Nouriel Roubini
Per tutto il 2006 e l’inizio del 2007 Nouriel Roubini, un personaggio non in cerca d’autore, bensì, già allora, uno dei massimi esperti in finanza internazionale “ululò” da lupo solitario contro il “keynesismo privato” promosso dall’amministrazione Bush, la cui tesi fondante poggiò sulla strampalata idea “che tutti gli americani, ma proprio tutti, potessero diventare proprietari di una abitazione”, mediante l’esclusivo strumento del finanziamento privato (subprime). Sappiamo come andò a finire: il crollo di Lehman Brothers e la drammatica recessione che ne seguì.
Oggi, non si trova un titolo di giornale che si discosti dall’entusiasmo nei confronti delle decisioni di politica monetaria annunciate da Draghi. Roubinì è molto cauto e assai più scettico sulla facoltà che in questa fase segnata dal precedente crollo, le Banche Centrali possano svolgere pienamente quel compito di servire da prestatore di ultima istanza, così come fecero nel 2008/11. La possibilità che due effetti contemporanei – l’uno risultante da decisioni politiche (guerre commerciali, applicazione di dazi); l’altro derivato dalle nuove politiche monetarie espansive – creino un effetto contraddittorio sui tassi reali, vanificando la fattibilità del secondo e causando la conseguente rinascita delle tensioni inflattive negli USA, appaiono a Roubini per nulla irrealistiche.
Posizione scomoda quella di Nouriel Roubini. Se è vero che la capacità di vedere la realtà “nuda e cruda”, al di là delle diffuse manipolazioni, per un esperto nel campo finanziario è da considerarsi un dono, di contro è altrettanto vero che per lo stesso il profetizzare disastri gli affibbierebbe la patente di uccellaccio del malaugurio. Tiresia o Cassandra?
The Growing Risk of a 2020 Recession and Crisis
Jun 14, 2019 NOURIEL ROUBINI
Across the advanced economies, monetary and fiscal policymakers lack the tools needed to respond to another major downturn and financial crisis. Worse, while the world no longer needs to worry about a hawkish US Federal Reserve strangling growth, it now has an even bigger problem on its hands.
NEW YORK – La scorsa estate, il mio collega Brunello Rosa ed io abbiamo identificato dieci potenziali rischi al ribasso che potrebbero scatenare una recessione negli Stati Uniti e nel mondo nel 2020. Nove di questi sono ancora in gioco oggi.
Molti di questi coinvolgono gli Stati Uniti. Le guerre commerciali con la Cina e altri paesi, insieme alle restrizioni sull’immigrazione, agli investimenti esteri diretti e ai trasferimenti di tecnologia, potrebbero avere profonde implicazioni per le catene di approvvigionamento globali (global supply chains), aumentando la minaccia di stagflazione (rallentamento della crescita parallelamente all’aumento dell’inflazione). E il rischio di un cedimento della crescita negli Stati Uniti è diventato più acuto ora che lo stimolo della legislazione fiscale 2017 ha fatto il suo corso.
Nel frattempo, i mercati azionari statunitensi sono caratterizzati da inconsistenti ed eccessive bolle (frothy) rispetto al nostri precedenti commenti. E ci sono ulteriori rischi associati all’aumento di nuove forme di debito, anche in molti mercati emergenti, dove una gran parte di questo è denominato in valuta estera.
Con la capacità delle banche centrali di servire da prestatori di ultima istanza sempre più limitate, i mercati finanziari illiquidi sono vulnerabili al “crash flash” (cadute a candela) e altre interruzioni.
Una di queste potrebbe venire dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che potrebbe essere tentato di creare una crisi di politica estera così da distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni (wag the dog) con un paese come l’Iran. Ciò potrebbe rafforzare i sondaggi favorevoli alla sua persona, ma potrebbe anche innescare uno shock petrolifero.
Al di là degli Stati Uniti, la fragilità della crescita nella Cina oppressa dal debito e in alcuni altri mercati emergenti rimane una preoccupazione, così come sono i rischi di natura economica, politica, finanziaria in Europa. Peggio ancora, in tutte le economie avanzate, gli strumenti di strategia politica per rispondere a una crisi rimangono limitati. Gli interventi monetari e fiscali e i sostegni del settore privato impiegati dopo la crisi finanziaria del 2008, oggi semplicemente non possono essere utilizzati nello stesso modo.
Il decimo fattore che abbiamo considerato era la politica dei tassi d’interesse della Federal Reserve statunitense. Dopo aver aumentato i tassi in risposta allo stimolo di bilancio prociclico dell’amministrazione Trump, la Fed ha invertito la rotta a gennaio. In prospettiva, la Fed e le altre principali banche centrali hanno maggiori probabilità di tagliare i tassi per gestire i vari shock nell’economia globale.
Mentre guerre commerciali e potenziali picchi di petrolio costituiscono un rischio dal lato dell’offerta, minacciano anche la domanda aggregata e quindi la crescita dei consumi. La cui conseguenza si avvertirà nella riduzione del reddito disponibile a causa dell’aumento delle tariffe e del prezzo del carburante. Con tanta incertezza, le aziende probabilmente opteranno per tagliare la spesa in conto capitale e gli investimenti.
In queste condizioni, uno shock abbastanza grave potrebbe portare a una recessione globale, anche se le banche centrali reagissero rapidamente. Dopo tutto, nel 2007-2009, la Fed e le altre banche centrali risposero in modo aggressivo agli shock che scatenarono la crisi finanziaria globale, ma non evitarono la “Grande recessione”. Oggi la Fed sta iniziando [a farlo] con un tasso di riferimento di 2,25 – 2,5%, rispetto al 5,25% del settembre 2007.
In Europa e in Giappone, le banche centrali sono già in territorio a tasso negativo e dovranno affrontare limiti su quanto ancora al di sotto del tasso zero possono andare. E con bilanci gonfiati dai successivi cicli di allentamento quantitativo (QE), le banche centrali si troverebbero di fronte a vincoli simili se dovessero tornare agli acquisti di beni su larga scala.
Dal punto di vista fiscale, le economie più avanzate presentano oggi un deficit ancora più elevato e un debito pubblico maggiore rispetto a prima della crisi finanziaria globale, lasciando poco spazio alla spesa per gli stimoli. Come sostenevamo Rosa e io l’anno scorso, “i salvataggi del settore finanziario saranno intollerabili in paesi con movimenti populisti in ascesa e governi quasi insolventi“.
Tra i rischi che potrebbero scatenare una recessione nel 2020, il commercio sino-americano e la guerra tecnologica meritano un’attenzione particolare. Il conflitto potrebbe degenerare ulteriormente in diversi modi. L’amministrazione Trump potrebbe decidere di estendere le tariffe ai $ 300 miliardi di esportazioni cinesi non ancora colpite. Proibire a Huawei e ad altre aziende cinesi di utilizzare componenti statunitensi potrebbe innescare un processo su vasta scala di de-globalizzazione, in tal caso le aziende si affretterebbero a proteggere le proprie catene di approvvigionamento. Se ciò accadesse, la Cina avrebbe diverse opzioni per vendicarsi contro gli Stati Uniti, ad esempio chiudendo il proprio mercato a multinazionali statunitensi come Apple.
In un tale scenario, lo shock per i mercati di tutto il mondo sarebbe sufficiente per far scoppiare una crisi globale, indipendentemente da ciò che fanno le principali banche centrali. Con le attuali tensioni che già intaccano la fiducia delle imprese, dei consumatori e degli investitori e il rallentamento della crescita globale, un’ulteriore escalation farebbe arretrare il mondo verso una recessione. E, date le dimensioni del debito pubblico e privato, probabilmente ne scaturirebbe un’altra crisi finanziaria.
Sia Trump sia il presidente cinese Xi Jinping sanno che è nell’interesse dei loro paesi evitare una crisi globale, quindi hanno un incentivo a trovare un compromesso nei prossimi mesi. Tuttavia, entrambe le parti continuano a far lievitare la retorica nazionalista e a perseguire le misure dell’ “occhio per occhio”. Trump e Xi sembrano pensare che la sicurezza economica e nazionale a lungo termine del proprio paese dipenda dal rispettivo non perdere le staffe di fronte a una nuova guerra fredda. E se credono sinceramente che l’altro le perderà per primo, il rischio di uno scontro rovinoso è davvero alto.
È possibile che Trump e Xi si incontrino per i colloqui durante il summit del G20 il 28-29 giugno a Osaka. Ma anche se fossero concordi a ricominciare i negoziati, un accordo onnicomprensivo per risolvere i loro numerosi punti di contesa sarebbe una cosa ancora da venire. Mentre le due parti si allontanano ulteriormente, lo spazio per il compromesso si sta riducendo e il rischio di una recessione globale e di una crisi in un’economia globale già fragile sta aumentando.
Nouriel Roubini, a professor at NYU’s Stern School of Business and CEO of Roubini Macro Associates, was Senior Economist for International Affairs in the White House’s Council of Economic Advisers during the Clinton Administration. He has worked for the International Monetary Fund, the US Federal Reserve, and the World Bank.