Alla base del compromesso post bellico degli anni ’40 (sotto l’egida del Trattato di Bretton Woods), vi furono due pilastri portanti sui quali si erse la società europea del dopoguerra, e sui quali in particolare la socialdemocrazia costruì le sue fondamenta ideologiche e le basi del suo consenso: lo stato sociale e la democrazia rappresentativa. Tale compromesso venne meno durante gli anni ’70 e dopo qualche anno di ricerca di un nuovo equilibrio, il sistema occidentale trovò nel cosiddetto Washington Consensus “nuova linfa”, attraverso un sistema che durò indicativamente per un altro trentennio, spesso denotato col termine neoliberale/neoliberista.
Le principali caratteristiche che caratterizzavano tale sistema portavano in seno una tendenza, più o meno consapevole, verso una incrinatura rispetto a quel compromesso, con un mondo occidentale che scivolava sempre di più verso una post-democrazia (Colin Crouch) e caratterizzato da un ridimensionamento dello stato sociale. La schiera di economisti che misero in guardia già a partire dalla fine degli anni ’90 e l’inizio del duemila riguardo alle problematicità legate a questo sistema, e alle serie conseguenze alle quali esso avrebbe portato, andò via via facendosi più ampia: dai più popolari Stiglitz, Krugman, Atkinson, Piketty, per giungere a nomi probabilmente meno noti, ma forse ancor più significativi poiché legati maggiormente al pensiero liberale e alla economia di mercato, quali ad esempio Paul De Grauwe.
In questo contesto, anche tra gli economisti e politologi italiani si sono levate voci critiche e elaborazioni interessanti riguardo a quanto finora esposto, come ad esempio le analisi profonde e incisive di Salvatore Biasco, esposte nel suo recente saggio “Regole, Stato e Uguaglianza”; mai approssimativo e sempre dettagliato nell’analisi da un lato, ma dall’altro attento anche nella complessità a non perdere di vista il pensiero generale e la ricerca di una narrazione in grado di fare sintesi, il saggio in questione si presta ad essere un utilissimo punto di riferimento per l’elaborazione di una possibile rotta da tracciare per un pensiero progressista, riformista e socialdemocratico per il XXI* secolo.
Alcuni spunti di riflessione
Alcuni punti riteniamo importanti per una riflessione riguardo al futuro politico dei partiti riformisti socialisti e progressiti, molti dei quali affrontati più o meno direttamente con argomentazioni molto stimolanti, nel libro di Salvatore Biasco.
- 1) Su flessibilià, investimenti e crescita economica: Paul De Grauwe (come anche Dani Rodrik e gli altri economisti sopra menzionati) ha recentemente sottolineato in una lecture tenuta al Delphi Economic Forum nell’Aprile dello scorso anno, come l’effetto delle riforme strutturali del mercato del lavoro siano state il punto sbagliato su cui concentrare l’attenzione per ottenere maggior crescita e aumento della produttività, le quali invece sembrano essere più decisamente correlate alla qualità (e quantità) degli investimenti, e al ruolo del settore pubblico nell’indirizzo/stimolo degli stessi. In particolare, De Grauwe richiamava l’attenzione come anche vi sia una significativa correlazione tra misure di austerità e crescita del rapporto debito/PIL (fonti: IMF e European Commision) in totale controtendenza rispetto alla vulgata degli anni 2012-2014 (e in parte ancora presente) della cosiddetta “austerità espansiva”.
- 2) Sulla economia trickle-down: Il tema che riguarda una riforma fiscale che permetta una miglior crescita inclusiva non è certamente di facile soluzione tecnica. Tuttavia uno dei punti sui quali andrebbe fare chiarezza, per lo meno dal punto di vista dell’idea generale e della rotta da seguire, riguarda l’abbandono della filosofia trickle-down ed anche il riconoscimento di una certa illusione nel voler separare troppo nettamente diseguaglianze “in uscita” e “in entrata” con una narrazione inerente al merito che andrebbe rivista. Lungi dal credere che vi siano soluzioni semplici a portata di mano, andrebbe però riconoscere che riguardo al primo punto, non solo non sembra esserci una rilevante correlazione tra crescita economica e allentamento fiscale sui redditi elevati, ma al contrario che i periodi di maggior crescita economica siano stati caratterizzati da aliquote marginali superiori molto elevate (in taluni casi anche pari al 90%, come nel caso statunitense); per quanto riguarda il secondo punto, dati abbastanza allarmanti riguardano l’analisi di alcuni parametri sintetici (tipo il coefficiente di elasticità intergenerazionale), i quali tendono a rilevare una certa correlazione tra redditi genitore-figlio, mettendo in evidenza un sistema rigido e per cui la diseguaglianza “in uscita” si intreccia in maniera negativa con la diseguaglianza delle opportunità “in entrata” (in questo l’Italia peraltro presenta un negativo secondo posto).
- 3) Sulla post-democrazia: come ha appunto sottolineato Colin Crouch, il mondo occidentale sembra evolversi verso un sistema di post-democrazia, ovvero come un sistema che continui a preservare le istituzioni di rappresentanza democratica, ma dove esse assumono sempre più la forma di gusci svuotati di effettivo potere politico, il quale fluisce verso più ristretti gruppi di potere legati al mondo economico e finanziario. Ovviamente una certa tensione tra le forme di potere politico-economico vi sono sempre state nella storia, anche durante il periodo del trentennio keynesiano. Quello che però Crouch sembra sottolineare è come l’insorgenza di movimenti populisti siano molto probabilmente l’altra faccia, o se vogliamo la reazione scomposta, a questo processo post-democratico e di contraccolpo della globalizzazione, la quale dovrebbe (avrebbe dovuto?) mettere in allarme sulla possibilità che questa instabilità politica possa essere altamente pericolosa per l’ordine liberale stesso. Un recupero quindi del potere politico rispetto a quello economico pare necessario, o attraverso un ampliamento della dimensione democratica degli organi sovranazionali (Parlamento Europeo in primis), oppure attraverso la (ri)concessione di maggior flessibilità e potere decisionale a livello di politiche economiche agli Stati-nazione.
- 4) Sulla svalutazione interna e il sistema euro: questo ultimo punto è legato alla struttura dell’Unione Europea e più specificamente all’Eurozona e al ruolo della moneta unica. Anche qui la schiera di economisti scettici sulla funzionalità di tale sistema è ormai abbastanza ampia, e molti di essi sono al di là di ogni possibile accusa o sospetto di faziosità, e appartengono al campo dei cosiddetti economisti progressisti: Stiglitz, Krugman, De Grauwe, Varoufakis, Sen rappresentano un significativo campione di tale gruppo.
- Nel suo libro Salvatore Biasco esegue una attenta, corretta e puntuale disamina delle motivazioni per le quali una uscita unilaterale sia assolutamente da scongiurare, e gli effetti forse troppo sottovalutati da alcuni economisti “sovranisti”. Purtuttavia, egli si pone in una posizione, che per inciso io condivido in pieno, di profonda critica nei confronti dell’Eurozona, riconoscendo come “non tranquillizzante il quadro all’interno dell’Eurozona”. Parimenti, sempre Dani Rodrik (in realtà in compagnia di altri eminenti economisti progressisti, quali Amartya Sen, Joseph Stiglitz, Paul Krugman), ancora in diversi recenti interventi, ha sottolineato come si sia arrivati ad un punto in cui una svolta non sia più rimandabile. Il professore di Harvard tende ad essere molto pessimista riguardo al fatto che una vera evoluzione di Europa Federale possa prendere piede, se non altro in questa fase (decennio?). Egli sembra invece suggerire che rivedere il sistema per introdurre maggiori risposte sistemiche e stabilizzatori automatici anticiclici all’interno dell’eurozona, e una ri-concessione di maggior margine di manovra per ciò che concerne le politiche economiche all’interno dei singoli Stati-nazione, possa essere l’unico modo per evitare ulteriori contraccolpi all’importante progetto europeo, che contiene al suo interno forse la più evoluta società dal punto di vista dei diritti civili e sociali. Addirittura, egli sembra prefigurare, come scenario più realizzabile, quello di una Europa a più velocità. Il patto di Aquisgrana sembrerebbe suggerire questa direzione, anche se la debolezza politica dei due leader pare minarne molto la effettiva prosecuzione.
A questi quattro punti riteniamo inoltre essenziale aggiungere due questioni toccate in parte da Biasco nel suo libro e in altri interventi, le quali menzioniamo brevemente non perché ritenute di minor importanza, ma al contrario poiché la complessità e vastità delle argomentazioni a riguardo impedirebbero una sintesi appropriata per una breve nota come la presente:
5) quella del ruolo dello Stato (e dei capitali pazienti) come agente economico per incentivare lo sviluppo, specialmente in termini di rivoluzione digitale e green economy, come anche approfondito nel recente libro di Mazzucato “Lo stato innovatore” (con una particolare attenzione al ruolo che potrebbe essere giocato dalla BEI come “motore degli investimenti” per un Green New Deal a livello europeo);
6) una seconda questione, sul rapporto tra dimensione individuale e dimensione collettiva, e sulla necessità di elaborare un pensiero, tanto dal punto di vista politico quanto economico, che ristabilisca un più sano equilibrio tra le due sfere, in cui si riconosca, ad esempio nell’ambito della creazione di valore in economia, come il processo di produzione della ricchezza avvenga spesso inconsapevolmente attraverso un importante processo collettivo, mentre oggi troppa enfasi viene spesso posta sull’iniziativa e il successo individuale; oppure il ruolo decisivo svolto dai processi collettivi di elaborazione e scambio dati (l’ambito del social commons) oggi ancora altamente sottovalutato.
Ci rendiamo conto che siano punti complessi (e peraltro che rappresentano solo la punta dell’iceberg, ed eludono tutto l’aspetto comunicativo e organizzativo nell’era digitale, questione non secondaria) e sui quali vi siano divergenze di opinione e di vedute anche all’interno del campo dei progressisti e socialisti stessi. Ma crediamo che dare una risposta a questi interrogativi sia fondamentale per tracciare una rotta credibile da intraprendere. Non prendere posizioni chiare su punti così dirimenti rischia di portarci a continuare ad aggirarsi per l’Europa come uno zombie. Poiché, in chiusa, giova ricordare: “In alcuni casi, la decisione giusta è la più corretta; la decisione sbagliata è la seconda più corretta. La scelta peggiore è non decidere.
Giorgio Laguzzi Membro AN Partito Democratico
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- S. Biasco, Regole, Stato e uguaglianza, Luiss University press, 2016.
- 2A. Atkinson, Disuguaglianza: cosa si può fare?, Cortina Editore, 2015.3
- C. Crouch, I paradossi delle privatizzazioni e delle esternalizzazioni di servizi pubblici, collana “Ripensare il capitalismo”, Editori Laterza, 2016.4
- C. Crouch, Can neoliberalism be saved from itself?, Social Europe Edition, 2017.
- P. De Grauwe, I limiti del mercato, Il Mulino, 2014.
- M. Mazzucato, Lo Stato innovatore, Editori Laterza, 2013.
- M. Mazzucato, L’innovazione, lo Stato e i capitali pazienti, collana “Ripensare il capitalismo”, Editori Laterza, 2016.
- C. Pérez, Capitalismo, tecnologia e un’età dell’oro verde a livello globale, collana “Ripensare il capitalismo”, Editori Laterza, 2016.
- D. Rodrik, Ragioni e torti dell’economia, UBE, 2016.
- D. Rodrik, La globalizzazione intelligente, Editori Laterza, 2011.
- Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, 2002.
- J. Stiglitz, L’Euro, Einaudi, 2017.