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Noi donne siamo la metà della popolazione mondiale.

Recentemente è stato pubblicato dalla Banca Mondiale il Rapporto dal titolo “Women, Business and the Law 2019: A Decade of Reform” (Le donne, il Business e le leggi, 2019: un decennio di riforme).

Lo studio ha la finalità di comprendere meglio come, nel mondo, occupazione, imprenditorialità e decisioni economiche delle donne siano influenzate dalle discriminazioni legislative che limitano la parità di accesso alle opportunità, analizzando l’evoluzione dell’uguaglianza di genere in ambito lavorativo negli ultimi 10 anni.

L’indice introdotto nello studio è il risultato di una raccolta di dati che coprono un periodo di dieci anni (dal 2008 al 2017) in cui sono analizzati 187 Paesi in base a otto indicatori; ad ogni paese è assegnato un punteggio da 0 a 100 dove 100 significa parità di diritti tra uomo e donna.

Analizzando gli otto indicatori, è possibile valutare i progressi raggiunti e comprendere come la differenza di genere sia in grado di incidere sugli aspetti economici legati alla vita lavorativa delle donne.

Il Rapporto spiega che garantire pari opportunità consente alle donne di fare scelte migliori per loro, per le loro famiglie e per le comunità in cui vivono.

A livello mondiale le donne possano vantare solo tre quarti dei diritti che sono invece riservati agli uomini.

Gli otto indicatori sono articolati sulla base delle interazioni delle donne con la legge dal momento in cui iniziano, progrediscono e concludono le loro carriere lavorative e sono:

  1. “Going places” (Libertà di movimento): misura i vincoli alla libertà di movimento di uomini e donne (come per esempio la possibilità per le donne di viaggiare autonomamente, decidere dove vivere e lavorare). Questo indicatore in Paesi come Iran, Iraq, Arabia Saudita, Brunei, Cameron, Repubblica del Congo, Qatar non raggiunge o equivale a 50 punti;
  2. “Starting a Job” (Avvio di un’attività lavorativa): analizza le leggi che influenzano le decisioni delle donne nell’avviare un’attività lavorativa. Questo indicatore è influenzato dalla presenza o meno di norme contro le molestie sessuali;
  3. Getting paid” (Parità di remunerazione per lavori di pari valore): il divario salariale e la segregazione sul posto di lavoro sono due degli argomenti più discussi in questi ultimi anni;
  4. “Getting Married” (Vincoli legali relativi al matrimonio): parametro influenzato dalle norme che regolano il matrimonio nonché dalle leggi che puniscono le violenze domestiche. In 10 anni in alcuni Paesi (Bolivia, Equador, Malta e Nicaragua) sono state varate norme che danno gli stessi diritti a donne e uomini in caso di divorzio; mentre la Repubblica del Congo ha finalmente tolto l’obbligo di obbedienza della moglie nei confronti del marito;
  5. “Having Children” (Maternità): esamina come le leggi influenzano e tutelano il lavoro delle donne dopo la gravidanza;
  6. “Running Business” (Dirigere un’impresa): esamina i vincoli e gli impedimenti che incontrano le donne quando avviano e gestiscono attività (come per esempio registrare attività commerciali, aprire conti bancari, firmare contratti e accedere ai finanziamenti);
  7. “Managing Assets” (Gestione di beni e proprietà): esamina le discriminazioni di genere nell’accesso ai diritti di proprietà e di ereditarietà, in questo indicatore si registra la quantità minore di riforme sono state solamente 4, il numero più basso fra tutti gli indicatori, con una frequenza di cambiamento molto lenta;
  8. “Getting a Pension” (Uguaglianza di genere nell’accesso ai diritti alla pensione): ultimo indicatore confronta le condizioni pensionistiche di donne e uomini.

Libertà di movimento, avvio di un’attività lavorativa, parità di remunerazione per lavori di pari valore, vincoli relativi al matrimonio, alla maternità, al dirigere un’impresa, alla gestione di beni e proprietà, uguaglianza di genere nell’accesso ai diritti alla pensione: si tratta degli otto indicatori, che analizzati all’interno del Rapporto, spiegano come negli ultimi dieci anni in 131 economie ci sono state 274 riforme, leggi e regolamenti che hanno permesso un aumento della parità di genere.

Il punteggio medio globale è di 74,71: un’economia tipica, garantisce alle donne solo tre quarti dei diritti degli uomini. Molte leggi continuano a impedire alle donne di entrare nel mondo del lavoro o di avviare un’impresa, una discriminazione con effetti sull’inclusione economica e sociale delle donne.

Sono solo sei le economie – Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia, Lussemburgo e Svezia – che hanno raggiunto il punteggio massimo, perfetto di 100. Questo indica che questi Paesi danno alle donne e agli uomini parità di diritti legali nelle aree misurate.

L’Italia si trova al 22° posto della classifica generale dei 187 Paesi analizzati, con un punteggio di 94,38, il che significa una quasi parità di diritti legali per gli uomini e le donne nelle aree misurate; resta tra i peggiori a livello europeo ed è preceduta da Repubblica Ceca, Croazia e Perù ed è allo stesso livello di Paesi Bassi, Norvegia, Paraguay e Slovacchia.

L’Africa sub-sahariana ha avuto il maggior numero di riforme per promuovere l’uguaglianza di genere, mentre il punteggio medio nei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa è fermo a 47,37, il che significa che in queste regioni le donne hanno meno della metà dei diritti rispetto agli uomini.

Il punteggio della Repubblica Democratica del Congo, dieci anni fa ammontava a 42,50, nel 2017 sale a 70 punti grazie ad una serie di riforme strutturali che hanno consentito alle donne sposate di avviare attività commerciali, aprire conti correnti bancari, firmare contratti e scegliere dove vivere in maniera equivalente agli uomini.

Inoltre è stato rimosso l’obbligo legale delle mogli di obbedire ai mariti e sono state eliminate alcune restrizioni che non permettevano alle donne di lavorare in settori specifici come l’estrazione e l’edilizia.

Mauritius nel 2008 ha avviato una serie di riforme che hanno permesso alle donne di intraprendere un lavoro, avere figli durante la vita lavorativa e gestire un’impresa; nel 2013 ha imposto pari remunerazione tra uomini e donne per lavori di pari valore. Grazie a questi cambiamenti il punteggio di Mauritius è aumentato di 16,88 punti.

L’Afghanistan ha soppresso l’obbligo per le donne sposate di essere accompagnate o avere il permesso scritto dai loro mariti per ottenere un passaporto.

La Repubblica democratica del Congo, l‘Honduras, il Nicaragua, il Ruanda e il Togo hanno riformato le leggi sulla famiglia: in precedenza erano i mariti a scegliere dove vivere, non considerando minimamente l’opinione delle mogli.

Dall’analisi del Rapporto “Women, Business and the Law 2019: A Decade of Reform” si apprende che i Paesi dell’OCSE hanno conseguito il punteggio medio più alto di 93,54, seguiti da Europa e Asia centrale (84,70), America Latina e Caraibi (79,09), Asia orientale e Pacifico (70,73). Le economie dell’Africa sub-sahariana registrano un punteggio medio di 69,63 e quelle dell’Asia meridionale di 58,36. Medio Oriente e Nord Africa hanno ottenuto il punteggio medio più basso con 47,37.

Negli ultimi dieci anni, dunque:

    • 131 economie hanno adottato 274 riforme a leggi e regolamenti che migliorano l’inclusione economica delle donne;
    • 35 Paesi hanno attivato le protezioni legali contro le molestie sessuali sul lavoro, proteggendo quasi due miliardi di donne in più rispetto a un decennio fa;
    • 22 Paesi hanno eliminato le restrizioni sul lavoro delle donne diminuendo la probabilità che le donne siano escluse dal lavoro in alcuni settori dell’economia;
    • 13 Stati hanno introdotto leggi che assicurano pari remunerazione per lavoro di pari valore;
    • la media globale è passata da 70 a 75.

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Analizzando la situazione italiana a pesare è soprattutto la differenza di stipendio tra uomini e donne, un gender gap che, nelle regioni settentrionali, si esplicita con una differenza fino a 880 euro.

I dati ISTAT riferiti a dicembre 2018 descrivono ancora in Italia una condizione della donna nel mercato del lavoro che «non soddisfa i requisiti delle pari opportunità: in un contesto di crescita debole, con un tasso di occupazione generale del 58,8% (6 punti al di sotto della media europea del 64,7%) e una quota di occupazione maschile pari al 68%, la quota femminile registra appena il 49,7%, collocando l’Italia penultima nella classifica dell’Unione Europea, con 10 punti di differenza rispetto alla media europea (59%).

Il divario di genere è confermato dal differenziale dei tassi di disoccupazione, 11,6% la quota femminile rispetto al 9,4% maschile, e soprattutto dalla rilevante distanza tra i tassi di inattività, il 43,8% delle donne rispetto al 24,7% degli uomini.

A frenare il nostro Paese è soprattutto il gender salary gap.

Secondo le rilevazioni Eurostat 2019 nel settore pubblico l’Italia rappresenta uno dei fanalini di coda nel Vecchio Continente, con la 21esima posizione, davanti solo a Polonia, Belgio e Cipro.

I paesi virtuosi, invece, sono Regno Unito, Repubblica Ceca e Finlandia, Bulgaria, Svizzera e Spagna.

Nel settore privato l’Italia recupera posizioni, sale all’ottava posizione.

I dati Ocse, pubblicati in primavera, indichino nel 5,6% la differenza media di retribuzioni tra donne e uomini italiani, i risultati si basano esclusivamente sul lavoro full time.

Per quanto riguarda le libere professioniste: secondo il report dell’Associazione degli enti di previdenza privati, che analizza le retribuzioni dei freelance in rapporto a quelle dei dipendenti, nella fascia d’età tra i 30 e i 40 un uomo guadagna mediamente 20mila euro lordi, contro i 17mila di una donna.

Tra i 40 e i 50 anni, ossia quella in cui i figli non sono ancora autonomi, il divario aumenta: i professionisti guadagno circa 40mila euro lordi, contro i 25mila delle colleghe donne.

Il processo di parità tra uomini e donne viene rallentato anche dallo scarso impegno politico femminile, con poche donne che ancora ricoprono ruoli di prestigio e responsabilità nei governi, non va molto meglio nelle amministrazioni regionali (17%) e comunali (30%).

Infine, la ancora troppo scarsa presenza di donne nelle discipline Stem (acronimo che sta per science, technology, engineering and mathematics, cioè scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), ossia uno dei settori indicato come critico per l’Italia nel Global gender Index del World Economic Forum non permette loro di occupare posti di rilievo nel settore in maggiore espansione economica e professionale.

Se le leggi di un Paese riflettono i valori dello stesso e definiscono la qualità del presente e del futuro di chi le abita, sapere che, nella maggioranza dei Paesi al mondo, non esista equità tra uomini e donne non è un gran risultato.

Per le donne lavorare, guadagnare uno stipendio adeguato, godere di una libertà decisionale e/o di movimento, essere tutelate dalla giustizia non è scontato. E non lo è quasi ovunque. Nel 2019, non nel Medioevo.

Qualunque sia la sfida, per noi donne, è un po’ come correre con le tasche piene di sassi, restiamo sempre un passo indietro. Questa è la storia di tante ragazze che avevano un sogno, poi diventano donne e spariscono: dall’Università come da altre professioni. In Italia solo il venti per cento dei dirigenti è di sesso femminile. Una su cinque. In Europa solo una su tre. E’ un problema di cultura dominante, anche legato alla “santificazione” del ruolo materno. In Italia siamo lontani dal raggiungere un’equa suddivisione degli incarichi in casa, alla fonte inoltre c’è anche un problema di studi. Le discipline tecnologiche e scientifiche, danno più facilmente accesso a un certo percorso professionale, ma sono meno apprezzate dalle ragazze, le sceglie solo il diciotto per cento delle studentesse universitarie (dati Talentsventure.com). Secondo i dati di Valore D, associazione di imprese che promuove la diversità, il talento e la leadership femminile, nel nostro paese l’occupazione è a quota 49%, era al 20% negli anni sessanta.

Il cambiamento sta accadendo in molti paesi, ma non abbastanza velocemente, e oggi 2,7 miliardi di donne nel mondo sul lavoro sono ancora legalmente svantaggiate rispetto agli uomini

Ottenere l’uguaglianza di genere non è un processo a breve termine le riforme legali e l’approvazione di normative volte al miglioramento dell’inclusione economica delle donne possono svolgere un ruolo determinante.

Auspichiamoci che governi e società civile cerchino di attuare in maniera puntuale cambiamenti normativi e di modificare gli atteggiamenti culturali radicati.

Voglio continuare a credere che non ci sia nessuna emancipazione senza diritti e nessun diritto senza una buona politica.

Il mio augurio va a noi donne consapevoli che essere uguali è un fatto di diritti e doveri e non di omologazione, che si può (forse si deve) essere uguali nella diversità e che è nel rispetto della diversità che si può essere uguali davvero.

Roberta Cazzulo

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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