corrente.
Oggi, i labouristi inglesi (Corbyn e Mc Donnell) e una parte sempre più consistente dei Democrats americani (Sanders e Warren) sfidano sul terreno del consenso politico la multiforme platea di oppositori. Questi ancora raggruppati, chi più chi meno, sotto il paradigma neoliberista. Solo traendo spunto dalle loro architetture riformiste saremo in grado di ricostruire un pensiero socialdemocratico – o se preferite “progressista” – confacente con gli umori del tempo.
I prossimi sedici mesi che ci separano da oggi alle elezioni presidenziali americani (3 Novembre 2020, Election Day) saranno fondamentali per l’esito del confronto. Già nell’autunno di quest’anno potremmo trarre un indizio sulla reale consistenza delle truppe progressiste Democrats in ragione dei primi test elettorali in coincidenza con le primarie americane (Iowa). E’ assai probabile, secondo l’opinione di molti analisti politici britannici, che entro il primo semestre del prossimo anno in Gran Bretagna, nell’impossibilità ricucire lo strappo all’interno della maggioranza Tory, il parlamento venga sciolto e di conseguenza indetta la General Election[2]. Il cui risultato nel bene o nel male contribuirà ad alimentare le speranze di un cambiamento, o diversamente a raggelarle.
Non ci sottrarremo dal compito di unirci in questa lotta, e lo faremo nel corso di questi mesi che ci separano al confronto finale del Novembre 2020 mediante la nostra capacità di mettere a disposizione testi, documenti, interviste, che illustrino il tenore delle nuove proposte, auspicando che con ciò tale contributo possa accelerare qui da noi quel processo di revisione teorica come premessa alla ricomposizione politica entro quei confini, storicamente dati, che delimitano lo spazio valoriale da cui normalmente si riconosce una formazione partitica d’orientamento socialdemocratica.
Nel corso di questi primi tre mesi d’attività abbiamo già postato parte dei contenuti traccianti alcune linee guida, sia per quanto concerne la revisione del pensiero macroeconomico (Joseph E. Stiglitz, The Progressive Capitalism, https://ilponte.home.blog/2019/05/11/joseph-e-stiglitz-the-progressive-capitalism/ ), sia riguardo alle singole proposte di modifica del rapporto, attualmente asimmetrico, tra capitale e i diritti dei consumatori (Elizabeth Warren, Il Monopolio dei Giganti Tecnologici https://ilponte.home.blog/2019/03/16/nytimes-usa-elizabeth-warren-propone-di-dividere-le-grandi-aziende-tecnologiche-come-facebook-e-amazon/ . Prossimamente parleremo del movimento guidato dalle Unions americane per l’aumento del salario minimo federale (da 7.25 $ a 15 $) entro il 2024 (Minimun Wage), già approvato dal Congresso USA e sottoposto nei prossimi mesi all’attenzione del Senato.
Non tralasceremo il movimento che sostiene la “The New Left Economics”[3] (La nuova economia di sinistra) in Inghilterra, di cui il Labour Party con le sue affiliate e ben strutturate piattaforme web è il promotore. Ove economisti eterodossi del calibro di Michael Jacobs, Mariana Mazzucato, Grace Bakeley, James Meadway ne sono i principali ispiratori. Salteremo ancora al di là dell’Atlantico per documentare la denuncia da parte di Elizabeth Warren (attualmente candidata Democrats, Primarie Presidenziali) nei confronti di alcuni santuari intorno ai quali ruota il volano dell’attuale finanza speculativa (Private Equity[4] e la famosa regola 10b-18, il Buy Back, definita a suo tempo dal The Economist “la cocaina” della finanza”, da noi già trattata nel commento critico della senatrice Democrats Tammy Baldwin in https://ilponte.home.blog/2019/04/30/loriginaria-fonte-della-disuguaglianza-post-moderna-il-buyback-lacquisto-di-azioni-proprie/
Vi aggiorneremo in merito al programma politico del Sen. Bernie Sanders (anch’egli candidato Democrats, Primarie Presidenziali) per l’introduzione di un sistema di copertura sanitaria universale (Medicare for All) negli USA insieme a un progetto di finanziamento pubblico che permetta a tutti gli studenti americani, indipendente dalla classe d’appartenenza, di poter godere di un sostegno governativo per l’accesso a tutti i college del paese (Tuition fees) e con esso e la (Reduction Debt Loan) della Sen. Elizabeth Warren (l’eliminazione del pesante debito accumulato dagli studenti americani per usufruire di un insegnamento universitario).
Daremo spazio ai vari disegni che compendiano la messa in atto di una “Green Revolution”, questa abbinata al “The New Approach to Trade”, in opposizione alla guerra commerciale scatenata da Donald Trump.
Mentre negli Stati Uniti cresce il tentativo, accompagnato da un montante consenso popolare, da parte delle forze progressiste di proporre un’agenda riformista verso l’istituzione di un welfare europeo, che salvi il declino della sua middle-class, la massa d’urto da essa creata non potrà lasciare indenne l’intera costruzione del corrente fondamentalismo di mercato e contemporaneamente le stesse fondazioni che reggono la sua architettura finanziaria internazionale.
Con una UE prigioniera dei suoi veti incrociati, irrilevante sotto il profilo geo-strategico, affossata da una moneta comune deflattiva, distratta dalla ferita della Brexit, sarebbe quanto mai opportuno che si cominciasse a tener conto dell’effetto di rinnovamento e di radicalismo democratico proveniente dal mondo anglosassone, che si studiasse in modo più approfondito il suo contenuto valoriale e che da esso si traesse spunto qualora desiderassimo di voler cambiare l’attuale condizione di diseguaglianza strutturale in cui gran parte del mondo occidentale è precipitato.
[1] https://it.businessinsider.com/money-for-nothing-cioe-il-mondo-alla-rovescia-gli-investitori-pagano-per-detenere-debito-anche-delle-aziende-e-la-bolla-monta/?fbclid=IwAR2DbX9HDIUdphf-7mO5uHAQ5aCmVohAQOlH4Mo2lci3HYm-w-eN2D6sctE
[2] https://www.economist.com/leaders/2019/07/27/to-stop-no-deal-tory-mps-must-be-ready-to-bring-down-boris-johnson
[3] https://www.theguardian.com/news/2019/jun/25/the-new-left-economics-how-a-network-of-thinkers-is-transforming-capitalism?utm_source=%23NightReview&utm_campaign=78b729300f-28-06-19&utm_medium=email&utm_term=0_88ab791e01-78b729300f-219508065&fbclid=IwAR31EHAIBbYQyXvI8a83iu2_1pm8gQErYr6a9MiDuOvISG_NI-ddvCYytBY
[4] https://medium.com/@teamwarren/end-wall-streets-stranglehold-on-our-economy-70cf038bac76