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Robert_Reich 5

L’attuale ortodossia economica risulta essere la causa di un’etica pubblica egoistica basata solo sul riconoscimento dell’interesse individuale o, per converso, ne è solamente l’effetto?

Robert Reich nel suo ultimo best sellersThe Common Good[1] (Il bene comune) pare fornirci una risposta chiara e inequivocabile: il processo che ha plasmato la corrente dottrina economica del cosiddetto libero fondamentalismo di mercato affonda la sue radici morali nell’esclusiva soddisfazione del proprio sé. Un comportamento sociale affiorato alla fine degli anni 70 che disconosce l’interesse collettivo e premia unicamente il fine personale, senza per questo infrangere il quadro legale vigente.

Whatever it takes to win

Qualunque cosa si renda necessaria per vincere” è diventato nel corso degli ultimi 40 anni il comandamento più glorificato, che ha accompagnato gran parte pensiero diffuso in ogni ambito sociale: politico, economico-finanziario e professionale, persino infra le relazioni private. Nelle quasi 200 pagine del libro l’autore spazia negli ampi territori della civiltà americana odierna, soffermandosi su una lunga serie di fatti e d’avvenimenti che testimoniano l’incedere progressivo di questa deriva anarco-individualistica. Da cui la riemersione di antiche fratture sociali, l’abbandono del sentimento di comunità, nonché il crescere di una conflittualità spesse volte tignosa e immotivata.

A parer suo, il tutto, si sta traducendo in un epilogo nefasto, fatto di frammentazione sociale e di disistima da parte dei singoli cittadini nei confronti delle istituzioni politiche che presiedono le forme di governo. Scorrendo il saggio non c’è pagina in cui il politologo di Berkeley non provi un senso di rammarico e di profonda amarezza per la somma idealità attraverso cui i Padri Costituenti “We, the people” (Noi, il popolo) fondarono la nazione americana.

Che cosa è il “Bene Comune” per Robert Reich?

Il Bene Comune consiste nel condividere i valori di ciò che noi dobbiamo l’uno verso l’altro, come cittadini che sono legati insieme nella stessa società, nelle norme verso cui noi volontariamente dobbiamo attenerci e gli ideali che perseguiamo di raggiungere”. [2]

Quando tutto ciò viene a mancare si deteriora quel senso di reciproca obbligazione morale e civica, il quale è particolarmente necessario nei periodi di turbolenze politiche, ove le comunità sono facile preda di simboli o di astiosi demagoghi. Costoro, alimentando le cattiverie fra i singoli, brandendo come arma un qualsivoglia supposto capro espiatorio, contrappongono popoli contro popoli, e all’interno di essi, poveri contro ancor più poveri.

Sennonché Reich non si ferma alle considerazioni generali, il suo primario obiettivo è quello di attaccare a testa bassa il perverso legame che si venne creare in modo sempre più accentuato negli ultimi tre decenni tra denaro e politica.

Egli lo stima come l’architrave portante del sistema di corruzione morale.

Non è accettabile che un rappresentante eletto dalla cittadinanza per bulimia di potere s’inginocchi al cospetto della grande finanza. In questo ferigno rapporto mutualistico di convenienza le due figure disertano le loro responsabilità primarie nei confronti di tutti molteplici attori che compongono la società civile. L’una, con una condotta finalizzata esclusivamente al proprio interesse personale, ottenendo laute donazioni in denaro per le proprie campagne elettorali; l’altra, ricevendo in cambio provvedimenti normativi a suo favore che incoraggiano l’adozione di palesi trucchi (buy back), la stesura di manifesti contratti predatori, copiose esenzioni fiscali, che nel complesso finiscono poi per gravare sulle spalle degli incolpevoli cittadini, come avvenne prima e dopo la crisi subprime 2008.

Specificamente aspra risulta la sua polemica nei confronti del Democratic Party, reo d’aver rinunciato ai proprio ruolo di difensore dei ceti svantaggiati, delle minoranze di genere e di colore, cedendo per irresponsabile vanagloria, a partire dal secondo mandato Clinton, alle lusinghe del grande capitale.

Reich, tuttavia, non è un pessimista. Dal suo pensiero si deduce che la storia americana, e per contaminazione quella mondiale, ha attraversato fasi cicliche entro cui si sono confezionate morali divergenti, delimitate da cesure a partire dalle quali l’inversione ha lentamente preso consistenza. Egli confida nella nuova generazione di americani, molto più attenta alla restaurazione di quei principi di giustizia sociale e di lotta per una accettabile eguaglianza che furono del tutto abbandonati dalla “sbornia” individualista dei loro padri.

Lo scopo della leadership non è semplicemente vincere, ma servire.”[3] Fondamentale è il rispetto per le istituzioni. Tutti si devono adeguare al loro dettato compreso le più alte cariche politiche istituzionali, incluso i presidenti. Non manca a proposito nel libro una critica al vetriolo nei confronti di Donald Trump, che l’autore considera alla stregua di un despota asiatico.

Reich ripropone la sua totale avversione per quella che egli chiama la “shareholder economy” – termine da lui stesso coniato e ormai entrato a far parte dell’abituale dizionario  politico – ovvero l’accettazione di un paradigma economico che pregia o disprezza in modo esclusivo il valore delle aziende quotate, in funzione della minore o maggiore crescita dei singoli corsi azionari. Reich imputa alla maggior parte dei rappresentanti istituzionali americani – indifferentemente tra Republicans e Democrats – quello  di  sostenere l’archetipo di un individualismo egoista finanziario.

In alternativa, contrappone la “stakeholder economy”, un modello anch’esso capitalistico nel quale il compito degli amministratori compendia l’assunzione di una responsabilità più ampia, tra cui il dovere di condividere parte della ricchezza prodotta con le maestranze, con le istituzioni pubbliche, nonché con le comunità presenti nel raggio d’azione economico dell’azienda stessa e non, come accade attualmente, solo con le lobbies finanziarie detentrici del capitale sociale.

Non c’è dubbio che Robert Reich appartenga a quella pletora di personaggi che in politica vengono definiti con un eufemismo “scomodi”, nel caso specifico per due diverse ragioni. La prima per la sua indubbia franchezza, onestà intellettuale e indipendenza di giudizio.  La bonaria e arguta indole dell’accademico di Berkeley non inficia la sua autonomia politica. La seconda rafforza la prima, poiché egli conserva un curriculum politico, accademico e di relazioni personali con il quale ogni avversario è obbligato a fare i conti.

Sebbene giovanissimo non ancora laureato, Reich entrò a far parte dello staff di Robert Kennedy, fu in seguito consigliere di Jimmy Carter, poi ministro del lavoro nel primo mandato presidenziale di Bill Clinton. Tornato a Berkeley, ove attualmente ancora insegna politica economica e sociale, si è dedicato per quasi un ventennio alla ricerca universitaria, accompagnandola con la stesura di numerosi saggi di divulgazione socio-politica. Benché fosse stimato da Obama, che lo propose come consigliere presidenziale, la sua nomina venne fortemente osteggiata dall’ala iper-moderata dei Democrats legata a Wall Street. Le sue relazioni personali sono di primo livello, compagno di studi universitari di Hillary e Bill Clinton, nelle sue amicizie si enumerano personaggi del calibro del Nobel Joseph Stiglitz, di Janet Yellen (ex Chairman della FED)e di Bernie Sanders.

Reich ritornò alla politica attiva subito dopo la nomina della presidenza Trump, in qualità di co-fondatore e principale animatore del blog politico d’ispirazione Democrats, Inequality Media, https://www.inequalitymedia.org/ ove i suoi interventi settimanali a mezzo video raggiungono un numero di ascolti superiori alle 200.000 visualizzazioni. Per il settantenne professore di Berkeley si tratta di un successo nemmeno lontanamente immaginato, che per la sua magnitudine fa sperare in un deciso mutamento d’orientamento politico nelle prossime mid-term di novembre rispetto all’attuale corso trumpiano.

[1] The Common Good, Robert B. Reich, Alfred A. Knops Publisher, New York, USA. https://www.amazon.com/Common-Good-Robert-B-Reich/dp/052552049X

[2] ibid

[3] ibid

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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